domenica 19 ottobre 2025

Sicilia bedda? Sembra proprio di no…

      Palermo – “Sicilia bedda mia, Sicilia bedda…”, cantava Franco Battiato nella canzone Veni l’autunnu, esprimendosi in dialetto siciliano. Invece, in questo inizio di autunno, la Sicilia non ha donato grazia e bellezza, ma è stata alla ribalta nei media nazionali per vari episodi di cronaca, tutti negativi.
     Intanto ha fatto notizia il rapimento-lampo di un diciassettenne, portato via con la forza mentre era in strada, sotto gli occhi attoniti dei suoi amici. Il fattaccio è avvenuto la sera del 25 settembre a Vittoria, grosso centro del ragusano. Il ragazzo, figlio di un commerciante di prodotti ortofrutticoli, è stato poi ‘liberato’ meno di 24 ore dopo, senza una richiesta di riscatto. La famiglia e tutta la comunità isolana hanno tirato un respiro di sollievo; ma un rapimento è una ferita, il sintomo della ripresa di una prassi criminale, un grave segnale d’allarme che non può essere sottovalutato.
    Il 10 ottobre scorso a Mazara del Vallo, in provincia di Trapani, è morta a 56 anni la professoressa Maria Cristina Gallo. La sua morte ha fatto molto rumore perché la donna, che lascia due figli e il marito, è morta di malasanità. 
    Ecco la sua storia: Maria Cristina era stata sottoposta a un intervento chirurgico per un fibroma uterino a dicembre del 2023, nel reparto di ginecologia dell’ospedale di Mazara del Vallo. Le era quindi stato prelevato un campione di tessuto per effettuare una biopsia. Sebbene il referto (continua su il Punto Quotidiano)

Maria D'Asaro, il Punto Quotidiano, 19 ottobre 2025

venerdì 17 ottobre 2025

Stelle filanti

Vincent Van Gogh: Notte stellata,1889, penna e inchiostro (museo Shchusev-Mosca)



Partorire

di notte

tra neuroni danzanti

stelle filanti di idee…

Mar-uz-ziane.                             

mercoledì 15 ottobre 2025

Scongelare i cervelli contro la crisi climatica

      Palermo – Perché rimaniamo quasi sempre inerti mentre i ghiacciai si sciolgono, alluvioni e siccità devastano vari territori, gli oceani e i mari si riscaldano, la biodiversità si riduce?  Perché di fronte all’incontestabile cambiamento climatico né i singoli né le istituzioni politiche fanno qualcosa di significativo per contrastarlo? 
       Lo aveva già spiegato, nel suo saggio del 2019 Possiamo salvare il mondo prima di cena, il giornalista americano Jonathan Safran Foer, che scriveva: “Il nostro sistema d’allarme non è fatto per le minacce concettuali e continuiamo a vivere come se niente fosse.” “Continuiamo a sentire lo sforzo di salvare il nostro pianeta come una partita fuori casa di metà campionato”.
       Ce lo rispiega oggi Matteo Motterlini, Direttore del Centro di Epistemologia sperimentale dell’Università san Raffaele di Milano, nel suo testo Scongeliamo i cervelli, non i ghiacciai (Solferino, Milano, 2025). 
     Ecco le sue parole nell’intervista rilasciata ad Alessia Mari il 30 settembre scorso, al Telegiornale della scienza Leonardo: “Noi abbiamo un cervello progettato per reagire a sfide concrete, immediate e fa molta fatica ad affrontare un problema (la crisi climatica) che è invece lento, insidioso, che si svolge su un arco temporale molto lungo.
Il nostro cervello si è evoluto per sopravvivere nella savana, per reagire e scappare istantaneamente da un predatore. Oggi invece siamo chiamati a una sfida molto difficile: agire subito per qualcosa che accadrà domani o nel futuro”.
     Proprio come nella celebre metafora della rana bollita, rischiamo di restare immobili in una pentola che si scalda a poco a poco, senza attivare il nostro sistema d’allarme. Infatti, tale ‘miopia temporale’ è proprio uno (continua su il Punto Quotidiano)

Maria D'Asaro, 12 ottobre 2025, il Punto Quotidiano

lunedì 13 ottobre 2025

Noi, che ...

 
L. Alma -Tadema: Ritratto di Anna e Laurense (1875)
 Noi, che cuciniamo razione tripla di lenticchie con carote per i nipotini

Noi, che combattiamo con pazienza la cocciniglia dalla rosa di cera con i fondi di caffè

Noi, che non gettiamo neppure  la crosta di pane, mangiamo yogurt scaduto e le melanzane arripuddute, perché tutto è grazia di Dio

Noi, che lasciamo scorrazzare le formiche, nel pavimento della cucina, almeno per oggi

Noi, che ci consoliamo ascoltando Branduardi, De Andrè e Francuzzo Battiato

Noi, che ricicliamo anche le minuscole pezze per pulire vetri e ogni superficie lavabile

Noi, che siamo disperate per lo scioglimento del permafrost che rilascia il terribile metano e non ci dà affatto una mano

Noi, che abbiamo fatto voto di non usare quasi mai l’auto ma ci sentiamo sole, impotenti e patetiche

Noi, che siamo atterrite per le conseguenze delle guerre sulla salute malferma del nostro pianeta

Noi, oggi siamo felici per il rilascio dei poveri ostaggi israeliani e per la tregua nella martoriata striscia di Gaza. E desideriamo che in futuro nessuna creatura muoia di guerra.


domenica 12 ottobre 2025

10, 100, 1000 piazze di donne per un mondo disarmato

Oggi a Perugia
La CARTA DELL’IMPEGNO PER UN MONDO DISARMATO - Tessere la pace, custodire il futuro, di seguito trascritta, è stata presentata sabato 11 Ottobre 2025 a Perugia,  delle donne organizzatrici dell’iniziativa 10 - 100 - 1000 Piazze di donne per la pace:

Alcune delle promotrici dell’iniziativa hanno poi oggi partecipato alla marcia Perugia-Assisi (qui notizie su Wikipedia).

(Questa Carta nasce dal confronto tra donne impegnate per la pace in molte città italiane. E’ una presa di posizione collettiva che raccoglie pratiche e pensieri femministi, strumenti per pensare il presente a partire da una politica del disarmo, della cura e della giustizia)

1. La guerra: forma estrema del patriarcato 

Le guerre che devastano il mondo non sono un'anomalia, ma la conseguenza ultima di un sistema patriarcale che legittima la violenza come linguaggio e il dominio come unica forma di potere. 

Ogni guerra devasta corpi, popoli, territori, animali e ambienti; non distrugge solo vite, ma la possibilità stessa della vita sulla Terra. In questi anni anche i soli conflitti a Gaza e in Ucraina hanno generato impatti ambientali devastanti: milioni di tonnellate di CO₂ emesse in pochi mesi, inquinamento persistente da esplosivi e macerie, distruzione di infrastrutture civili con conseguenze ecologiche a lungo termine. In entrambi i casi, il danno ambientale si somma al disastro umanitario, aggravando la crisi climatica globale. 

Oggi il sistema patriarcale che per millenni ha realizzato il “progresso”, utilizzando anche i mezzi più brutali, sembra giunto al collasso e i dispositivi che gli uomini si sono dati per regolare, temperare la logica della forza, non reggono più. 

La guerra non è inevitabile: sono i governi, gli eserciti, le industrie belliche a volerla. «Non è il destino o una legge naturale a condannarci alla guerra», scriveva Rosa Luxemburg dal carcere nel 1917, «sono i padroni della terra, i potenti che, per difendere i loro profitti e il loro dominio, mandano milioni al macello. Ma noi abbiamo la forza di opporci, se solo ci uniamo.» 

2. La differenza femminista nella critica della guerra 

La nostra critica non si limita alla condanna dei conflitti armati: * sottolineiamo la continuità tra patriarcato e guerra, visibile nella volontà di controllo e annientamento dell’altro e - in forma radicale - dell’altra, come testimoniano lo stupro praticato come arma e i regimi che fondano il proprio potere sul dominio dei corpi femminili, in Iran come in Afghanistan; * denunciamo la volontà di sopraffazione in tutte le sue forme e l’alleanza tra poteri armati ed economie predatrici; * smascheriamo la mascolinità militarizzata e l’uso della forza travestita da difesa. 

Già Virginia Woolf, nel secolo scorso, aveva svelato il legame tra potere, privilegio maschile e violenza armata riconoscendo alle donne la capacità di immaginare civiltà fondate su altri valori. 

Nel 2003, Leymah Gbowee (premio Nobel per la pace nel 2011) ha dato vita in Liberia a un movimento per la pace capace di unire donne cristiane e musulmane in una lotta nonviolenta: preghiera, sciopero del sesso, occupazione degli spazi pubblici. Un esempio potente di dissenso incarnato, attivo, collettivo, radicato nei corpi e nelle relazioni. 

A partire dagli anni ’90 del XX secolo, gli studi di Heide Göttner-Abendroth sulle società matriarcali hanno mostrato che la guerra non è un destino inevitabile: comunità senza gerarchie né dominazioni di genere, basate su valori come il prendersi cura, il nutrimento, la mediazione, la nonviolenza - valori universali, per chi è madre e per chi non lo è, cioè per tutti gli esseri umani - costituiscono oggi un esempio concreto di convivenza pacifica e dimostrano come l’estraneità storica delle donne alla guerra possa diventare strumento di trasformazione e giustizia. 

È a queste parole, pratiche e visioni che ci ispiriamo: forme di pensiero e immaginazione politica di donne che hanno saputo sottrarsi alle logiche della violenza, e che continuano a offrire orientamento e pensiero per percorsi di pace, giustizia e trasformazione. 

3. Disarmare il sistema 

L’industria bellica, l’export di armi e la militarizzazione dei territori costituiscono il cuore stesso di un’economia della distruzione. In questo sistema i corpi delle persone vengono ridotti a strumenti da sfruttare o sacrificare a fini economici e militari, i territori diventano scenari di occupazione, le vite semplici numeri calcolabili. A sostenerne la legittimità intervengono narrazioni distorte della sicurezza che normalizzano la violenza e occultano le responsabilità politiche. (continua qui)


venerdì 10 ottobre 2025

Caro papà...

      Caro papà,
mi sono sempre inorgoglita e commossa guardando l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica che ti è stata conferita il 30 dicembre 1952, quando eri sindaco - integerrimo - di Giuliana: onorificenza firmata da Alcide De Gasperi e Luigi Einaudi, allora rispettivamente Capo del governo e Presidente della Repubblica.
       Tempi lontanissimi, direbbe Francuzzo Battiato: ad averceli oggi un De Gasperi e un Einaudi… Ad avercelo oggi ancora un sindaco e un padre come te…
    Quasi quasi mi vergogno a confessarlo: mi manchi… 
    Sarebbe bello parlare ancora con te di politica, come facevamo sempre quando eri vivo. 
Sei morto neppure due anni dopo la caduta del muro di Berlino e lo scampato golpe militare nell’ex Urss, ancora governata da Gorbaciov. Quando ci eravamo illusi di essere entrati in una irreversibile e luminosa era di concordia e di pace.
     Invece, subito dopo, la prima guerra del golfo, l’atroce carneficina nell’ex Jugoslavia, la seconda guerra del golfo, l’Afghanistan, l’11 settembre, i massacri in Cecenia e in mezzo continente africano… 
E l’altro ieri la guerra tra Russia e Ucraina: due nazioni sorelle, con la stessa religione, con una storia intrecciata… Intanto da anni, amplificato orribilmente dal 7 ottobre 2023 all’altro ieri, l’orrore in Palestina.
Questi misfatti non li hai visti. O forse li conosci anche tu, ma da posti lontanissimi, da un’altra dimensione?
    Due giorni dopo l’11 settembre ti sei risparmiato, su questo piano di coscienza, il dolore per la morte prematura della tua seconda figlia, la dottoressa Sally che tanto amavi…
Così, andata via all’improvviso anche la mamma un anno prima, di noi quattro qui sono rimasta solo io.  Chissà se mi guardi da lassù…
     Sono un pochino emozionata perché da qualche settimana è uscito il mio secondo libro: https://www.lafeltrinelli.it/lettere-a-bambino-poi-nato-libro-maria-d-asaro/e/9788893633574
È un romanzo,  in dialogo con Lettera a un bambino mai nato di Oriana Fallaci, con tanti interrogativi sulla maternità… chissà se ti sarebbe piaciuto…
    Chissà se oggi saresti contento di me: per certi aspetti sì, per altri meno… 
Sicuramente ameresti immensamente Irene, Riccardo e Luciano e giocheresti a dama e a scacchi con Alessandro e Davide…
      Ti voglio tanto bene, dovunque tu sia. E, per favore, sorridimi e incoraggiami ancora.

mercoledì 8 ottobre 2025

Siamo sorelle e fratelli in una casa comune...

Marc Chagall: La vie (1964)
      

In quest’articolo di Michele Serra si riconosce la sua antica lucidità intellettuale, condita da un prezioso afflato umanistico. Ringrazio Massimo Messina che lo ha condiviso.
         Siamo figli delle stelle, fratelli e sorelle in un pianetino splendido e martoriato. Abbiamo una breve esistenza umana: non siamo qui per ammazzarci in nome di nefasti proclami nazionalistici. 
     E questo vale per tutti. Innanzitutto per i capoccia americani, israeliani e russi. E per il terrorismo di Hamas.


Perché l’umanità deve resistere

"Nell’Assemblea del Mondo (per quanto consunta e depotenziata, questa, non altro, è l’Onu), Bibi Netanyahu ha parlato come un capotribù. Come se il contesto fosse ininfluente, liquidata per sempre l’idea che esistano interessi sovranazionali, che i diritti umani, per definizione, siano umani e dunque di tutti, che in quel luogo si vada, fino dalla sua fondazione, per tentare — almeno tentare! — di mediare i conflitti e sedare l’odio.
    Come pochi giorni fa ha dimostrato un altro capotribù, quello molto più grosso di lui, Donald Trump, all’Onu non si va per parlare con il Mondo, ma per sfidarlo a muso duro.
Per offenderlo oppure deriderlo, farlo sentire una zavorra di ciance e illusioni, declassarlo a vecchio impiccio ideologico, a ricatto ipocrita, niente che possa fare arretrare la Nazione, unico vero soggetto autorizzato all’azione (e alla guerra) perché munito di un’etica antica e riconoscibile: la Grande Israele, la Grande America, la Grande Russia, ecco il vento del terzo millennio.
    Il resto — il multilateralismo, la pace come destino morale sovra-ideologico dopo secoli di guerra e di sterminio, la gestione sovranazionale della lotta alle malattie e alla fame — è cianfrusaglia novecentesca. L’umanità non esiste più. Esiste solo la Nazione.
I banchi vuoti per più della metà erano già un segno: il segno di una fuoruscita ormai di massa dalla sopportazione reciproca. Lo show di Bibi aveva la modestia, immediatamente riconoscibile, della propaganda politica, e nello specifico della propaganda bellica: per uscirne, dalla propaganda, bisognerebbe alzare lo sguardo, sconfinare anche di pochi chilometri dalle proprie mura, capire che il dolore altrui vale il proprio e il sangue altrui non lava il proprio; nemmeno se in proporzione cento a uno, cento litri per ogni litro, cento bambini per ogni bambino, traguardo ormai alla portata di Bibi.
     Non è vero, non è per niente vero che «tutti si sono dimenticati del 7 ottobre». Nel florilegio di menzogne di Netanyahu, è forse la più sconcia. La lagna ombelicale di Bibi, identica a quella di tutti i boss nazionalisti, tende a far credere che il proprio lutto, la propria tragedia, sia incompresa dal Mondo (cattivo Mondo!) perché il nazionalista è convinto che tutti siano uguali a lui, irosi e meschini come lui, conformi alla sua visione tribale delle cose, dunque incapaci di compiangere alcuno al di fuori del proprio villaggio. Non si capacita che qualcuno consideri orrendo allo stesso modo, diabolico allo stesso modo, il massacro subìto e il massacro inferto. La boria nazionalista è così smisurata da non riconoscere intelligenza in chi si china sui morti senza controllare prima il passaporto, specie i morti bambini, troppo precoci destinatari della catalogazione nazionale, religiosa e ormai neo-razziale che devasta la testa degli adulti, dei capi assatanati e degli attivisti ossessi che hanno come solo obiettivo uccidere per sopravvivere.
    Bibi piazza i suoi megafoni sulla testa piegata del nemico, ostenta all’occhiello il suo predomino tecnologico e manda i suoi sciami di droni a colpire chi pretende di non dividere l’umanità in Nazioni, e va per mare credendo sia vero e rispettato il codice (antico!) della navigazione in acque internazionali. La scala rovesciata dei nazionalisti (la Nazione è smisuratamente più importante del Mondo, pur essendone, obiettivamente, una infima porzione) sta vincendo, forse ha già vinto. Non c’è più niente di credibilmente inter-nazionale. Tutto è solo Nazione. La Nazione mette a riposo la ragione, dispensa dalla fatica di pensare e, non sia mai, di nutrire dubbi non solamente sugli altri, perfino su se stessi: «Il popolo russo non è abituato a pensare» è la frase, annichilente, terminale, che la figlia di Anna Politkovskaya ci ha consegnato pochi anni fa. Chissà in quale percentuale il popolo israeliano, che ha una tradizione millenaria di confutazione e discussione, è ancora nelle condizioni di pensare. E mentre Bibi sciorina all’Onu il suo diario minimo credendolo la Bibbia, un manipolo di gente inerme e senza-Nazione, sulle barche della Flotilla, sa di poter contare solamente sulla propria buona stella.
    Volendo scovare anche dentro una mediocre pagina — il discorso di Netanyahu all’Onu e contro l’Onu — un elemento positivo, quel discorso ci aiuta a mettere a fuoco che il nazionalismo israeliano non è poi così differente dagli altri. Lo valutiamo sempre, come è inevitabile che sia, alla luce della storia orribile di persecuzione e sterminio che gli ebrei hanno subìto. Capiamo a stento come da quella storia di perseguitati possa sortire, sia pure solo in una parte di quel popolo, un simile spirito di persecuzione — e desta incredulità, dolore, scandalo scoprirlo. Ma il nazionalismo è piatto: uguale ovunque, Noi abbiamo ragione, Noi vinceremo, e a indicarci la strada è Dio in persona. Sono fatti con lo stampino, i leader nazionalisti.
     L’attuale governo israeliano non è per niente eccezionale, il suo riduzionismo ottuso e violento (Nazione contro Mondo) è uguale a quello dei capoccia “patriottici” di mezzo pianeta, niente di più niente di meno. È l’altro pezzo di umanità, quello che antepone i diritti umani alla Nazione, la promiscuità alla purezza, dunque la convivenza alla guerra, e il rispetto del vivente, e dei viventi, a tutte le religioni del Libro, a doversi riorganizzare come se si fosse al punto zero. E i discorsi di Trump e Netanyahu all’Onu sono una buona approssimazione di quello che possiamo definire: punto zero."

Michele Serra - la Repubblica 27.09.2025

domenica 5 ottobre 2025

La toponomastica a Palermo: nei nomi storia e identità

      Palermo – Mesi fa, durante una chiacchierata informale con la professoressa Ornella Giambalvo, docente ordinario di Statistica sociale all’Università di Palermo, la scrivente si era mostrata assai interessata alla tipologia dei nomi di vie e strade cittadine. E si domandava se fosse possibile uno studio sistematico al riguardo…
    Poco tempo dopo, con esemplare prontezza, l’amica docente le ha donato un’analisi statistica dal titolo esplicativo “La toponomastica a Palermo: viaggio fra storia, cultura, persone e luoghi che disegnano l’identità della città”, dove la professoressa Giambalvo esordisce scrivendo: “Palermo, con il suo straordinario patrimonio storico e culturale, offre un esempio affascinante di come le stratificazioni linguistiche e le dominazioni succedutesi nei secoli abbiano lasciato traccia nei nomi delle sue strade, piazze e quartieri. Ogni dominazione, infatti, ha lasciato un’impronta nella toponomastica cittadina, rendendola un mosaico di influenze linguistiche e storiche risalenti ai Fenici, ai Punici, al periodo greco e romano, alla dominazione Araba (da cui il nome dell’intero quartiere della Kalsa), o all’epoca Normanna e Sveva o ancora alla dominazione spagnola e moderna.
Fig.1
       Ciascuno di noi, palermitano o turista o semplice cittadino capitato per caso un giorno a Palermo, passeggiando per la città si trova dentro un archivio storico che narra di famiglie, personaggi, luoghi, monumenti, battaglie storiche, virtù, santi ed eroi, martiri, poeti e letterati, e dentro un giardino fatto di fiori, piante, animali.”
      Da questo prezioso studio statistico si evince innanzitutto che i toponimi usati a Palermo sono 5031, di cui 4496 distinti: “128 siti, poco più del 2,5% del totale, soprattutto vie, sono ancora senza nome e identificate da sigle. (…) Quasi la metà dei toponimi è dedicata a personaggi, mentre rispettivamente il 10% e il 9% è dedicata ai luoghi e a persone o luoghi riconducibili alla cristianità. Seguono, in ordine decrescente, le altre categorie.” (Fig.1)
Fig.2
      Viene poi esaminata la distribuzione per tipologia: la categoria dei personaggi, probabilmente sottostimata, rappresenta quasi la metà dei toponimi di Palermo: il 49%.
E qui viene fuori l’evidente squilibrio di genere nella denominazione delle strade e delle piazze: infatti ben il 93% sono figure maschili, spesso sovrani, uomini legati a guerre o alla politica, mentre le donne rappresentano appena il 7% della categoria. 
Si evidenzia poi che la tipologia di personaggi maschili e femminili, all’interno dell’elevato divario di genere, ci consegna tra lo sparuto numero di donne una gran quantità di figure mitologiche, mentre tra gli uomini hanno spazio varie tipologie di professionisti in vari ruoli (medici, ingegneri, letterati) anche se emergono tanti generali e politici. 
Sembrerebbe che per le donne vada meglio se si tratta della titolazione dei viali, ma in realtà i viali a Palermo sono assai pochi e la loro titolazione al femminile non muta i numeri su riportati. 
Lo studio statistico della professoressa Giambalvo ci informa ancora che la prevalenza dei toponimi maschili è confermata anche per quel 9% di vie/strade/vicoli ecc. dedicati a figure o siti religiosi (beati, Santi, vescovi, cardinali, preti, Cristi).
Aggiunge comunque che la percentuale di figure femminili religiose (beate, sante, suore, Madonne) è nettamente superiore a quella dei personaggi femminili “civili” (il 20% di figure religiose femminili contro il 7% di figure ‘civili’ femminili)”. (Fig.2)
Fig.3
       Se si sposta lo sguardo all’intitolazione dei luoghi e monumenti di interesse il divario tra presenze femminili e maschili si attenua leggermente. Intanto dei 141 luoghi e monumenti di interesse (parchi, giardini, ville, villette, sale lettura, ecc.) il 74% si riferisce a persone, il 5% circa a religiosi o luoghi di culto, e il 9,2% a luoghi. La quota mancante comprende personaggi e/o gruppi misti, sia maschili sia femminili. Nel caso di luoghi di interesse dedicati a persone, le figure femminili sono il 15,4% vs. il 77,9% delle figure maschili. (vedi Fig.3)
     Se si va poi ad esaminare la distribuzione per toponimi di genere e quelli senza nomi all’interno delle otto circoscrizioni in cui è suddiviso il capoluogo siciliano, si trova che la settima circoscrizione, l’area più a nord della città, è quella con la maggiore presenza di toponimi femminili, mentre le circoscrizioni seconda e terza (le periferie a sud-est della città) presentano la più alta percentuale di toponimi vuoti o con sigle provvisorie.  (continua su il Punto Quotidiano)

Maria D'Asaro, 5.10.25, il Punto Quotidiano

giovedì 2 ottobre 2025

Nonviolenza, la politica umana e concreta che ci serve...

    Le azioni politiche, se vogliono essere a servizio dell'umanità, devono 'sposare' la nonviolenza.

      Oggi 2 ottobre, giornata internazionale della nonviolenza, non poteva essere data migliore per l'azione nonviolenta della Global Sumud Flotilla.

Ecco quanto scritto su FB dall'amica Alessandra Colonna Romano:

"Continuiamo a sentire da parte della Presidente del Consiglio e da esponenti del suo governo in riferimento ai membri della Flotilla, la parola "irresponsabili". Sfugge come questi "irresponsabili" siano in realtà persone profondamente "responsabili" in quanto, come la radice stessa del termine suggerisce, "rispondono": a cosa? A due anni di massacri nel silenzio dei nostri democratici governi cercando, con la loro azione, di smuovere le coscienze e far sì che chi gestisce le sorti degli Stati isoli Israele nel suo piano  scellerato. Si dimentica che l'orribile e terrificante atto del 7 Ottobre è  stato unanimemente condannato; che quella della Flotilla è  una missione umanitaria,  nonviolenta, che non porta armi e che non vuole e non sarebbe neanche nelle condizioni di difendersi; naviga in acque internazionali e ha l'obiettivo di giungere fino alla costa gazawa, che illegalmente Israele presidia; si dimentica che i membri della Flotilla non vogliono fare gli "eroi", non sono kamikaze, sono uomini e donne che vivono l'entusiasmo dell'impresa ma anche le paure, infatti qualcuno non si è sentito di continuare, verosimilmente per timore (cosa c'è di più umano?). La Flotilla è  una luce che ci ricorda la nostra umanità, che è  tale perché si indigna di fronte allo scempio di vite umane.  Non si può  certo dire che i suoi membri siano  "pacifisti da divano",  altra garbata espressione  usata nei confronti di chi, sin dalla guerra in Ucraina, manifestava contro l'escalation bellicista...Insomma sia che si manifesti pacificamente,  sia che un gruppo trovi il coraggio di mettere i propri corpi e la propria vita in gioco, le alchimie linguistiche dei nostri politici, con i propri giornalisti al seguito,  riescono a ribaltare ogni significato.... Gli uomini e le donne della Flotilla non vanno né derise né  sminuite, tantomeno offese. Vanno rispettate e ringraziate dal profondo.

Da parte nostra sentiamo di sostenerli, sempre e solo secondo modalità pacifiche e   nonviolente, e  'con gli occhi su Gaza', come da loro costantemente ricordato. Il vento sta cambiando.....la politica sarà in grado di farsi interprete di quella parte di mondo che non vuole più né guerre nè armi?"

Sulla nonviolenza, qui:

https://maridasolcare.blogspot.com/2022/10/nonviolenza-lottare-senza-uccidere.html

https://maridasolcare.blogspot.com/2024/10/sofia-daniel-tarteel-e-aisfa-uniti-per.html

https://maridasolcare.blogspot.com/2025/06/e-se-il-rifiuto-della-guerra-fosse-il.html

https://maridasolcare.blogspot.com/2025/06/gentma-presidente-del-consiglio-il.html

https://maridasolcare.blogspot.com/2023/10/pensare-il-nemico-la-voce-di-david.html

Il nostro futuro o sarà nonviolento o non sarà o sarà atroce...

Mentre al Politeama, a Palermo, c'è una mostra di 'mostri' (armi dell'esercito), lo scriviamo con fermezza: gli eserciti, le armi (dal fucile al carro armato all'atomica) sono il problema e non la soluzione.


mercoledì 1 ottobre 2025

Forza Palermo e viva il congiuntivo!

        (Le affezionate lettrici e i cari lettori potrebbero ripetere: Ma comu ti spercia, con le tragedie che stiamo vivendo? Cerco di distrarmi, proprio per non morire di disperazione…)

   Nostra signora segue il calcio da sempre: negli anni ’70 ascoltava Tutto il calcio minuto per minuto, con il mitico Sandro Ciotti (scusa Ameri…) e adorava Gigi Riva. 
    Ora continua a interessarsene per amore dei nipotini Alessandro e Davide, che il calcio lo seguono e lo praticano anche. Così, si tiene al corrente sulle ingloriose vicende della nazionale, sulla Juve e sul Palermo, squadra di casa. Con un’attenzione speciale per il mister di turno: ad esempio, apprezzava Corini per la sua signorilità e perché… non sbagliava una concordanza verbale. Ora stima Pippo Inzaghi che, in una recente intervista, ha detto: “Totò Schillaci è stato il mio idolo… ho avuto modo di conoscerlo ed era assai piacevole andare a trovarlo. Mi sarebbe piaciuto che lui avesse visto che io sto allenando il Palermo…”. Allora, forza Palermo ed evviva Pippo, che porta avanti la nostra squadra ed azzecca persino l’uso del congiuntivo!

Maria D’Asaro

domenica 28 settembre 2025

Charles Boycott, così è nato il boicottaggio

        Palermo – Tutti sanno che il boicottaggio consiste nell’ostacolare l’attività di una persona o di un gruppo di persone, di un’azienda e persino di uno Stato, o per ragioni economiche o perché tale attività non è ritenuta corretta secondo principi etici universali. 
     Meno nota è invece l’origine della parola, collegata al cognome dell’inglese Charles Cunningham Boycott (1832-1897) e alla vicenda storica di cui fu protagonista.
Nel 1880, quando l’agricoltura era la principale attività economica dell’Irlanda, dove allora le terre appartenevano a non più di 10.000 persone (lo 0,2% della popolazione), Boycott amministrava la contea di Mayo, nell’ovest del paese (allora ancora interamente sotto il dominio inglese) per conto di John Crichton. Crichton, conte di Erne, era uno dei tanti ricchi latifondisti “absentee landlord”, che non vivevano nella loro proprietà e non se ne occupavano: la loro terra veniva divisa in piccole fattorie, affittate a contadini. 
     Charles Boycott, ex capitano dell’esercito britannico, aveva il compito di riscuotere gli affitti da fittavoli e mezzadri, dietro compenso del 10% degli incassi. Boycott era un esattore rigido e implacabile, che imponeva sanzioni e rimuoveva privilegi, come quello di impedire a mezzadri ritenuti non meritevoli la raccolta e l’uso di legna da ardere.
   Nell’autunno del 1880, i fittavoli di lord Erne non riuscirono a pagare i loro canoni d’affitto, a causa dello scarso raccolto dell’anno. Chiesero allora a Boycott una riduzione temporanea del 25% del canone. 
     Boycott rispose che (continua su il Punto Quotidiano)


Maria D'Asaro, 28.9.25, il Punto Quotidiano

venerdì 26 settembre 2025

Volontari in carcere: i 25 anni dell'AS.VO.PE.

 

Oggi alle ore 17,30, a Palermo, al teatro Jolly, ingresso libero:



Vi aspettiamo.

(Questo il sito dell'AS.VO.PE.)

E, iniziativa felicemente conclusa, ecco il bel servizio di Dorotea Rizzo (da qui)

e, proprio da l'Altroparlante ecco alcune foto:





mercoledì 24 settembre 2025

A Nino la nostra gratitudine...


Noi, che mettiamo in lavatrice i centrini almeno una volta all’anno
noi, che ci ostiniamo persino a pulire i cassetti
con una quasi metodica periodicità…
noi, che siamo inebriate dal profumo delle tende appena lavate…

Noi ci chiediamo il senso di tutto ciò.
quando si incitano i popoli alla guerra…
quando pietà e misericordia sembrano avere abbandonato il pianeta…
Per questo siamo grate a Nino, imbarcato su una nave della Flotilla…


(Nino Rocca, che conosco e stimo da circa 35 anni, è da sempre impegnato, in modo silenzioso, fattivo e quotidiano, per gli ‘ultimi’: a Palermo è stato attivo all’Albergheria, a fianco della moglie Maria Di Carlo e di don Cosimo Scordato (e di Augusto Cavadi e altri), oggi combatte contro la droga a fianco delle vittime dello spaccio e contro la tratta. 
E’ stato in Ruanda ai tempi della guerra civile tra Hutu eTutsi, in Congo, dove da anni c’è una guerra di cui non si parla, in Brasile a fianco dei meninos de rua, negli anni ’90, quando i ragazzini di strada erano uccisi dagli squadroni della morte, è stato in ex Jugoslavia.
Nino è tutto questo. E anche di più. E’ uno che ha preso sul serio l’invito evangelico “ama il prossimo tuo come te stesso”…)



lunedì 22 settembre 2025

Tu... da dove prendi le energie per "fare ancora"?

    Chi bazzica nel blog sa forse dell’amore sconfinato di chi scrive per Alex Langer (anche qui).
    Alex, nel marzo 1990, si poneva già queste domande (riportate nel testo “Il viaggiatore leggero” scritti 1961-1995, Sellerio, Palermo, 2005):

Cosa ci può realmente motivare?

Cambiare il mondo o salvaguardarlo?

Solidarietà come autocompiacimento?

Abbandonare la radicalità?

Etica della rivoluzione?

Conseguenze della rivoluzione nonviolenta all'est?

Navigare a vista?

Esiste da qualche parte una demarcazione tra amici e nemici?

A chi ci si può affidare?

Esiste un'ascesi che uno aiuta e uno forgia?

Negare sé stessi – credibile o pericoloso (disumano, burocratico, ipocrita)?

Cosa ti dice il sud del mondo? Solo cattiva coscienza?

Perché cercare la salvezza altrove (perché poi dover andare lontano...)?

Vivresti effettivamente come sostieni che si dovrebbe vivere?

Passeresti il tuo tempo con coloro ai quali rivolgi la tua solidarietà?

Professionalità. Potresti vivere anche senza politica?

Altruismo/Egoismo

Quali costanti?

Quali sintesi (per esempio giustizia, pace, salvaguardia del creato)?

Cosa faresti diversamente?

Potenzialità della disobbedienza civile...

Tu che ormai fai il militante da oltre 25 anni e che hai attraversato le esperienze del pacifismo, della sinistra cristiana, del 68 (già da “grande”), dell'estremismo degli anni 70, del sindacato, della solidarietà con il Cile e con l'America Latina, con il Portogallo, con la Palestina, della nuova sinistra, del localismo, del terzomondismo e dell'ecologia – da dove prendi le energie per “fare ancora”?

Caro Alex, se la sera non c’è un abbraccio che ci sostiene e ci consola, siamo più disperati che mai. 
Avevi ragione…
 

domenica 21 settembre 2025

"L'utilità dell'inutile": l'ultima lezione del professore Nuccio Ordine

      Palermo – La riedizione del saggio L’utilità dell’inutile (La nave di Teseo, Milano, 2023) scritto da Nuccio Ordine già nel 2013 e ripubblicato nell’ottobre 2023, pochi mesi dopo la morte improvvisa dell’autore, si può considerare una sorta di suo testamento spirituale.
    Nel testo, infatti, il professore Ordine (che è stato docente ordinario di Letteratura italiana nell’Università della Calabria) nega con forza che sia utile alla società solo ciò che produce profitto: “Esistono saperi fine a sé stessi che – proprio per la loro natura gratuita e disinteressata, lontana da ogni vincolo pratico e commerciale – possono avere un ruolo fondamentale nella coltivazione dello spirito e nella crescita civile e culturale dell’umanità. All’interno di questo contesto, considero utile tutto ciò che ci aiuta a diventare migliori”.
E scrive nell’introduzione: “L’utilità dei saperi inutili si contrappone radicalmente all’utilità dominante che, in nome di un esclusivo interesse economico, sta progressivamente uccidendo la memoria del passato, le discipline umanistiche, le lingue classiche, l’istruzione, la libera ricerca, la fantasia, l’arte, il pensiero critico e l’orizzonte civile che dovrebbe ispirare ogni attività umana. Nell’universo dell’utilitarismo, infatti, un martello vale più di una sinfonia, un coltello più di una poesia, una chiave inglese più di un quadro: perché è facile capire l’efficacia di un utensile mentre è sempre più difficile comprendere a cosa possano servire la musica, la letteratura o l’arte”.
Ancora: “Certo non è facile capire, nel nostro mondo dominato dall’homo oeconomicus, l’utilità dell’inutile e, soprattutto, l’inutilità dell’utile (quanti beni di consumo non necessari ci vengono venduti come indispensabili?). Fa male vedere gli esseri umani, ignari della crescente desertificazione che soffoca lo spirito, consacrati esclusivamente ad accumulare soldi e potere. (…) Fa male vedere uomini e donne impegnati in una folle corsa verso la terra promessa del guadagno, dove tutto ciò che li circonda – la natura, gli oggetti, gli altri esseri umani – non suscita alcun interesse”.
       Il saggio, di gradevole lettura e adatto a ogni genere di pubblico, è suddiviso in tre parti: la prima si occupa dell’utile inutilità della letteratura e cita vari testi e autori a proposito; la seconda è dedicata agli effetti disastrosi prodotti dalla logica del profitto nel campo dell’insegnamento, della ricerca e delle attività culturali in generale; nella terza parte, infine vengono riletti alcuni classici che hanno mostrato “la carica illusoria del possedere e i suoi effetti devastanti sulla ‘dignitas hominis’, sull’amore e sulla verità”.
       Nella prima parte, Nuccio Ordine ci ricorda innanzitutto una verità fondamentale: (continua su il Punto Quotidiano)


Maria D'Asaro, 21 settembre 2025, il Punto Quotidiano

venerdì 19 settembre 2025

Noi, che diversamente assassine…

Noi, che da spietate assassine,
dopo una lotta senza quartiere,
uccidiamo all’ennesimo tentativo
una super blatta con le ali…

Noi, che con premeditazione
e l’adatta paletta θᾰνᾰτοφόρος, portatrice di morte,
ammazziamo con maestria le mosche moleste…

Noi, che invece abbiamo mille scrupoli
quando sterminiamo le formiche in cucina ...

E se fossimo nate formiche (o mosche, o blatte persino, ahinoi...)?
Noi, che ci soffermiamo spesso a meditare:
forse, a nostra volta, non siamo anche noi formiche a Qualcuno?

E poi: che brave le formichine a schivare il mocio passando sul battiscopa…
organizzate, solidali, silenziose, con un’intelligenza di gruppo…
chi ci ha dato licenza di farle fuori?

Così, noi sommamente incoerenti, manchevoli e ondivaghe, 
i giorni dispari le disperdiamo, i pari le lasciamo vivere…

Noi, che in fondo chiediamo scusa 
a blatte, mosche e minute formiche 
consapevoli – come rammenta Pietro - di essere parte dell’oscura universale violenza…

Noi dunque, da assassine conclamate,
continuiamo però a gioire per il miracolo di una piantina fiorita…

E, nel frattempo, siamo in lacrime, disperate, per il lancio di bombe nel mondo,
per tutte le guerre orrende: enorme, inspiegabile, insensato oltraggio alla Vita.



mercoledì 17 settembre 2025

La guerra non è inevitabile...

         (Ringrazio Enzo Sanfilippo che ha segnalato l’articolo)

        "Ineluttabile. Ecco la parola che si sta insinuando, silenziosa e vischiosa, nei nostri pensieri. Prima come una paura indistinta, poi come dubbio sussurrato nei discorsi, infine come una certezza cupa che ci sembra ragionevole accettare: «La guerra è inevitabile». È questo il virus che sta infettando le nostre coscienze.
Lo si dice sottovoce, tra una sigaretta e un caffè: «Hai visto? Sta succedendo di nuovo…». «Eh, temo proprio di sì», risponde l’altro. E quel cenno, quel consenso mormorato, è il primo mattone di una resa.
    Poi, alla conversazione successiva, la voce si alza, l’opinione si fa posizione, e la posizione si trasforma in fatalismo cinico. Ed ecco che la guerra – qualunque guerra – smette di essere una tragedia e diventa un destino.
      Ma la guerra non è un destino. È una scelta.
     Una scelta folle, costruita giorno dopo giorno, passo dopo passo, comportamento dopo comportamento. Lo ha ricordato, con la lucidità che gli è propria, il presidente Mattarella: «Ci si muove su un crinale in cui, anche senza volerlo, si può scivolare in un baratro di violenza incontrollata». È quel «senza volerlo» che ci chiama in causa. È lì che si annida il rischio più grande: non nel fragore dei cannoni, ma nella distrazione e nell’apatia quotidiana, nella rinuncia alla responsabilità, nel fatalismo comodo di chi pensa che non ci sia più nulla da fare… Non è vero. Quel 1914 può non replicarsi in un tragico 2025. La storia lo dimostra: non è sempre andata così. Ci sono stati momenti in cui l’umanità si è fermata a un passo dal disastro. Ottobre 1962: crisi di Cuba. Due superpotenze con il dito sul grilletto nucleare. Non scoppiò nessuna guerra.
            Ottobre 1956: crisi di Suez. La politica mondiale sembrava impazzita, eppure si trovò una via d’uscita.
     E poi, più tardi, la più grande sorpresa della Storia: il Muro di Berlino che cade senza sparare un colpo. Chi lo avrebbe detto? Chi ci avrebbe scommesso? E invece accadde. Perché l’ineluttabile, a volte, si disintegra sotto il peso della volontà, dell’intelligenza, della responsabilità. Si scioglie nelle correnti calde e sotterranee delle coscienze che si sono tenute deste anche senza poter comunicare. Perché anche l’abisso, se guardato con lucidità, può diventare un limite oltre il quale si decide di non andare. 
      È questo il punto. La guerra è una costruzione collettiva, e quindi può essere anche una rinuncia collettiva. Un rifiuto – un ripudio! – che inizia da ognuno di noi"...


Franco Vaccari, Avvenire, 14 settembre 2025

martedì 16 settembre 2025

Che si fa, caro Biagio?

Pinturicchio: Annunciazione, Cappella Baglioni, Spello
       Nostra signora bazzica giornalmente nei pressi della stazione centrale ferroviaria e lo scorge quasi sempre: dorme sull’asfalto, in via Tommaso Fazello, a ridosso del terminal degli autobus. Indossa una maglietta, dei pantaloncini sudici e assai logori, calzini scuri, più buchi che tessuto. Accanto ha un paio di sandali e, a volte, un pacchetto di quelle che noi palermitani chiamiamo ‘brioscine’. Magari anche un barattolo di Nutella. Ha lunghi capelli biondi, belle ciglia, un naso fine, lineamenti da angelo di un quadro del Pinturicchio o di Filippino Lippi.
       Quando gli passa accanto, a nostra signora fa male il cuore. Quel ragazzo, tra i 25 e i 30 anni, potrebbe essere suo figlio.  Se fosse ancora vivo Biagio Conte forse sarebbe diverso: forse le persone senza fissa dimora non dormirebbero per strada, sopra degli scalini, nell’anfratto di un marciapiede. Biagio magari l’avrebbe già portato alla Missione Speranza e Carità. Biagio, che facciamo?

Maria D'Asaro




domenica 14 settembre 2025

Simenon e il fascino discreto del suo commissario Maigret

      Palermo – La sottoscritta ha quasi sempre per le mani un saggio o comunque un testo ‘impegnato’. Ma in estate ha un po’ trascurato questo tipo di lettura e ha ceduto a una sorta di ‘droga’ letteraria: infatti da un paio di mesi ha ripreso a leggere compulsivamente i romanzi di George Simenon. Confessa di aver divorato a luglio e agosto almeno una decina di gialli del prolifico autore di origine belga. E non riesce ancora a smettere…
      Nella postfazione di Maigret e il signor Charles, scriveva parecchi decenni fa un ispirato Alberto Savinio (fratello di Giorgio de Chirico): “Mancava finora alla Francia un romanzo poliziesco nazionale. Questa lacuna è stata felicemente colmata da Georges Simenon. Questi non somiglia all’autore solito di romanzi polizieschi. Il suo stile non è quello asmatico, stenografico e deplorevolmente asintattico che distingue questa forma di narrazione. Redattore di romanzi mensili e popolari, Georges Simenon, sotto sotto, è un Dostoevskij minore”.
E ancora: “Come la luna che si rinnova di mese in mese, George Simenon pubblica un nuovo romanzo ogni trenta giorni. E non si creda che siano libercoli scribacchiati alla svelta. No: sono trecento pagine tirate a pulimento, trame intricatissime e risolte con maestria, figure e caratteri disegnati con evidenza e precisione, documentazione impeccabile di città e paesi, e, di tanto in tanto, un tono, un accento che denotano lo scrittore di razza”.
Ecco, la scrivente non avrebbe saputo esprimere meglio quanto ha scritto molto tempo fa  Savinio, pittore, compositore musicale e scrittore. 
      Simenon, ne Il porto delle nebbie, con la sua narrazione semplice e potente, ci catapulta ad esempio nella cittadina francese di Ouistreham, porto della Normandia, dove “l’atmosfera non si può definire sinistra, è un’altra cosa, una vaga inquietudine, un’angoscia, un’oppressione, la sensazione di un mondo sconosciuto al quale si è estranei…”.  Quell’atmosfera cupa e nebbiosa ci cattura e ci tiene col fiato sospeso sino all’ultimo rigo, presi come siamo dall’intricata vicenda del capitano Joris.
     Come ci coinvolge la vicenda complicata de Il corpo senza testa, dove Maigret, verso una certa signora Calas, prova uno strano sentimento: “Non era irritazione che il commissario provava per la donna, ma curiosità come da tempo nessun essere umano gli aveva suscitato. 
Bisogna sapere che quando Maigret era giovane aveva sognato una professione che, purtroppo, non esisteva nella realtà. Non l’aveva mai confessato a nessuno e non aveva mai pronunciato quelle quattro parole ad alta voce, nemmeno quand’era solo: nella vita avrebbe voluto fare ‘l’aggiustatore di destini’. Cosa strana, nella sua carriera di poliziotto, gli era poi capitato abbastanza spesso di rimettere al posto giusto alcune persone che i casi della vita avevano portato su strade sbagliate.”
    Ebbene sì, la scrivente è a suo modo innamorata del commissario Maigret: del suo fare pensoso e sornione, del rapporto paterno con i suoi sottoposti, Janvier, Lemaire, il giovane Lapointe… 
E ancora dei bicchierini di calvados, pernod, armagnac e dei liquorini che il poliziotto si concede nelle sue lunghe giornate di lavoro, riuscendo comunque, non si sa come, a rimanere lucido e padrone di sé; delle continue tirate di fumo a una delle sue tante pipe; dell’atmosfera che regna alla Brasserie Dauphine mentre, nel corso di un’inchiesta, consuma un pasto veloce annaffiato dalla birra…
Nel ritorno di fiamma per i gialli di Simenon, non è forse estraneo il ricordo del Maigret televisivo impersonato magistralmente da Gino Cervi. 
   E che dire poi del rapporto tenero e speciale con la signora Maigret, impersonata in Tv da una magnifica Andreina Pagnani? Certo, una donna fuori dal tempo, che gli apre premurosamente la porta quando gli sente salire gli scalini che portano al loro appartamento in Boulevard Richard-Lenoir, uno dei tanti viali alberati di Parigi… contenta di vivere devotamente per lui, preparandogli i manicaretti di cui è ghiotto.
    Del commissario, Alberto Savinio scriveva ancora: “Quanto al commissario Maigret… esso è un borghese grasso e bonario, una specie di papà senza figli, un moralista pagnottone, che fuma tabacco popolare, porta le scarpe con l’elastico, si sente a disagio negli ambienti di lusso, si porta dietro un paracqua, odia il cosmopolitismo, compie il suo lavoro di ricerca più per dovere di funzionario che per diletto di investigatore e se affretta la conclusione dell’inchiesta lo fa soprattutto perché la cucina dei ‘palaces’ non gli conviene affatto, e gli preme di tornare ai piatti casalinghi  che gli prepara la moglie.”
      Ecco allora che entrare nell’universo della fantasia letteraria, dove un commissario è sempre capace di sbrogliare la matassa di un delitto e trovare l’assassino, per poi rientrare a casa dalla moglie amata e condurla sottobraccio al cinema… è davvero una dimensione rassicurante che, per qualche istante, ci distrae e ci consola.

Maria D'Asaro, 14 settembre 2025, il Punto Quotidiano

George Simenon

Andreina Pagnani e Gino Cervi: Signora Maigret e Commissario Maigret

Boulevard Richard-Lenoir

La Senna


sabato 13 settembre 2025

13 settembre...

Joaquìn Sorolla: Passeggiata in riva al mare



Certo,

si vive

anche da soli.

Un poco peggio però…

Sorellina.                                         











mercoledì 10 settembre 2025

Isole da a-mare: Favignana (con la Flotilla nel cuore...)

        Ma come ti 'spercia' di pubblicare le foto di Favignana? – esclamerebbe qualche mia conterranea che, in questo momento, fa in città il presidio di solidarietà per la Global Sumud Flotilla, dalle 19 alle 20, in via Ruggero Settimo… E continuerà a farlo sino a lunedì 15 settembre.
      E avrebbe pure ragione.
Ma la scrivente è così scoraggiata che ha bisogno di un po’ di azzurro per respirare. Perché in questo mondo disumano si sente davvero male… E si aggrappa al ricordo del mare e alla bellezza della natura.









Qui Levanzo, Marettimo e un articolo sulle Egadi.