C’era una volta un’insegnante. Piuttosto giovane e di belle speranze. I seni ancora pieni di latte per nutrire il terzo bambino. Mente e cuore traboccanti di cura per i figli degli altri.
Un giorno, a scuola, ascoltò un rullar di tamburi: “A tutti i docenti, udite, udite: si cerca qualcuno che sappia trovare i ragazzi sperduti…”
Fu così che divenni psicopedagogista. Il mio terzo lavoro. Eravamo alla fine del secolo scorso. A Palermo, i ragazzi smarriti – gli addetti ai lavori la chiamano “dispersione scolastica” - erano dodici, quindici, anche diciassette su cento. A scuola non venivano proprio, oppure venivano un giorno e sei no. O erano destinati a bocciature continue.
Una delle mie prime bambine disperse è stata I.,: occhi grandi, neri, un po’ tristi. 13 anni, per la terza volta in prima media. Sorriso dolce, guardingo. Capelli lunghi e arruffati, alla buona. Abitini puliti e dimessi. I colleghi mi dicono: “Non è stupida, ma la famiglia non collabora”… “Non puoi cambiarle la testa, non ne vuole di scuola” “Viene, arraffa il buono- libri e poi chi la vede più?”
Viene un giorno sì e sei no. “Perché” – le chiedo. Lei mi guarda in silenzio, abbozza un sorriso. “Perché” – le chiedo di nuovo, con la mia più convinta dolcezza. “La mamma deve comprare (cioè, deve partorire) Non si può alzare dal letto. La devo aiutare. Certe volte cucino, lavo i piatti e bado a mia sorella.”
Chiamo la madre al telefono: le dico che il posto di I. è a scuola. Altrimenti verrà l’assistente sociale. Che si faccia aiutare da qualche parente. “Professoressa, può venire chi vuole. Io unn’aiu a nuddu: né matri, né soru, né soggira. Me maritu travagghia da matina a sira. Haiu puru natra figghia all’elementari… Lei a scuola ci va. U sacciu c’a scola ci voli, è importante. Ma I. mi serve; comu fazzu i surviza cu stu figghiu chi mori si mi catamiu? (1)”
Deglutisco. Non so cosa dire: il diritto allo studio di I. fa a pugni con la solitudine della madre e il diritto di vivere del fratellino. Qualche giorno dopo, I. sparisce per sempre.
Sei anni dopo è venuta A., sorellina minore di I. Stessi occhi, stessi capelli. Uno sguardo meno sveglio e sagace. L’abbiamo promossa ogni anno. “Glielo dicevo, dottoressa – sorride la madre – u sacciu ca a' scola è importante. A. ha tutti i libri…
L'anno scorso, il nono del XXI secolo, è venuto a scuola il fratellino. I media: occhiali da dottorino, minuto e studioso.
Ora ogni tanto viene la madre. Sempre più piccola e curva, gli occhi segnati da occhiaie. Ciuffi bianchi si affacciano senza vergogna tra i lunghi capelli ondulati, senza tinta o meches, al naturale.
Per studiare, E. va al doposcuola: “Se ha volontà, mi levo pure u’ pani di mmucca pi iddu. (2)”
Le chiedo di I.: è sposata, ha un bambino.
E. viene spesso a trovarmi: gli manca il libro d’inglese e di scienze. “Tieni, te li presta la scuola.” Me lo guardo in silenzio. Lo accarezzo con gli occhi. E’ un amore di figlio. Forse non sa che ha avuto due madri.
Per i non siciliani:
1) Come faccio le faccende domestiche con questo bambino in arrivo che rischia di morire se mi muovo?
2) Farò a meno anche di mangiare, per farlo studiare.
Forse oggi sono un po' pessimista? O forse solo un po' depresso?
RispondiEliminaMa dove sono i miei maestri di un tempo? Filippo Neri, Lorenzo Milani, Mario Lodi, Bruno Ciari? E gli altri e le altre? Oggi, mentre dormono sulla collina, quello che hanno fatto e scritto prende polvere in soffitta.
Carissimo,
RispondiEliminacapisco il tuo pessimismo. Ma, e lo scriverò a breve, se A., F., S. e tanti altri ce l'hanno fatta, è merito tuo. Per fortuna, non tutti i veri maestri dormono sulla collina. Tu, ad esempio, ci sei. Mi sorridi, a scuola. E mi onori con i tuoi commenti sul blog.
E, ovviamente, dai una mano ai ragazzi sperduti.
Ti abbraccio.
La mia considerazione nei tuoi riguardi aumenta di post in post, cara Maria. Mi ritengo fortunato d'averti "incontrata". Ti ringrazio e ti saluto affettuosamente ancora una volta.
RispondiEliminaCaro Peter, anch'io sono contenta di averti incontrato. Non sai quanto mi faccia bene questa comunione "virtuale".
RispondiEliminaUn saluto affettuoso anche a te.
Cara maria,i tempi sono duri e la solitudine in cui opera la scuola è grande,ma non dobbiamo mai dimenticare nè i buoni maestri nè gli articoli della nostra costituzione.Tu operi a scuola (e non solo) meravigliosamente bene e fai quanto ti è possibile perchè tutti gli alunni( non uno di meno) frequentino e conseguano il successo formativo.A volte ,però,ci si trova davanti a muri insormontabili.Un abbraccio MDFex
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