venerdì 29 ottobre 2010

101 Storie: Ci voleva un dentista...

     Io ho avuto fortuna: ho avuto dei bravi maestri. Intanto mio padre, che, tra un taglio e un’imbastitura, mi ha insegnato a leggere e a scrivere già a cinque anni. E ad amare la Storia e le storie. E poi la maestra Gaetana, che mi dava insieme istruzione ed affetto. 
    Alle medie, Maria Giovanna Abramo, una forza di donna: da single aveva adottato tre ragazzine veramente sperdute. E poi al ginnasio e al liceo, Dina Di Vita, il prof. Biondo, Tommaso Guarrata, Giuseppina Cibella: dei veri giganti. E’ colpa (o merito) loro, se ho lasciato il mio impiego in banca per diventare insegnante, nonostante il divario economico e la discesa in caduta libera nella considerazione sociale. “Sei pazza, lasciare il posto al Banco di Sicilia per quei quattro soldi che prenderai a scuola…. Iniziare da capo, ora che sei sistemata. Ma chi te lo fa fare?”
    I maestri di carne, insieme ai maestri nascosti nei libri: fra gli altri, don Lorenzo Milani. Che scrive di una scuola capace di rendere uomini e donne cittadini consapevoli e non burattini dei potenti di turno. “Perché è solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi o intende l’espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno.”
[1]
A M. le parole mancavano. – Come si dice, come si chiama. Non lo so dire. Un’ u sacciu, professorè – Era questo il suo ritornello. A M. mancava anche un pezzo di dente. Me lo aveva pure scritto su un foglio. Anche per questo non voleva parlare. E neppure sorridere. Veramente, a M. mancavano anche tante altre cose: una famiglia a modo, ad esempio. Si, aveva un padre e una madre. E due fratelli: il maggiore, disabile grave, con una sindrome difficile persino da pronunciare; il piccolino, nato quando M. era in seconda media. Il padre di M., non l’ho mai visto. La madre, invece, decine e decine di volte. Perché M. a scuola veniva pochino. – E’ malata. Non vuole venire. Ho il bambino ricoverato. Gliel’ho detto, professorè: M. scuola ‘unni voli. M. ha la bronchite. Credevo che fosse a scuola… Ora la vado a cercare – Questa la litania delle giustificazioni della mamma di M., recitate per telefono o pronunciate dal vivo, in uno dei tanti colloqui.
M. l’abbiamo bocciata una volta, in prima. L’anno seguente è passata in seconda. Ma poi ha cominciato a venire pochissimo. Anche perchè era nato il fratellino e la madre lo lasciava alle sue cure se aveva un lavoretto saltuario. E poi perché era troppo insicura. E cominciava a dare fastidio. A punzecchiare e a insultare le sue compagne. A volte la pazienza ai colleghi si esauriva e M. si beccava una punizione. Quell’anno è rimasta in seconda. L’anno dopo, abbiamo tentato di tutto: un laboratorio di recupero, incontri ravvicinati con la madre, il coinvolgimento degli operatori contro la dispersione scolastica del Comune. Ma ormai M. era fuori. Aveva le meche ai capelli e un trucco pesante. Era anni luce lontana dai banchi di scuola. Perché, ormai lo abbiamo imparato, c’è un tempo opportuno, un momento propizio in cui trovare la chiave per i ragazzi difficili. Se perdi quel treno, se non cogli il kairòs li hai persi per sempre. Infatti M. l’abbiamo perduta: è vero, abbiamo chiamato i Servizi sociali. Ma, ormai è cosa nota, se non li acciuffiamo noi i ragazzi, è difficile che li prenda qualcuno.
- Lei è gentile con me – M. mi ha detto una volta, sottovoce.
Forse serviva una gentilezza al quadrato. Sarebbe bastata? Purtroppo ci volevano anche tante altre cose. Intanto, un bravo dentista.

[1] Scuola di Barbiana, Lettere a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1996

4 commenti:

  1. Posso solo confermare il commento al "101" precedente.
    Ritenermi fortunato è forse eccessivo: diciamo forse meno sfortunato di altri, che così bene descrivi.

    RispondiElimina
  2. Lodevole e coraggiosa la scelta di lasciare la banca per la scuola. Riguardo ai tuoi ritratti mi spiace solo che siano storie di vita realmente vissuta: piacevoli e istruttivi, nella loro tristezza. Ciao.

    RispondiElimina
  3. Si, caro Peter: quello che scrivo è tutto vero. Il lato triste del mio lavoro è l'avermi messa a contatto con il lato oscuro della scuola. Il lato bello è che, qualche volta, sono/siamo riusciti a cambiare qualcosa: a far sorridere un ragazzino, a dargli fiducia, a farlo andare avanti negli studi. Ciao.
    @ gatto nero: ancora grazie della tua attenzione.

    RispondiElimina
  4. Cara Mariasolcatricedimari,
    come vedi ho iniziato a leggere le tue 101 storie. Grazie, intanto, per avermele segnalate...
    A.

    RispondiElimina