venerdì 30 agosto 2024

Emozioni... grazie, Lucio.

Claude Monet: Nuvole (1923-26) 


Tristezza,

quando cadi

in fondo al cuore,

come neve, non fai rumore…

Emozioni.   

giovedì 29 agosto 2024

Paula

      Ascolta, Paula, ti voglio raccontare una storia, così quando ti sveglierai non ti sentirai tanto sperduta. (…)
      La leggenda familiare inizia nei primi anni del secolo scorso, quando un robusto marinaio basco sbarcò sulle coste cilene con la testa piena di progetti di grandezza e protetto dal reliquiario di sua madre appeso al collo; ma perché risalire così indietro, basta dire che la sua discendenza fu una stirpe di donne impetuose e di uomini dalle braccia forti per il lavoro e dal cuore sentimentale.
      Alcuni (…) acquistarono terreni fertili nei dintorni della capitale che col tempo crebbero di valore, si raffinarono, edificarono dimore signorili con parchi e viali alberati (…). Uno di loro era mio nonno. Ebbe buoni natali, ma suo padre morì prematuramente per colpa di un inesplicabile sparo; non si seppero mai i dettagli di ciò che avvenne quella fatidica notte (…) in ogni caso la sua famiglia rimase priva di risorse, ed egli, essendo il maggiore, dovette lasciare la scuola e cercarsi un impiego per mantenere la madre ed educare i fratelli minori.
     Molto tempo dopo, quando era diventato un ricco signore davanti al quale gli altri si toglievano il cappello, mi confessò che la peggior povertà è quella degli indumenti, perché bisogna dissimularla. Si presentava impeccabile con gli abiti del padre riadattati alle sue misure, i colletti inamidati e i vestiti ben stirati per dissimulare il logorio della stoffa.  Quei tempi di penuria gli temprarono il carattere, era convinto che l’esistenza fosse solo sforzo e lavoro, e che una persona per bene non potesse stare al mondo senza aiutare il prossimo.  Già allora aveva quell’espressione concentrata e quell’integrità che lo caratterizzavano, era fatto della stessa materia rocciosa dei suoi antenati e, come molti di loro, aveva i piedi saldamente piantati per terra, ma una parte della sua anima fuggiva verso l’abisso dei sogni. 
     Per questo s’innamorò di mia nonna, la minore di una famiglia di dodici fratelli, tutti pazzi eccentrici e deliziosi, come Teresa, alla quale su finire dei suoi giorni cominciarono a spuntare ali da santa e quando morì, e quando morì si seccarono in una notte tutti i roseti del Giardino Giapponese. (…)
Sono cresciuta ascoltando storie sul talento di mia nonna nel predire il futuro, leggere nella mente altrui, parlare con gli animali e muovere oggetti con lo sguardo. (…)
     Queste facoltà suscitavano un certo timore, e malgrado il fascino della fanciulla i possibili pretendenti si impaurivano in sua presenza; ma per mio nonno la telepatia e la telecinesi erano divertimenti innocui e non ostacoli al matrimonio, lo preoccupava soltanto la differenza d’età, lei era molto più giovane (…).
     Abituato a considerarla una bambina, non si rese conto della propria passione  finché lei un giorno non comparve con un vestito lungo e i capelli raccolti, e allora la rivelazione di un amore rimasto in gestazione per anni lo gettò in una crisi di timidezza  tale che smise di farle visita. 
Lei indovinò il suo stato d’animo prima ancora che lui riuscisse a dipanare la matassa dei propri sentimenti, e gli mandò una lettera, la prima delle molte che gli avrebbe scritto nei momenti decisivi delle loro vite. Non si trattava di un bigliettino profumato per tastare il terreno, ma di una breve nota scritta a matita su un foglio di quaderno in cui gli chiedeva senza preamboli se voleva diventare suo marito, e in caso affermativo quando.
      Alcuni mesi più tardi fu celebrato il matrimonio. La fidanzata si presentò all’altare come una visione d’altri tempi, avvolta in un trine color avorio e con un disordine di fiori d’arancio di cera infilati nella crocchia; al vederla, lui decise che l’avrebbe amata fedelmente fino alla fine dei suoi giorni.

Isabel Allende, Paula, Biblioteca di Repubblica, Barcellona, 2002 pp.9-11

martedì 27 agosto 2024

Sud Tirolo/Alto Adige: lo amo perchè...

Tre cime di Lavaredo

 

Per le sue montagne maestose...

E per 
i tenebrosi castelli (qui quello di Tures,



 

                                                                  
















domenica 25 agosto 2024

Annette, prima donna in costume da bagno

       Palermo – Fare un bagno a mare, sino alla fine del 1800, per le donne non era affatto facile.  Infatti, indossati con dei pantaloni, i costumi femminili erano dei veri e propri abiti che coprivano tutto il corpo e impedivano di fatto di nuotare. 
     Chi si ribellò all’imposizione di tale ingombrante abbigliamento fu l’australiana Annette Kellerman, che subì addirittura un arresto per indecenza quando, all’inizio del 1900, si mostrò su una spiaggia del Massachusetts con un costume che lasciava nude braccia e gambe. Per questa ragione Annette divenne famosa: la sua ‘tuta’ diventò così popolare che quel tipo di costume venne chiamato "Annette Kellerman" e fu il prototipo del moderno costume da bagno a un pezzo.
     Annette era nata a Sydney, in Australia, il 6 luglio 1887, in una famiglia di artisti: il padre, l’australiano Frederick William Kellermann, era un violinista, la madre, Alice Ellen Charbonnet, pianista e insegnante di musica. 
     Da piccola, Annette frequentò corsi di nuoto per irrobustire le sue gambe, così esili da dover essere supportate da sostegni di acciaio. Grazie all’allenamento costante, a 13 anni le sue gambe tornarono normali. Inoltre ormai Annette padroneggiava tutti gli stili di nuoto: infatti a 15 anni aveva vinto la sua prima gara ed era esperta delle tecniche di immersione. Così, nel 1902 la giovane donna decise di dedicarsi completamente all’attività sportiva: vinse la gara australiana delle cento yard donne e diventò campionessa del miglio del Nuovo Galles del Sud. 
    Trasferitasi con la famiglia a Melbourne, la giovane Annette si esibì spesso in pubblico, presentandosi anche come una sirena e nuotando in una grande vasca di vetro piena di pesci. A giugno/luglio 1903, si cimentò in spettacolari immersioni al Melbourne Theatre Royal.
    Nel 1905, dopo esibizioni in tutta l'Australia, si recò in Inghilterra insieme al padre. Attirò l'attenzione mondiale quando nuotò nel Tamigi per oltre 13 miglia. Il Daily Mirror sponsorizzò poi il suo tentativo di attraversare il Canale della Manica: il 24 agosto 1905, a diciotto anni, Annette Kellerman fu la prima donna a tentarne a nuoto la traversata, senza successo. Ripeté invano il tentativo una seconda e terza volta, nel 1906. Dell'impresa sarebbe poi stata capace nel 1926 la nuotatrice statunitense Gertrude Ederle. Annette riuscì invece, nel giugno 1906, a battere la baronessa Isa Cescu in una gara di 22 miglia (36 km) nel Danubio.
    Nel 1906, si recò negli Stati Uniti: a Chicago presentò un numero acquatico, ripetuto poi a New York dove, nel 1907, immersa in una piscina di vetro, la Kellerman si esibì in quello che viene considerato il primo balletto acquatico: per tale esibizione le si attribuisce anche l'invenzione del nuoto sincronizzato.
Si esibì poi anche a Boston, dove appunto fu arrestata per aver indossato il costume intero. Lo scalpore dell’arresto contribuì poi ad allentare le leggi in materia di costumi da bagno femminili, anche se si dovranno aspettare gli anni’40 perché cada l’ostracismo sul costume a un pezzo.
   Dopo tali esibizioni, nel 1909 la campionessa lasciò lo sport agonistico per dedicarsi esclusivamente allo spettacolo e al cinema, con buon successo.
La maggior parte dei suoi film hanno come tema avventure acquatiche. L'attrice si esibiva in spettacolari performance senza controfigura in profonde immersioni nel mare o, addirittura, in vasche di coccodrilli. Amava molto anche interpretare il ruolo di sirena, dando spesso ai suoi personaggi il nome di "Annette" o simili. I suoi "racconti di fiaba", come chiamava i suoi film fantasy, avevano avuto inizio nel 1911 con The Mermaid, in cui era vestita da sirena. Nella sua carriera di attrice conquistò i titoli di Australian Mermaid (sirena australiana) e di Diving Venus (Venere tuffatrice) e si esibì nei maggiori teatri d'Europa, d'America e d'Australia. I suoi numeri, oltre alle scene in acqua, includevano balletti davanti agli specchi, camminate sul filo, acrobazie, canzoni e interpretazioni maschili. 
Nel 1916, provocò grande scalpore una sua scena di nudo nel film La figlia degli Dei, in cui interpretava una bellissima ragazza paragonata agli dei: fu la prima attrice a presentarsi nuda sullo schermo. 
   Nel 1924 Annette fu protagonista di Venus of the South Seas, una co-produzione Stati Uniti/Nuova Zelanda in cui uno dei rulli del film era a colori e girato sott'acqua. La pellicola è stata restaurata a Washington dalla Library of Congress nel 2004. Oggi pare sia l'unico lungometraggio completo esistente con protagonista la Kellerman.
   Intanto il 26 novembre 1912, a venticinque anni, la nuotatrice australiana si era sposata con il suo manager, lo statunitense James Raymond Louis Sullivan. I due non ebbero figli, ma le loro nozze durarono tutta la vita. 
   Una curiosità: la Kellerman era una convinta vegetariana e per molto tempo fu proprietaria di un negozio di cibi naturali a Long Beach, in California. Ma, nel 1970, lei e il marito ritornarono a vivere in Australia. Nel 1974, in Florida ricevette l’onorificenza International Swimming Hall of Fame, che onora i grandi campioni degli sport acquatici.
Annette continuò a nuotare sino alla fine della sua vita. Morì nel Queensland, il 5 novembre 1975, a 88 anni. Venne cremata e le sue ceneri furono sparse in mare sopra la Grande barriera corallina. 

Maria D'Asaro, 25.8.24, il Punto Quotidiano

venerdì 23 agosto 2024

Isole azzurre




Sedie
nell’aldiquà:
isole in compagnia
sotto abbracci di nuvole...
Azzurre.                                                        

mercoledì 21 agosto 2024

La logica della guerra nella Grecia antica... e non solo

         “Questo libro sulle dinamiche della guerra nella Grecia antica è stato scritto parallelamente allo svolgersi e perdurare della sanguinosa invasione militare russa dell’Ucraina (24 febbraio 2022) (…) e alle narrazioni che politici, giornalisti e comuni cittadini ne hanno fatto. (…)
      Lo scontro in Ucraina sta sullo sfondo generale del lavoro. Infatti, nei testi greci che trattano di conflitti bellici (…) ho inteso studiare anche le tematiche che via via si sono andate sviluppando e hanno dominato il racconto relativo alle ostilità odierne alle porte orientali dell’Europa.
Il passato lo si legge sempre alla luce del presente, e leggerlo alla sua luce consapevolmente e in maniera trasparente e tale che il presente stesso possa guardarsi acriticamente, è meglio che farlo senza rendersene conto e senza rendere conto.
      Ho cercato in sostanza, in buona parte, la declinazione antica di ciò che i miei occhi hanno visto quotidianamente nel suddetto contesto internazionale dal 24 febbraio 2022; anzi di ciò che i miei occhi hanno visto (…)  e, soprattutto, che le mie orecchie hanno udito: perché la guerra, anche quando è presentata con immagini provenienti dai luoghi in cui si svolge, è sempre accompagnata da parole che dicono dove siano state riprese quelle immagini, chi siano le persone che vi compaiono, da chi sia stato compiuto ciò che viene mostrato, quale ne sia il contesto e il significato.
      Ed è questo quello che ci spinge a farci quelle che poi chiamiamo «nostre» opinioni che, credo, sarebbero ben differenti se potessimo guardare soltanto le immagini pure e semplici, non selezionate o almeno non commentate. Allora vedremmo solo l’orrore e la distruzione, il vero volto della guerra, da qualunque parte la si guardi, che ci potrebbe indurre all’unica domanda a mio parere sensata: come fare cessare quell’orrore e quella distruzione senza contribuire ad aggiungere a nostra volta altro orrore e altra distruzione?
     Non esistendo la possibilità di limitarsi esclusivamente a osservare (…) non ci resta che analizzare le parole che, appunto, vengono abbinate alle immagini o sono addirittura l’unico canale attraverso cui entriamo in contatto con la guerra e che ce la fa vedere in un modo o in un altro. Per la massima parte, le parole degli attori mediatici hanno posto, e hanno suggerito a noi di fare altrettanto, domande diverse da quella presentata. Le più ricorrenti, e forse uniche, sono state: chi ha ragione? chi è il buono? (l’aggredito) e chi è il ‘cattivo’ (l’aggressore)? qual è la causa (rigorosamente al singolare) del conflitto armato? chi ha commesso crimini di guerra? quale delle due parti in conflitto fa la propaganda e quale dice la verità ?(…) 
     Sono tutte domande all’interno di un’impostazione del problema bellico che pensa la soluzione, sebbene dentro tempi per nulla definiti, in termini militari: ‘ovviamente’, basta capire chi è nel torto e porsi accanto, con le armi, a chi è dalla parte della ragione. Il che è ciò che istituzionalmente il nostro Paese, insieme a molti altri, ha fatto. Ma la questione è: si tratta di un’impostazione che possiamo ritenere corretta, utile o anche solo necessaria? Siamo veramente costretti ad agire così, o il sentimento di questa costrizione è esso stesso derivante dalle nostre abitudini culturali? 
    Analizzando, come dicevo, la ‘versione greca’ del tipo di pensiero e di linguaggio che dai nostri Governi, partiti, media, social viene per lo più utilizzato nella narrazione della guerra in Ucraina, questo lavoro vorrebbe avere l’effetto indiretto di mostrare in che modo tale pensiero/linguaggio possa essere stato esso stesso, in qualche misura, funzionale alla guerra. La messa a distanza, in un orizzonte storico lontano, del nostro discorso quotidiano sulla guerra può contribuire, senza rinunciare alle differenze tra passato e presente, ad individuare anche le analogie e a vedere la logica intrinseca a tale discorso (…).
     E a comprendere meglio, spero, in che modo la guerra, legata a ben precise pratiche discorsive, tanto dei protagonisti dello scontro, quanto delle terze parti che si schierano con uno di loro, sia capace di arruolare tutti al suo servizio, facendo svolgere loro l’ufficio di inconsapevoli oliatori del suo meccanismo, inducendoli a credere di stare parlare un linguaggio da cui in realtà sono parlati.
    A comprendere meglio, insomma, come mai la guerra continui a essere «un passato che non passa» ma che anzi si riproduce e si autolegittima tramite noi stessi”.

Andrea Cozzo La logica della guerra nella Grecia antica Palermo University Press 2024, pp.9-11

(Quella riportata è una sintesi dell’introduzione al libro, un gioiello di analisi storica e di analisi del presente. Seguirà recensione)


lunedì 19 agosto 2024

Olimpiadi, la palermitana Myriam Sylla campionessa di volley

      Palermo – L’11 agosto scorso a Parigi la squadra di pallavolo femminile ha conquistato la medaglia d’oro battendo in finale 3 a 0 gli Stati Uniti, squadra detentrice del precedente primato alle Olimpiadi del 2021 a Tokio. 
      La vittoria finale contro le statunitensi corona l’esaltante percorso agonistico delle azzurre, che entrano di diritto nella leggenda della pallavolo: in tutte le partite la squadra italiana ha perso solo un set contro la Repubblica Dominicana, contro cui ha appunto chiuso la gara 3 a 1. Le azzurre si sono poi imposte 3 a 0 contro tutte le altre squadre: Olanda, Turchia (incontrata due volte, sia nel girone di qualificazione che in semifinale) Serbia e, appunto, nella finale con gli Stati Uniti.
   Allenate da gennaio scorso da Julio Velasco - già mitico commissario tecnico della squadra di pallavolo maschile che con lui ha vinto tre europee e due mondiali - chi sono le atlete della nazionale femminile di pallavolo? 
      Sono 13 giocatrici assai diverse tra loro, che il grande Julio Velasco ha trasformato in una squadra assai coesa: la grande sintonia in campo è stata la marcia in più che ha contribuito allo storico successo delle azzurre. Eccole, le nostre campionesse olimpiche:
   Nel ruolo di ‘centrali’ (attaccanti dal centro della prima linea, in zona 3 del campo) ci sono la capitana Anna Danesi, una delle giocatrici più forti a livello mondiale, alla sua terza Olimpiade, Sarah Luisa Fahr, tornata a giocare vittoriosa dopo due gravi infortuni consecutivi al legamento crociato del ginocchio destro, e Marina Lubian. 
    Palleggiatrici sono la sarda Alessia Orro, che è un po' la regista della squadra, quella che dirige il gioco e decide a chi passare i palloni che riceve: l’intesa perfetta con le compagne l'hanno portata a conquistare il titolo di miglior palleggiatrice durante l'ultima Volleyball Nations League di Bangkok; seconda palleggiatrice è Carlotta Cambi, anche lei molto brava e precisa. 
    Nel ruolo di libero (introdotto nel 1998 dalla FIVB, Federazione Internazionale Volley Ball, il libero è specializzato nei fondamentali di ricezione e difesa e può stare solo in seconda linea) ci sono Ilaria Spirito, la tredicesima giocatrice a disposizione, e la veterana della Nazionale Monica De Gennaro che, con i suoi 37 anni, è la più anziana della squadra. Monica ha mostrato di essere una giocatrice eccezionale, ha recuperato palloni impossibili e ha spaziato con precisione in tutta la seconda linea. 
    Fortissima poi la squadra azzurra in attacco: con le schiacciatrici opposte ‘giganti’ Paola Egonu, una delle pallavoliste più forti al mondo e uno dei simboli dell'eccellenza sportiva italiana, capace di una elevazione eccezionale (344 centimetri), con percentuali di realizzazione altissime, e Ekaterina Antropova, alta 2 metri e 2 centimetri, la più giovane atleta della Nazionale italiana di volley. L’Antropova, trasferitasi da San Pietroburgo in Italia nel 2017, nel 2023 ha avuto il riconoscimento della cittadinanza italiana per meriti sportivi.
    A completare l’attacco le altre schiacciatrici: Gaia Giovannini, inserita in Nazionale proprio quest'anno; Loveth Omoruyi, con Ekaterina Antropova una delle atlete più giovani della squadra; Caterina Bosetti, che ha la pallavolo nel sangue poiché il padre Giuseppe ha allenato la Nazionale italiana e la sorella Lucia è una pallavolista di altissimo livello: Caterina garantisce alla squadra precisione, costanza e grande controllo; infine in attacco c’è Myriam Sylla, palermitana di nascita, giocatrice grintosa, forte e versatile, il cui apporto è stato fondamentale per la nazionale azzurra. La storia di Miriam - già raccontata da questo giornale nell’ottobre del 2018 - merita di essere ricordata. Si sceglie di farlo con le parole dello scrittore Soumaila Diawara, proveniente dal Mali, che da anni vive a Roma con lo status di rifugiato politico, perché, sebbene laureato nel suo paese in Scienze Giuridiche, è stato costretto ad abbandonarlo nel 2012 per ragioni politiche. 
   Ecco il suo racconto: “Abdoulaye Sylla, padre di Miriam, emigra dalla Costa d’Avorio a Bergamo, ma il freddo lo convince a trasferirsi a Palermo. Un giorno, sorpreso da una grandinata, riceve un passaggio in automobile da due coniugi, Paolo Genduso e Maria Rosaria Esposito, che nella vita gestiscono un bar. 
    La coppia decide di aiutare Abdoulaye, che inizia a lavorare per loro. Da lì a qualche tempo lo raggiunge dalla Costa d’Avorio sua moglie Salimata. A Palermo nasce la loro figlia, Myriam, che per tutta la vita considererà Paolo e Maria Rosaria come dei nonni. Anzi, li chiama proprio così. Questo è il passato, peraltro ricco per Myriam di momenti felici, ma anche di tante difficoltà. 
E poi c’è l’oggi. A Parigi Abdoulaye si è trovato ad abbracciare sua figlia Myriam in un contesto probabilmente inimmaginabile in quelle prime notti fredde bergamasche: Parigi, una finale olimpica, le tv del mondo. 
    Myriam è una delle più forti giocatrici di pallavolo del mondo ed è una colonna portante della nazionale del Paese in cui è nata e vissuta (ma del cui diritto di cittadinanza ha potuto beneficiare solo molti anni dopo la nascita). A fare il tifo per lei, oltre a tantissimi italiani, c’erano altre quattro persone speciali: mamma Salimata, da qualche parte in cielo, il suo “concittadino” palermitano (si è definito lui così) Sergio Mattarella e i due nonni Paolo e Maria Rosaria.”
    Ecco, infine, la risposta di Miriam in un’intervista all’Eco di Bergamo in cui le veniva chiesto se si sentisse più ivoriana o italiana: “Mi chiedono sempre se mi sento più italiana o ivoriana, ma è la domanda più insensata che mi si possa fare: sono nata qui, io sono e mi sento italiana. Magari più siciliana che del Nord".

Maria D'Asaro, 18.8.24, il Punto Quotidiano





sabato 17 agosto 2024

Una sedia nell'aldilà: eccomi al TG3 Sicilia. Grazie, Lucilla!



 Grazie di cuore alla disponibilità e alla professionalità della giornalista Lucilla Alcamisi.

Qui alcune recensioni e qui l'incipit della lettera a Vittorio Arrigoni.

mercoledì 14 agosto 2024

Sogno di una notte di mezza estate...

     Che nessuno fabbrichi più armi. Che le guerre siano bandite dal nostro pianeta. Che quando nasce una bambina o un bambino sia obbligatorio piantare un albero. Che sia doveroso mettere a dimora un albero anche quando qualcuno muore. Che chi ha due case ne dia mezza a chi non ne ha. Che chi ha tempo libero lo dedichi a fare del bene a se stesso, agli altri, al pianeta. Che l’etica, la cura, la gentilezza e la solidarietà abbiano il primato nella gerarchia sociale e l’economia sia solo una dea minore. Che negozi, supermercati e locali per vendere e comprare siano chiusi la domenica e le feste comandate. Che siano sempre al lavoro solo i medici, i pompieri e le professioni di cura. Che nessuno si senta sperduto nell’universo, ma abbia accanto un angelo che lenisca la sua solitudine. Che si abbia compassione e cura infinita gli uni degli altri.

lunedì 12 agosto 2024

Paolo Giaccone: vivo nella memoria e nel cuore

Il professore Paolo Giaccone con sua figlia Milly
        Assai partecipata, stamattina alle 10.30, al Policlinico che porta il suo nome, la 42° commemorazione dell’assassinio del professore Paolo Giaccone, ucciso il 12 agosto 1982.
       C’erano, tra gli altri, i rappresentanti di importanti Istituzioni:  il Professore Marcello Ciaccio, Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università degli Studi di Palermo; il Rettore dell’Università di Palermo, professore Massimo Midiri; la dottoressa Maria Grazia Furnari, direttrice generale del Policlinico di Palermo; il prefetto di Palermo, dottor Massimo Mariani, l’assessore alla Salute della Regione Sicilia. dottoressa Giovanna Volo; il sindaco di Palermo, professore Roberto Lagalla. C’erano soprattutto la dottoressa Milly Giaccone, una dei quattro figli del professore Giaccone, con il figlio Toti.
       I brevi e sentiti interventi commemorativi hanno  sottolineato la grandezza dell’uomo, del docente universitario, del medico. Il professore Giaccone è stato ricordato come un maestro, la cui memoria deve servire da esempio etico per chi non lo ha conosciuto: senza memoria non c’è presente, ha sottolineato il Rettore Midiri. Il Sindaco Lagalla ha confessato che da studente in Medicina,  ha sostenuto proprio con il professore Paolo Giaccone l’ultimo esame prima della laurea, rimediando, per una preparazione a suo dire non brillante, un generoso 27… Del professore Giaccone, il Sindaco ha sottolineato il sapere etico, la preziosa testimonianza di vita inconsapevolmente eroica, il docente che ha lasciato davvero un segno, una fiammella di luce nella vita degli altri.

Del professore Paolo Giaccone ho già scritto qui, qui e qui.







domenica 11 agosto 2024

Guardare le stelle fa davvero bene

        Palermo – Anche se è appena trascorsa la notte di san Lorenzo, per tradizione notte delle stelle cadenti, secondo l’Unione Astrofili Italiani ci sono ancora buone possibilità di ammirare le Perseidi, cioè lo sciame meteorico che prende il nome della costellazione da cui sembra provenire        Anzi, la notte in cui tale scia sarà più visibile è quella tra il 12 e il 13 agosto, quando si potranno vedere fino ad un massimo di 90 ‘meteore’ all’ora. 
       Come è noto, le Perseidi non sono affatto stelle cadenti: si tratta infatti di polveri che impattano con l’atmosfera, lasciate dal passaggio della cometa Swift-Tuttle. Infatti, i detriti della chioma di tale cometa - che passa ogni 133 anni circa – bruciano attraversando ad alta velocità la nostra atmosfera e lasciano nel cielo una scia luminosa. Scia di ‘stelle cadenti’ che vediamo sempre in agosto perché la terra, nel suo giro orbitale attorno al sole, attraversa la zona dove è più volte passata la cometa ogni anno proprio in questo periodo. Allora, nelle notti prima di Ferragosto, si sta a guardare il cielo notturno alla ricerca almeno di una ‘stella cadente’ e si esprime magari un desiderio... 
    Ma anche se non si dovessero scorgere ‘stelle cadenti’, guardare la volta celeste pare comunque che faccia bene al nostro benessere fisico e mentale.
      A ricordarlo, è il giornalista e tecnico meteorologo Daniele Ingemi che, in un articolo sul web, elenca i benefici, comprovati da varie ricerche, offerti dalla contemplazione del cielo stellato, possibilmente in una tersa e tiepida notte d’estate.
   Innanzitutto, guardare le stelle migliorerebbe la relazione fra le persone. Infatti, scrive Ingemi “quando osserviamo il cielo notturno comprendiamo quanto insignificanti siamo noi e quanto lo siano i nostri problemi. Connettersi con la vastità del cielo ci rinvigorisce e ci permette di ricordare che c’è qualcosa di molto più grande, che va ben oltre le nostre vite frenetiche. Quando guardiamo le stelle ci sentiamo piccoli e proviamo un senso di soggezione. Tale sensazione di meraviglia promuove un comportamento altruistico, accogliente e positivo. In questo caso il senso di meraviglia incoraggia a rinunciare a uno stringente interesse personale, per migliorare il benessere degli altri”.
   Inoltre, l’osservazione del cielo stellato funge come antistress. Secondo molti scienziati l’osservazione degli astri celesti è un motivo di vero rilassamento, quasi una sorta di terapia che allevia lo stress accumulato. 
    Il giornalista-meteorologo evidenzia che “Uno studio del 2014 ha suggerito che chi guarda le stelle si sente più in contatto con la natura. Dona una calma inspiegabile alla mente e al corpo. Qualunque sia il problema, non appena si comincia a osservare le stelle, gran parte del peso va a finire in secondo piano, mentre le tensioni della mente e del corpo vanno ad allentarsi.”
Jean Baptiste Perrin
   Infine, osservare la bellezza del cielo stellato renderebbe più libera la nostra immaginazione, spingendola oltre quei limiti imposti dal cervello alla nostra mente, e fornirebbe stimoli a nuove idee creative: “Le stelle ci aiutano a migliorare la nostra creatività. Guardare il cielo notturno, sentendosi di vivere il momento, dona un senso di illuminazione, pace e meraviglia”.
   Non ci resta allora che metterci col naso all’insù, scegliendo, se possibile, una postazione lontana dalle città e dall’inquinamento luminoso da esse prodotto: l’ideale sarebbe stare in montagna, o in aree di campagna lontane da centri abitati, o magari in qualche spiaggia distante da sorgenti luminose.
    Comunque, in mancanza di altre possibilità, se non vi sono fonti di luce a distanza ravvicinata e se si ha la pazienza di aspettare un po’ di tempo per far abituare gli occhi al buio, il cielo stellato si può osservare pure dal balcone di casa.
   E ci si trova d’accordo con quest’affermazione di Jean Baptiste Perrin (fisico francese destinatario nel 1926 del Nobel per Fisica): "È una debole luce, quella che ci arriva dal cielo stellato. Ma che cosa sarebbe il pensiero umano se non potessimo vedere le stelle?” 

Maria D'Asaro, 11.8.24, il Punto Quotidiano

sabato 10 agosto 2024

Sud Tirolo/Alto Adige: lo amo perché...


     Per i suoi magnifici laghi: qui il lago di Braies



















Qui, qui, qui e qui altre ragioni ... fotografiche del mio amore per il Sud Tirolo.