martedì 22 luglio 2025

Noi, che...

Noi,
che conserviamo gli scampoli delle pezzuole 
perché un rammendo, non si sa mai…
noi,
che ci ostiniamo a spolverare anche i Topolini 
acquistati vent’anni fa dai nostri figli…
noi,
che mangiamo yogurt scaduti e scaglie di formaggio ammuffito
perché è grazia di Dio…

noi,
che resistiamo a 33 gradi senza condizionatore
perché sposteremmo il caldo da dentro a fuori…
noi,
che tentiamo di resistere a 37 gradi senza condizionatore
perché mischine le signore e i signori in carcere al caldo cocente…
noi,
che siamo felici perché abbiamo l’acqua e un frigorifero
mentre c’è chi fa i turni per la doccia e beve acqua calda…
noi,
che nonostante i sondaggi e il vento contrario
sappiamo che la guerra nuoce gravemente alla salute (di tutti, pianeta compreso) ...
noi,
nonostante il caldo e l’età che avanza
(ma cosa è il caldo a paragone delle bombe su Gaza?)
andremo a piazza Massimo, a Palermo, il 24 luglio, dalle 18.30 alle 20 
a implorare “Fuori la guerra dalla Storia”…



domenica 20 luglio 2025

Il tarlo del non finito: ecco l’effetto Zeigárnik

       Palermo – Anche se all’Università abbiamo collezionato vari trenta, l’esame che ricordiamo di più è quello che abbiamo dato due volte. Ci tornano poi alla mente con maggiore insistenza il rebus che non siamo riusciti a risolvere, le note della canzone non identificata e le parole che non siamo riusciti a dire a una persona cara…
    Il meccanismo della nostra mente che tende a ricordare con più facilità i compiti interrotti e ciò che lasciamo a metà è noto in psicologia come effetto Zeigárnik.
      Si deve infatti a Bluma Zeigárnik, psicologa e psichiatra russo-lituana (nata a Prienai, in Lituania, nel 1900, morta a Mosca nel 1988) l’intuizione di questo particolare modo di ‘procedere’ della nostra mente e la sua sistematizzazione teorica.
    La studiosa, all’inizio degli anni ’20, in un ristorante affollato osservò che un cameriere ricordava tutte le ordinazioni eseguite solo in parte, mentre dimenticava subito le ordinazioni già portate a termine.  Decise allora di realizzare uno studio sperimentale affidando a diversi soggetti una serie di 18-22 esercizi da completare (enigmi, giochi, problemi aritmetici) e chiedendo poi quali esercizi ricordassero meglio. L'esperimento  (continua su il Punto Quotidiano)

Maria D'Asaro, 20 luglio 2025, il Punto Quotidiano



sabato 19 luglio 2025

19 luglio 1992: sembra ieri...

Del giudice Paolo Borsellino, dei cinque agenti della scorta morti nella strage di via d'Amelio, ho scritto qui:

https://maridasolcare.blogspot.com/2015/07/19-luglio-1992.html

https://maridasolcare.blogspot.com/2018/07/paolo-borsellino-martire-di-giustizia.html

https://maridasolcare.blogspot.com/2020/07/via-damelio-strage-che-cambio-litalia.html

https://maridasolcare.blogspot.com/2024/07/rita-settima-vittima-di-via-damelio.html

https://maridasolcare.blogspot.com/2019/07/19-luglio-27-anni-dopo.html

https://maridasolcare.blogspot.com/2010/09/manfredi-borsellino-al-padre-paolo.html

    Oggi, sabato 19 luglio, dalle ore 19,30 alle 20,  davanti la scalinata del Teatro Massimo, per ricordare tutte le vittime della mafia, la Fondazione Gaetano Costa, con l'adesione del Centro Studi Pio La Torre, del Centro Studi Terranova, dell'ANPI Sez. Provinciale di Palermo, della Scuola di formazione etico-politica G. Falcone, dell'associazione Immagin'azione attiva, propone ai cittadini palermitani ed agli ospiti della città, in occasione dell'anniversario della morte di Paolo Borsellino, un incontro silenzioso cadenzato dalle note del "Silenzio", suonato da più trombe ed ottoni. 

Si invitano i musicisti palermitani ad unirsi all'iniziativa.

giovedì 17 luglio 2025

17 luglio


Due

Tavolinetti colorati

Traboccanti di sorrisi

Dicono no alla guerra

Decisi                                                       






martedì 15 luglio 2025

Il mare di tutti...

       Forse c’è ancora, ovviamente inosservato, il divieto di balneazione. Dappertutto, cumuli di rifiuti: tutta la spiaggia è costellata da bottiglie, resti di cibo, piatti di plastica, sacchetti di immondizia. Ciò nonostante, specialmente di sabato, domenica e feste comandate, a Palermo il lungomare a est di sant’Erasmo è brulicante di gente: signore badanti in libertà, di tutte le lingue e di tutte le stazze; famiglie con nidiate di bambini dai nomi scontati (Christian, Ilary, Ivan, Morena); persone immigrate di varie etnie; le mogli dei musulmani osservanti che fanno il bagno completamente vestite; coppie di anziani che ballano al ritmo di sette ottavi
        Certo, a nostra signora mancava Malvarrosa, la meravigliosa distesa di sabbia valenciana… Ma si accontentava anche della spiaggia sporca a una manciata di km da casa: c’era comunque il respiro del mare e la magnifica vista di Monte Pellegrino, nel 1787 per Goethe il promontorio più bello del mondo...

domenica 13 luglio 2025

Taormina, Cardiochirurgia pediatrica a rischio chiusura

        Palermo – Cinquemila piccoli pazienti assistiti ogni anno, tra neonati, bambini e adolescenti; ventisei interventi chirurgici su bambini camerunensi affetti da cardiopatie congenite nell’ultima recente missione di Medicina umanitaria a Yaoundè, in Camerun: il reparto di Cardiochirurgia pediatrica dell’Ospedale "San Vincenzo" di Taormina, in provincia di Messina, collegato al Centro Cardiologico Pediatrico del Mediterraneo (CCPM), è senz’altro un presidio di eccellenza della Sanità italiana, oltre che un pezzo importante dei presidi ospedalieri di prossimità, perché  consente alle famiglie siciliane con bambini cardiopatici la possibilità  di cura non lontano da casa.
      Eppure il futuro di questo centro ospedaliero, che dal 2010 opera anche in collaborazione con l’ospedale romano “Bambin Gesù”, è a rischio: scadrà infatti il 31 luglio prossimo l’ultima proroga ministeriale indicata come non rinnovabile.
     Per chiedere alle Istituzioni preposte che la Cardiochirurgia pediatrica non venga smantellata, si è costituito da tempo un presidio permanente da parte delle famiglie dei tanti piccoli pazienti cardiopatici assistiti. “Basta passerelle… basta giocare con la vita dei nostri figli...” “È in gioco la nostra vita: no alla mattanza politica”: queste le scritte in alcuni cartelli allestiti dal presidio. 
     Il primo luglio scorso, al microfono del giornalista Duilio Calarco, del TG regionale siciliano,  il papà di un bambino ammalato ha dichiarato: (continua su il Punto Quotidiano)

Maria D'Asaro, 13 luglio 2025, il Punto Quotidiano

venerdì 11 luglio 2025

E il ficus rimane a guardare...

      Il pomeriggio dei giorni feriali, sotto un tendone bianco improvvisato, all’ombra del grande ficus magnolioides che costeggia la stazione Lolli di Palermo, ce li trovi quasi sempre: una mezza dozzina di uomini, forse anche qualcuno di più, seduti su sedie che hanno visto luoghi e tempi migliori. Sono maschi dall’età indefinibile -  50? 60? - con abbigliamento dimesso e l’aria a metà tra l’essere disoccupati o pensionati, qualcuno un po’ alticcio, tutti un po’ persi… Impegnati a giocare rumorosamente a carte: scopone scientifico, più spesso briscola, mentre gli esclusi si limitano a guardare e a commentare le mosse dei giocatori. 
     La domenica, per una sorta di turnover non dichiarato, a occupare le vecchie sedie ci sono persone venute da altri mondi: nord africani che ascoltano musica ad alto volume, più spesso indiani, o giù di lì, che giocano a una sorta di dama. 
      E il ficus, imparziale, rimane a guardare...

Maria D'Asaro





mercoledì 9 luglio 2025

Le donne e la guerra...

Carlo Zoli: Ettore e Andromaca (ceramica, 2016)
        “Le donne sono profondamente investite dalla guerra, dal razzismo e dalla povertà, i tre mali nominati da Martin Luther King. Ma quando ci ergiamo per la pace come donne, è (…) per rappresentare una differente visione della forza. 
      Le azioni pensate e guidate da donne hanno una speciale energia, uno speciale potere. Il potere non viene dall’escludere gli uomini, anzi, la maggior parte di queste azioni dà il benvenuto agli uomini come partecipanti, il potere viene dalla gioia e dalla potenzialità della visione che sorge quando siamo insieme come donne a difendere il valore della vita e a prenderci cura di ciò che abbiamo caro. (…)
     Nessun tipo di qualità è esclusivamente o in modo innato ‘femminile’ o ‘maschile’. Gli uomini possono essere compassionevoli, amorevoli e gentili, come le donne possono essere dure, coraggiose o insensibili.
Tuttavia, il patriarcato assegna le specificità associate all’aggressione e alla competizione agli uomini, e relega le donne a ruoli svalutati di nutrimento e servizio. Il patriarcato dà valore al ‘duro’ sopra il ‘morbido’, alla punizione, alla vendetta e al risentimento sopra la compassione, la negoziazione e la riconciliazione. Le qualità ‘dure’ sono identificate con il potere, il successo e la mascolinità e vengono esaltate. Le qualità ‘morbide’ sono identificate con la debolezza, la mancanza di potere, la femminilità, e vengono denigrate.
       Sotto la logica del patriarcato gli uomini vengono svergognati e considerati deboli se mostrano qualità associate con le donne. I politici vincono le elezioni se sono duri contro il terrorismo, duri contro il crimine, duri contro le droghe, duri contro il sostegno economico alle madri. Le richieste di cooperazione, negoziazione, compassione o riconoscimento della nostra reciproca interdipendenza sono correlate alla debolezza femminile. (…) Forza, punizione e violenza sono le risposte del patriarcato ai conflitti e ai problemi sociali.
    Il patriarcato trova la sua espressione ultimativa nella guerra. La guerra è il campo in cui i duri possono provare la loro durezza e i vincitori trionfare sui perdenti. I soldati possono venire indotti a morire o a uccidere quando la loro paura di essere etichettati come simili alle donne o ai vigliacchi supera la loro paura di fronteggiare o maneggiare la morte.
    La guerra rimuove ogni argomento a favore della tenerezza e dissolve ogni biasimo con la violenza. La guerra è la giustificazione per la morsa con cui i dominatori impongono il controllo su ogni aspetto della nostra vita. Le femministe sagge non dicono che le donne siano naturalmente più gentili, più dolci, più compassionevoli degli uomini. (…) Diciamo che il patriarcato incoraggia e ricompensa chi ha un comportamento brutale e stupido. Abbiamo bisogno di voci femministe rauche e incaute che pungano la pomposità, l’arroganza, l’ipocrisia della guerra; che indichino come battersi il petto del gorilla non sia diplomazia, come l’avere la più vasta collezione al mondo di armi falliche a proiettile non costituisca un’autorità morale, come l’invasione e la penetrazione non siano atti di liberazione. 
      E abbiamo bisogno di ricordare al mondo che la guerra moderna non risparmia mai la popolazione civile. Lo stupro è sempre un’arma di guerra e i corpi delle donne sono usati come premio per i conquistatori. In guerra, donne, bambini e anche uomini, che non hanno voce nelle politiche dei loro governanti, subiscono la morte, mutilazioni, ferite e la perdita delle loro case, dei loro mezzi di sussistenza, delle persone amate”. 

In Monica Lanfranco Donne disarmanti. Come e perché la nonviolenza riguarda il femminismo
VandA ediz. Milano, 2024 pp. 97-99 (si riporta qui un testo di Miriam Simos, detta Starhawk)

domenica 6 luglio 2025

A Menfi sventola la bandiera blu

     Palermo – È blu, e non bianca come quella celeberrima cantata da Franco Battiato, la bandiera che sventola sul litorale di Menfi, comune siciliano lungo la costa sud-occidentale della Sicilia, a circa 100 km da Agrigento e 125 da Palermo.
         Le spiagge del suo litorale hanno ottenuto infatti per il ventinovesimo anno consecutivo la Bandiera Blu, il prestigioso riconoscimento assegnato dalla Foundation for Environmental Education (FEE), che premia le spiagge che si distinguono per l'elevata qualità delle acque e per i servizi offerti ai visitatori.
     Con il suo mare cristallino, i fondali bassi adatti a tutti, le spiagge assai pulite e un modello virtuoso di accoglienza e gestione del territorio, Menfi si conferma una meta d’eccellenza del turismo balneare siciliano e italiano. (continua su il Punto Quotidiano)

Maria D'Asaro, 7.7.25, il Punto Quotidiano

sabato 5 luglio 2025

Don Chisciotte, i bombi e Alex Langer. Grazie, Bruno

      Bruno Vergani offre, nel suo blog, considerazioni magistrali, che ci aiutano a riflettere sul rischio di un umanesimo militante ‘tragico e messianico’, impegno che rischia di diventare burnout esistenziale. 
      Il 3 luglio ho ricordato Alex Langer: le riflessioni di Bruno viaggiano di conseguenza…

"Cristo, Don Chisciotte, i profeti: figure di una stessa ferita. Quando la potenza biologica di vivere si intreccia radicalmente al desiderio di trasformare il mondo, nasce l’umanesimo militante, messianico, tragico. La tragicità sta nello scarto tra ciò che l’uomo sogna e ciò che il mondo è: la speranza inchiodata alla storia concreta[1].

L’impegno personale perché il mondo sia un po’ migliore resta un valore fondante, imprescindibile: è ciò che rende umano il nostro passaggio. Ma l’iper-empatia può farsi trappola: burnout esistenziale estremo, senso di responsabilità assoluto, super-identificazione con la missione salvifica.
Il Sé si annulla pur di restare fedele a un dovere impossibile. È un narcisismo senza autocelebrazione: culto di un’immagine di purezza, di redenzione. «Se non salvo il mondo, io non sono».
Una grandiosità che non si esalta, ma si sacrifica. Nessuno spazio per l’imperfezione.
Oggi, guardando i bombi sui fiori di lavanda [sotto un breve video], ho visto che la natura — il mondo in cui gli uomini accadono — è reale, mentre il mondo degli uomini è un artificio.
I bombi non conoscono missioni né martiri. Vivono in un tempo senza scopo, senza colpa, senza debiti di salvezza. Un filare di salvie non chiede di essere salvato né giudicato. È.
Accettando la colpa di non essere necessari possiamo salvarci.
L’impegno rimane: trasformare un poco il mondo, restare fedeli a ciò che conta davvero.
Il resto respira da sé".

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1 In termini spinoziani tale scostamento genera  tristitia, che a me viene ogni volta che penso a Gaza. Spinoza invita a elaborarla, comprenderla, contenerla,  perché se estrema può sopraffare la potenza di esistere (conatus). Nell’Ethica Spinoza definisce le passioni come modificazioni della potentia agendi, cioè della capacità di agire. La tristitia è, per definizione, una passione di diminuzione. È un affetto di contrazione, di restringimento: ci chiude, ci separa da ciò che ci rafforza, ci rende meno capaci di perseverare nell’essere. Non serve a nessuno, se non a distruggere ulteriormente. La storia rendiconta depressioni estreme e anche suicidi di idealisti e di militanti del bene sconfitti. Nel contesto possiamo dire che la tristitia è la crepa tragica di chi porta su di sé il peso di un dovere storico troppo grande. Il profeta martire vive nella tristezza perché scambia la diminuzione di sé per prova di purezza. Spinoza suggerisce invece di radicare l’impegno nel gaudium — la gioia di potenziare sé stessi e gli altri senza immolarsi. Non rinunciare all’impegno, ma non lasciarlo diventare una passione triste.

giovedì 3 luglio 2025

3 luglio 1995/2025: 30 anni senza Alex Langer

       Se ne è andato il 3 luglio 1995, impiccandosi a un albero di albicocco, a Pian dei Giullari, in Toscana, Alex Langer, fondatore dei Verdi in Italia, strenuo promotore di ‘ponti’, costruttore di pace e profeta verde.
     Ci ha lasciato un biglietto  “I pesi mi sono diventati davvero insostenibili, non ce la faccio più. Vi prego di perdonarmi tutti anche per questa dipartita. Un grazie a coloro che mi hanno aiutato ad andare avanti. (…) «Venite a me, voi che siete stanchi ed oberati». Anche nell’accettare quest’invito mi manca la forza. Così me ne vado, più disperato che mai. Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto.” 

Su “Il Manifesto”, il 21 ottobre di tre anni prima, in occasione del suicidio di Petra Kelly) aveva scritto parole lucidamente anticipatorie e strazianti: 
 “A Petra Kelly più che a chiunque altro spettava anche individualmente l’appellativo col quale i «Grünen» nel loro insieme spesso erano stati caratterizzati: «Hoffnungsträger», portatori di speranze collettive. La giovane e minuta ex funzionaria socialdemocratica della Comunità europea (…) con foga quasi religiosa e con enfasi profetica aveva proclamato alcune verità semplici, ma difficili da tradursi in politica: che la pace si fa togliendo di mezzo le armi e gli apparati militari, che i diritti umani e di tutti gli esseri viventi non possono sottostare ad alcuna ragione di stato ed hanno carattere assoluto, che l’umanità deve optare se accelerare la corsa al suicidio (ed eco-cidio) o se preferisce un profondo cambiamento di rotta, magari doloroso per qualche rinuncia nel breve periodo, ma anticipatore di una nuova e più ricca qualità della vita. (…) 
Forse è troppo arduo essere individualmente degli «Hoffnungsträger», dei portatori di speranze: troppe le attese che ci si sente addosso, troppe le inadempienze e le delusioni che inevitabilmente si accumulano, troppe le invidie e le gelosie di cui si diventa oggetto, troppo grande il carico di amore per l’umanità e di amori umani che si intrecciano e non si risolvono, troppa la distanza tra ciò che si proclama e ciò che si riesce a compiere."

Quando, vent’anni fa circa, mi è capitato di leggere sul sito della Fondazione, la  sua biografia Minima Personalia, me ne sono perdutamente innamorata.   
                                                                         
Gli ho scritto una lettera postuma, qui.

Senza di lui siamo più poveri e soli. Ma Alex ci ha tracciato profeticamente gli orizzonti sui quali continuare: scelte ecologiche vere, nonviolenza (con istituzione dei corpi civili di pace e non con l’aumento delle spese per le armi), giustizia sociale.
Basterebbe leggerlo e … mettere in pratica il suo ottimo progetto politico.

Qui un ottimo articolo di Pasquale Pugliese, del Movimento nonviolento, su il Fatto Quotidiano



Qui l'articolo di Bettin, su  il Manifesto di oggi. (per chi si può registrare o è abbonato)

Grazie, infine, a Massimo Messina che su FB ha pubblicato l’Amaca di Michele Serra (La Repubblica, 3.7.25): "Alex, che voleva cambiare il gioco"

"Oggi è il trentesimo anniversario della morte di Alexander Langer, che decise di andarsene quando non aveva ancora cinquant’anni. Fu tante cose, così tante che quasi imbarazza ricordarlo in uno spazio così piccolo.
L’attività di intellettuale e quella di politico erano, per lui, semplicemente la stessa cosa: indistinguibili, come se il pensiero non fosse possibile senza la politica e viceversa.
Internazionalista e umanista, si definiva facitore di pace — non pacifista — e si vergognò a morte, da europeo, dell’insussistenza e della viltà dell’Europa durante l’orribile guerra tra le micro-nazioni della fu Jugoslavia. Pochi giorni dopo la sua scomparsa, come in un passaggio di testimone tra gli offesi e i carnefici, a Srebrenica i serbo-bosniaci massacrarono la popolazione musulmana come si fa con i tonni nella tonnara. Il genocidio era tornato in Europa.
Verrebbe da pensarlo come uno sconfitto, perché quasi nulla di ciò che avrebbe voluto è accaduto in Europa e nel mondo, e quasi tutto ciò che non voleva — il nazionalismo, la divisione, la guerra — è accaduto e continua ad accadere. Negli ultimi trent’anni sembra spazzata via la possibilità stessa di una diversa umanità, più fantasiosa delle nazioni, più intelligente della violenza, più pensosa, profonda e gentile. Il format del maschio prepotente e incolto domina la scena: nel gioco dei contrari, per immaginare Langer basta pensare al preciso opposto di Trump.
Però basta rileggere, o leggere, Il viaggiatore leggero, il libretto Sellerio che raccoglie alcuni dei suoi scritti, per ritrovare la voglia di battersi, diciamo così, proprio su un altro piano. A un altro livello, con altri mezzi, altre parole. Come se la vera posta in palio non fosse battere il nemico, ma cambiare il campo di gioco e le sue regole".

Qui altri approfondimenti: 

martedì 1 luglio 2025

Docufilm di Julien Elie sul paesaggio di Boca Chica

      Palermo – “Un vecchio e un bambino si preser per mano/e andarono insieme incontro alla sera/la polvere rossa si alzava lontano/e il sole brillava di luce non vera. /L'immensa pianura sembrava arrivare/in dove l'occhio di un uomo poteva guardare/e tutto d'intorno non c'era nessuno:/solo il tetro contorno di torri di fumo/I due camminavano, il giorno cadeva/ il vecchio parlava e piano piangeva:/con l' anima assente, con gli occhi bagnati,/seguiva il ricordo di miti passati…/” 
Questo l’incipit de Il vecchio e il bambino, una delle canzoni più struggenti e poetiche di Francesco Guccini, dove si immagina un vecchio raccontare a un bambino, che purtroppo non le ha mai conosciute, la bellezza e i colori della terra.
Il regista canadese Julien Elie con il suo docufilm Shifting baselines (che letteralmente significa ‘spostamento dello standard’), presentato il 9 giugno a Torino a conclusione della rassegna CinemAmbiente, racconta la storia di Boca Chica, un villaggio all’estremità meridionale del Texas, ai confini col Messico, scelto da Elon Musk nel 2018 come quartier generale di SpaceX e per il lancio dei satelliti Starlink.
 “C'è un sacco di terra, senza nessuno intorno, così anche se qualcosa esplode, va tutto bene". Questa la dichiarazione rilasciata allora dal miliardario americano, riportata dalla giornalista Alessia Mari nel TG scientifico Leonardo del 10 giugno scorso. Allora gli abitanti di Boca Chica furono costretti a vendere, e il litorale, habitat naturale di pesci e uccelli selvatici, fu requisito.
Ad Alessia Mari, che lo ha intervistato a Torino, Julien Elie ha detto (continua su il Punto Quotidiano)

Maria D'Asaro, 29.6.25, il Punto Quotidiano


sabato 28 giugno 2025

Disperse un giorno... e poi madri per sempre

P.Picasso. Madre con bambino (1921)
     Ora che essere prof. è un ricordo lontano, la consapevolezza è ancora più chiara: alunne/i in dispersione scolastica rischiano molto più degli altri un fallimento esistenziale. 
     Ma due ex alunne disperse pareva si fossero in qualche modo salvate: N., che aveva abbandonato per aiutare la madre incinta con minacce d’aborto, era madre di due bambini, dopo aver preso la licenza media a diciott’anni.  
      Giorni fa, la vecchia prof aveva poi visto sotto casa A., alunna dispersa con tanti chili, ora ancora più obesa ma con gli occhi brillanti di mammina felice: teneva per mano un bambinetto contento. C’era un uomo con lei, dallo sguardo semplice e buono.
     Disperse un giorno, “ma poi madri per sempre nella stagione che stagioni non sente”.

mercoledì 25 giugno 2025

Gent.ma Presidente del Consiglio: il vecchio che avanza...

 
Ho sentito la sua dichiarazione, espressa mi pare in Parlamento: “La penso come i Romani: si vis pacem, para bellum”. Sono rimasta basita: non credevo che Lei potesse manifestare con chiarezza un pensiero - a mio avviso - così  logoro, violento, radicalmente inefficace, espressione di una vecchia  visione del mondo bellicista e sterilmente militarista.
     La invito a pensare invece a un possibile, radicale cambio di paradigma, storico e antropologico insieme. Oggi più bisogna ripartire dal pensare e progettare la Pace. Ci troviamo di fronte a un vuoto teorico e di visione, come se la Pace fosse un ideale non politico …      
   Sa che martedì 24 giugno scorso c’è stata proprio a Roma,  presso l’Auditorium Bachelet della Domus Maria, la presentazione ufficiale della proposta per l’istituzione di un Ministero della Pace? L’evento, organizzato da Fondazione Fratelli Tutti, Azione Cattolica Italiana, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII e ACLI-Associazioni Cristiane lavoratori Italiani e da una rete ampia di associazioni della società civile, promosso dalla Campagna “Ministero della Pace”, è nato dalla volontà di dare un assetto istituzionale e stabile alle politiche di pace, di giustizia e di disarmo nel nostro Paese, perché la pace possa divenire architettura politica e istituzionale, e non solo ideale etico.
    Il Ministero della Pace sancirebbe un cambio radicale di paradigma, un segno tangibile dell’abbandono della logica mortifera e nefasta del principio si vis pacem, para bellum, per abbracciare invece la nuova logica ‘se vuoi la pace, progetta la pace’.
      Perché la pace va pensata e resa possibile, nella consapevolezza che l’oscenità della guerra, anche se spesso ritenuta inevitabile, è in realtà una costruzione umana, frutto del primato della violenza. Ho scoperto che si deve a don Oreste Benzi, il prete romagnolo fondatore della Comunità ‘Papa Giovanni XXII’, la richiesta di istituire un Ministero della Pace, formulata una prima volta nel 1994, durante il terribile conflitto nell’ex Jugoslavia, e poi formalizzata nel 2001 con una lettera all’allora Presidente del Consiglio: «Da quando l’uomo esiste ha sempre organizzato la guerra, è arrivata l’ora di organizzare la pace. Un ministero trasversale per organizzare la pace». 
     Cara Presidente Giorgia Meloni, abbiamo bisogno di nuove architetture del pensiero per pensare e organizzare la pace. Abbiamo bisogno di interconnettere la sfera culturale, quella etica, quella giuridica e quella istituzionale. Abbiamo bisogno di ripartire dalla nonviolenza come mezzo di risoluzione dei conflitti. Ma chi sa parlare e agire con nonviolenza oggi? 
    La nonviolenza è una weltanschauung, uno stile di vita, una visione del mondo sistemica, olistica, che accetta la conflittualità dei rapporti umani senza considerare ineluttabile che il conflitto sfoci nella lite, nella violenza, nella guerra. 
Cara Presidente, è ormai necessario scardinare l’idea radicata che la virtù civica e politica si esprima attraverso il dare la vita in guerra: necessario scardinare il nesso tra guerra e cittadinanza. La patria non si difende con le armi: Lei saprà bene da anni giace in Parlamento la proposta di legge per l’istituzione di una Difesa civile popolare e nonviolenta.
Crediamo fermamente che il dovere di difesa della patria, ribadito dall’art.52 della Costituzione, possa essere agito anche senza le armi, anche senza uccidere.
Lei potrebbe ribattere:  lei è un’utopista senza speranza… Ma sono le idee nuove che cambiano la Storia. Se tante donne non avessero lottato per la loro dignità, idea nuova rispetto al Diritto romano, oggi Lei non presiederebbe il Governo italiano.
     Riporto infine parte del  toccante intervento del compianto dottore Gino Strada a Stoccolma, dove, nel dicembre del 2015, il Parlamento svedese gli ha tributato il Premio Nobel alternativo Right Livelihood  "per la sua grande umanità e la sua capacità di offrire assistenza medica e chirurgica di eccellenza alle vittime della guerra e dell'ingiustizia, continuando a denunciare senza paura le cause della guerra". 
      Ecco le sue parole:  «La maggiore sfida dei prossimi decenni consisterà nell'immaginare, progettare e attuare le condizioni che permettano di ridurre il ricorso alla forza e alla violenza di massa fino al completo abbandono di questi metodi. La guerra, come le malattie mortali, deve essere prevenuta e curata. La violenza non è la medicina giusta: non cura la malattia, uccide il paziente. L'abolizione della guerra è il primo e indispensabile passo in questa direzione. Possiamo chiamarla "utopia", visto che non è mai accaduto prima. Tuttavia, il termine utopia non indica qualcosa di assurdo, ma piuttosto una possibilità non ancora esplorata e portata a compimento. 
Come le malattie, anche la guerra deve essere considerata un problema da risolvere e non un destino da abbracciare o apprezzare, dobbiamo convincere milioni di persone del fatto che abolire la guerra è una necessità urgente e un obiettivo realizzabile. Questo concetto deve penetrare in profondità nelle nostre coscienze, fino a che l'idea della guerra divenga un tabù e sia eliminata dalla storia dell'umanità. (…)  Ancora oggi ci troviamo ancora davanti al dilemma posto nel 1955 dai più importanti scienziati del mondo nel cosiddetto Manifesto di Russel-Einstein: 'Metteremo fine al genere umano o l'umanità saprà rinunciare alla guerra?'. Ѐ possibile un mondo senza guerra per garantire un futuro al genere umano? Molti potrebbero eccepire che le guerre sono sempre esistite. Ѐ vero, ma ciò non dimostra che il ricorso alla guerra sia inevitabile, né possiamo presumere che un mondo senza guerra sia un traguardo impossibile da raggiungere. Il fatto che la guerra abbia segnato il nostro passato non significa che debba essere parte anche del nostro futuro».

Spero che, prima o poi, potremo confrontarci serenamente su questi temi cruciali. Un saluto cordiale.



domenica 22 giugno 2025

Forse...

Forse
I generali non riconoscono
La fragranza tenue dei ligustri
L'odore delicato del gelsomino
La dolcezza fragile di una pomelia


Forse
Gli manca il profumo dei fiori
Per riconnettere frammenti di anima
Per ridiventare umani
Per rifiutare il fetore della guerra

venerdì 20 giugno 2025

Dichiaro...











Dichiaro che non c’è altro Essere umano
All’infuori di Colui il cui cuore trema di amore
Per tutti i suoi fratelli in umanità
Colui che desidera ardentemente
Più per loro che per se stesso
Libertà, pace, dignità
Colui che considera la Vita
Più sacra ancora delle sue credenze e divinità
Dichiaro che non esiste altro Essere umano
all’infuori di Colui che combatte senza tregua l’Odio
In lui e intorno a lui
Colui che fin dal momento in cui apre gli occhi al mattino
Si pone la domanda:
cosa farò oggi per non perdere
la mia qualità e la mia fierezza
di essere uomo?

Abdellatif Laâbi

Vedi qui e qui 


mercoledì 18 giugno 2025

Rosella Prezzo: le guerre viste (solo) in TV

 Più che mai attuale lo studio condotto da Rosella Prezzo. Ecco l'annunciata recensione del suo libro:

Cantieri culturali della Zisa, 8.6.25: Rosella Prezzo, II da sinistra
           Palermo – “Le guerre non si dichiarano più e si eternizzano, così come non si sa più quale e dove sia quello che un tempo si chiamava ‘campo di battaglia’… nel mio caso le guerre le ho proprio soltanto viste, nella velocità istantanea dell’ubiquità mediatica”. Prende spunto proprio da “questa comune esperienza da spettatrice attraverso gli schermi” Guerre che ho (solo) visto (Moretti & Vitali Bergamo 2025), saggio di Rosella Prezzo, filosofa, saggista e traduttrice: centocinquanta pagine preziose e assai dense che analizzano acutamente la guerra di ieri, ma soprattutto quella di oggi. E invitano a ‘pensare l’impensato della pace’ alla luce, ad esempio, del pensiero di Simone Weil, Virginia Woolf e Maria Zambrano.
       Emblematici i titoli di due dei capitoli che compongono la prima parte del libro: Dal corpo eroico al corpo osceno del guerriero e alla guerra postumana e Reduci, sopravvissuti/e, profughe/i.
L’autrice sottolinea infatti che, nel passato “Il corpo del guerriero è stato a lungo al centro di una vasta strategia narrativa e simbolica… Attraverso la figura del guerriero, insieme alla retorica del discorso sui caduti in battaglia, si è espressa per secoli l’esemplare virtù civica e politica”. E poi “La rivoluzione francese è il momento in cui il soldato e il cittadino si fondono: il cittadino è tale perché imbraccia le armi per difendere le proprie conquiste rivoluzionarie”. Anche oggi purtroppo: “L’implicito nesso tra attestazione di piena cittadinanza e prova fornita in guerra rimane sottotraccia nel discorso politico pubblico”.
     Ma, negli ultimi decenni “Si è introdotto un nuovo orizzonte di senso insieme a un nuovo racconto, dove il fronte è diventato globale (privo di spazio e tempo definiti) e soprattutto asimmetrico e iper-tecnologizzato. Alla base sta quello che i teorici del Pentagono hanno battezzato come Information Warfare (IW) o Revolution in Military Affairs (RMA), animata da un vero e proprio millenarismo tecnologico e dalla filosofia della guerra a ‘zero morti’ (ovviamente nelle proprie file).” “Il conflitto armato ad alta tecnologia - annota ancora la studiosa – implica controllo e gestione a distanza del teatro bellico con il minor impegno possibile della variabile umana ma con un’aumentata potenza distruttiva”.
     Siamo nel pieno della ‘guerra post-umana, fatta con i droni e l’Intelligenza artificiale, guerra che aumenta a dismisura il fossato tra sé stessi e le vittime, rendendo sempre più aleatoria la responsabilità individuale.
     Di contro, con una progressione costante e numeri impressionanti, le vittime delle guerre sono sempre di più i civili (si pensi al massacro odierno di civili palestinesi) e, con loro, le crescenti ondate di profughi: così, evidenzia l’autrice “tornano inevitabilmente a mostrarsi i corpi: corpi non combattenti, sfiniti, violati, intrappolati, annichiliti, soprattutto di donne, insieme a bambini e a vecchi. (…) Corpi in fuga, senza luogo, spostati, braccati: ‘comparse’, ammutolite dalla paura e dal dolore, che vengono a occupare l’intera scena della tragedia bellica…
      Da dove ripartire per ripensare e progettare la pace? (continua su il Punto Quotidiano)

Maria D'Asaro, 15 giugno 2025, il Punto Quotidiano

lunedì 16 giugno 2025

E se il rifiuto della guerra fosse il cambiamento di paradigma oggi necessario?

         Oggi alle 17 – si c’è caldo è vero … - al No Mafia Memorial in via Vittorio Emanuele 353, si parlerà di obiezione di coscienza a tutti gli eserciti, a partire dal testo La coscienza dice NO alla guerra, curato da Enzo Sanfilippo e Annibale Raineri.

(Questo l'inizio del mio intervento: 

1. Ci serve la radicalità di un nuovo pensiero, ci serve una prassi culturale e politica diversa: è necessario rifondare un nuovo umanesimo: nuovo umanesimo considerato oggi u-topico e radicale, ma non per questo velleitario e irrazionale. Se c’è qualcosa di profondamente irrazionale e inumano è proprio la guerra. Dopo che per secoli ha partecipato alle guerre e benedetto le armi, anche grazie alle sollecitazioni di Lanza del Vasto e della moglie Chanterelle, persino la Chiesa cattolica con Giovanni XXIII, nella Pacem in Terris, ha affermato finalmente: Bellum alienum a ratione

2. Ma qui vogliamo dichiararlo laicamente e il testo curato da Annibale e da Enzo ha proprio questo scopo: la guerra è una istituzione storica assurda, inumana, violenta, inutile, dannosa, stupida, incompatibile con l’etica e con l‘ecosistema ambientale’. È il momento di fare l’obiezione alla guerra, partendo dalla coscienza e mutando paradigma antropologico-culturale.  Chi ha masticato un po’ di filosofia della scienza, ricorda l’introduzione dell'idea di paradigma scientifico, avanzata da Thomas Kuhn nel 1962: nel sapere scientifico possono esserci paradigmi conoscitivi, fondamenti che si tengono in piedi per secoli, ma che poi, se modificati, permettono di intravedere un'impostazione dei problemi differente e una loro differente soluzione. Perché non dovrebbe essere così anche nell’orizzonte culturale/antropologico/istituzionale? Sappiamo bene ormai che la nostra società è basata su un ordine simbolico/culturale (anche se a volte implicito): la violenza della guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti va disvelato come paradigma vecchio e modificabile … 

(continua alle 17 al No Mafia...)

Se volete venire preparati/e: 















martedì 10 giugno 2025

Etna Comics, Topolino omaggia Franco Battiato

       Palermo – Topolino, storica rivista dei fumetti della Disney, ha reso omaggio a Franco Battiato, morto il 21 maggio 2021, dedicandogli il numero 3627 del settimanale, con una copertina speciale.
      La variant cover, in bianco e nero, mostra Pippo in primo piano, occhiali da sole inforcati per avere più carisma e sintomatico mistero, con le palme e un vulcano fumante come sfondo, in un’immagine che ricorda i luoghi in cui viveva il cantautore catanese, in particolare la sua Milo, in mezzo al parco dell’Etna. Senza snaturarne la grafica originale, la copertina richiama nettamente quella de ‘La Voce del Padrone’, il celeberrimo album del 1981 del cantautore siciliano.
    L’edizione celebrativa è stata disponibile in anteprima assoluta, in tiratura limitata, per il pubblico presente allo stand Panini Comics Italia, alla tredicesima edizione di Etna Comics 2025, che si è tenuta a Catania dal 30 maggio al 2 giugno. Dal 5 giugno, la rivista si può invece acquistare nei negozi specializzati e sul sito www.panini.it.
     Autore della copertina è il fumettista triestino Alessandro Pastrovicchio che, intervistato il 20 maggio dalla giornalista Letizia Vella al TG della Regione siciliana, ha espresso intanto il suo amore assoluto per Battiato: “Io Battiato lo adoro da una vita… Durante la realizzazione della copertina ascoltavo ripetutamente ‘La Voce del Padrone’… Pippo ha la testa sulle nuvole, è talmente strano e talmente onirico che doveva assolutamente reinterpretare il maestro Franco Battiato, innanzitutto, secondo me,  per una somiglianza proprio fisica, intanto l’altezza di Pippo e quella di Battiato… Nel disegnare la copertina ho giocato con le orecchie di Pippo, per formare il codino tipico di Battiato nella famosa foto dell’album.”
  Alessandro Pastrovicchio ha esordito come disegnatore alla Disney Italia nel 1998. Per Edizioni Piemme, nel 2007 ha curato la parte grafica di un libro di Geronimo Stilton; nel 2008 ha iniziato la collaborazione con la Star Comics; dal 2011 ha disegnato anche per Sergio Bonelli Editore. Nel 2023, in occasione dell'undicesima edizione di Etna Comics, è già stato autore della copertina variant  n.3523 di  Topolino. 
Il fumettista è stato presente il 30 maggio nello stand di Etna Comics per il firma copie e con una sua storia inedita. Ha poi dichiarato di essere pronto a far tornare la Sicilia nei suoi disegni: “Spero tanto di sì, perché amo il vostro territorio, sono innamorato della Sicilia, di Catania e ho un amore incondizionato verso Battiato.”
     Etna Comics, Festival internazionale del Fumetto, del Gioco e della Cultura Pop, è un festival internazionale dedicato al fumetto, al cinema d'animazione, ai giochi da tavolo e ai videogiochi. Inaugurato nel settembre 2011, si tiene annualmente a Catania, adesso a fine maggio, presso il centro fieristico le Ciminiere. Anche quest’anno ha avuto un enorme successo: secondo gli organizzatori si sono raggiunti circa 100.000 visitatori. La fiera è una delle più importanti rassegne del fumetto in Italia: con il  festival partenopeo Napoli Comicon è la principale manifestazione di tale settore nel Meridione. 


Maria D'Asaro, il Punto Quotidiano, 8.6.25





domenica 8 giugno 2025

Pensare l'impensato della pace... ore 19, Cantieri Culturali

       "Vedo molti affannarsi a giustificare in vario modo la guerra (…) pochi a cercare di fermarla o evitarla.
Anche perché non si ha il coraggio né l’onestà di dire che siamo in una situazione di guerra non dichiarata, ma che opera comunque con i suoi effetti nefasti nelle nostre vite. (…) Di contro non si troverà nessuno che, in linea di principio, non si dichiari a ‘favore della pace’.
      Ma allora dovremmo forse domandarci: di cosa parliamo quando parliamo di pace? Il fatto è che se, da sempre, della guerra abbiamo racconti, discorsi e retoriche, descrizioni infernali ed azioni eroiche, immagini e fantasmi, e soprattutto strategie, a cominciare da quell’arte della guerra, a cui essa è stata nobilmente associata, niente di tutto ciò è accaduto per la pace.
       Come se qui ci trovassimo di fronte a un vuoto teorico e di visione. Basti pensare che non è mai stata sfiorata nemmeno l’idea di un Ministero della Pace, come se la Pace fosse un ideale non politico. (…) La Storia ha visto sempre solo Ministeri della Difesa che si tramutano prontamente, all’occasione, in Ministeri della Guerra. Forse, un tale Ministero della pace rientrerebbe in quelle istituzioni da inventare (perché sconosciute) che Simone Weil auspicava, al di là di quelle a tutela del diritto e delle libertà democratiche. Altre istituzioni, destinate, cioè, come affermava Simone Weil «a discernere e abolire tutto ciò che nella vita contemporanea schiaccia le anime sotto l’ingiustizia, la menzogna e la bruttezza». 
Per questo, pensare e dire la pace significa, anzitutto, pensare l’impensato della pace."

Rosella Prezzo Guerre che ho (solo) visto Moretti&Vitali Bergamo 2025, pp.75,76











giovedì 5 giugno 2025

La pace inquieta di Maria Zambrano: non subire la metafisica, ma farla...


        "Il pensiero della pace è ciò che congiunge i due estremi della vita di Maria Zambrano. (…) In una società dall’ordine musicale come lei la intende, dove la democrazia non può esaurirsi certo in una stanca liturgia elettorale ma riguarda la quotidianità in cui ciascuno/a contribuisce attivamente alla sua realizzazione, la pace non può essere pensata come semplice equivalenza dello stato di non-guerra. Perché ciò equivale a un equilibrio precario, fragile, basato principalmente sulla paura. 
     E una pace del genere, priva cioè di una propria ‘sostanza morale’, può rappresentare solo una tregua. Una pace che aspiri a essere duratura non può neanche tendere alla fine di ogni lotta o al quieto vivere.
      La pace, al contrario, è ‘inquieta’, non ammette l’immobilità, ma deve ridefinirsi di fronte a ogni nuova situazione e circostanza. Non può avere un’unica strategia che non guarda in faccia nessuno, ma ha bisogni di accordi continui, e di un coraggio ben più saldo di quello esaltato e furioso con cui ci si getta in guerra.
     Pace non significa società pacificata, come in quell’immagine della pace eterna promessa alla fine della vita. La pace sta dalla parte della vivacità. Dell’agonismo e del gioco, dell’inquietudine che impedisce il conformismo o ancor peggio la complicità verso un ordine dato solo nella misura in cui ci si adatta alla propria convenienza. La pace non è la fine di tutti i nostri affanni, ma è la vita di un incessante interrogare che ci spinge oltre, in cerca di relazioni rette dalla libertà e dalla giustizia e non dalla paura e dal dominio. La pace, dice in sintesi Maria Zambrano «è un modo di vivere, di abitare il pianeta, di essere umani».
     Per questo è «un’intima rivoluzione» che non mira ad occupare il potere per sé stessi, ma muove ciascuno/a a superare una soglia, quella che separa la «storia sacrificale», fatta di idoli e di vittime, per entrare in un processo di umanizzazione della storia. Un processo che non ha bisogno di armi, di parole d’ordine o «ornate di maiuscole» (per usare un’espressione di Simone Weil), ma di parole che fanno riflettere e insegnano a pensare, parole terrestri e alate.
     Similmente per Hannah Arendt la guerra si produce nell’impotenza della politica, che è per lei il luogo dell’agire politico dove l’atto e la parola non si separano. Sul mito del progresso tecnologico, sempre più invasivo, e del suo rapporto con la violenza, dovrebbero poi far riflettere le sue analisi Sulla violenza, scritto del 1968, dove ragiona su quella che definisce «l’impotenza della potenza». Il riferimento è all’America che, nella sua potenza tecnologica e militare sempre più dispiegata (…), nasconde un’impotenza pericolosa di un fare politico in cui non ha più dimora il pensiero tra l’impeto e l’atto, e che nega per ciò stesso la sfera pubblica in cui si incontrano e si confrontano l’azione e la parola.
       Per questo, a maggior ragione, quando vaghiamo come persi in un labirinto di specchi, privi di orizzonte, in un mondo in cui gli eventi sembrano caderci addosso ineluttabili, il pensiero deve servire da guida’ affinchè in quel labirinto e in quel buio non ci smarriamo, aprendoci un varco lì dove non sembra esserci alcun passaggio, alcuna via d’uscita.
    Proprio allora, come ci invita a fare Maria Zambrano, «occorre cambiare atteggiamento: invece di essere divorati in un processo metafisico di distruzione, levarsi a pensare. Non subire la metafisica, ma farla»."

Rosella Prezzo,  Guerre che ho (solo) visto Moretti &Vitali, Bergamo 2025, pagg. 91,92

Ne discuteremo con l'autrice domenica prossima, a Una marina di libri