Mia madre Maria Teresa era sempre preoccupata per le inchieste di Report: “Mi raccomando non fare nomi” mi esortava. L’ho sempre rassicurata, ma poi i nomi li ho sempre fatti, anche quello c’è alla base delle querele. Era una donna di un’altra generazione, timida e coraggiosa. (…)
È stata un’insegnante, fino ai novant’anni totalmente autonoma e capace di coltivare la propria indipendenza di pensiero grazie alla lettura di libri, a cui si dedicava ogni mattina.
Amava così tanto insegnare che ha voluto farlo in ogni momento della sua vita, anche come madre. Mi insegnò l’importanza di imparare a memoria le poesie. Quando ero febbricitante, si sedeva sul letto accanto a me, ripeteva le strofe con quella sua voce limpida e io finivo per memorizzarle. Se oggi posso concedermi il lusso di non utilizzare il gobbo mentre sono in onda lo devo a lei.
Negli ultimi anni, quando il suo enorme cuore ha cominciato a tirarle brutti scherzi, ci rassicurava: “Ho vissuto in mezzo a tanto amore che non vi dovete preoccupare della mia morte.”
La sintesi della sua esistenza: averci amato ogni giorno e averci insegnato come è facile donare anche quando si ha poco.
Non passava giorno senza che ricordasse a me e ai miei fratelli quanto fosse fiera di noi. Anche quando ci sentivamo incerti e dubbiosi, trovava la forza per sostenerci, forse perché sapeva di averci messo tra le mani gli strumenti giusti per superare i momenti difficili e anche quelli apparentemente impossibili da superare. Ci ha insegnato ad amare, ad ascoltare, a cercare il bene in ogni persona. A giustificare e a proteggere, a perdonare e a riconoscere il male per allontanarlo.
Quando è morto papà, ci ha mostrato come è semplice amare anche chi non c’è più. Entrando in casa sua la mattina la trovavo che pregava, tra le mani stringeva un’immagine della Vergine, di un santo e le foto delle persone a lei più care. La vedevo accarezzare furtivamente la felpa di papà conservata sulla sedia dove l’aveva posata l’ultima volta. Ogni tanto l’ascoltavamo leggere senza pudore, fingendo di averle dimenticate, alcune frasi delle lettere d’amore che si erano scritti quando erano fidanzati. Il suo era un modo per dirci “Io lo amo ancora". (…)
Da lei ho imparato ad accogliere in casa chiunque come fosse un re. Dedizione, costanza e perseveranza sono semplici da mettere in pratica, basta seguire la regola che sta alla loro base: saper amare e avere passione.
Una mattina di primavera si è svegliata, forse con più dolori del solito, si è girata sul fianco e si è addormentata. Per sempre.
Avrei voluto stare con lei più tempo e invece sono stato costretto a salutarla, come faceva lei ogni volta che mi accompagnava sulla porta e mi diceva: “Fatti il segno della croce, e che Dio ti accompagni!”
“Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore, ciò che è stato sempre, prima di ogni altro amore”, scriveva Pier Paolo Pasolini. E aveva ragione.
Sigfrido Ranucci La scelta Bompiani Milano 2024, pp.276/278
(Un libro spiazzante La scelta, a mio avviso con luci e ombre... non so se lo recensirò. La parole che Sigrido Ranucci dedica a sua madre comunque mi hanno assai toccata)
Chissà se tutte quelle poesie che non volevo, non riuscivo ad imparare a memoria, e che lei, mamma, sapeva tutte anche a distanza di decenni, hanno inconsciamente contribuito al mio spirito poetico, che sopravvive ad ogni scossa. La memoria no, però. Neanche quelle mie conosco a memoria.
RispondiEliminaMa proprio neanche quelle di due righe. Benedetta mamma..
@Franco: benedette le nostre mamme... ecco cosa salverebbe la società: uno sguardo materno, di cura che attraversi i luoghi del potere... buon fine settimana.
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