martedì 11 febbraio 2025

Cara Giuditta...

   
                                                                                             Cara Giuditta,
ho saputo che te ne sei andata domenica da un messaggio che, dal tuo telefono, mi ha inviato tua figlia Olimpia. Olimpia ed Emanuele, luce dei tuoi occhi… 
      Quando sono venuta a portarti il libro con la lettera postuma a tua madre Giuliana ho potuto percepire quanto amassi, stimassi, quanto ti fossero immensamente cari i tuoi figli… Mi hai mostrato le loro foto, quelle dei nipoti, mi hai parlato delle loro vite: il tuo sguardo diventava particolarmente luminoso quando parlavi di loro. Olimpia ed Emanuele, i tuoi due figli meravigliosi che ho conosciuto solo ieri sera, quando sono salita di nuovo a casa tua. 
     Di Emanuele, con un affetto immenso che traspariva tra le righe, parlava tua madre in Romanzo civile, dove scriveva che leggevano insieme di geografia e che "qualche volta lo portava ‘a cavalcare i grandi leoni di marmo griglio della piazza Pretoria" e che Rocchi,  chiamava “il piccolo Felipe, alludendo alla famiglia di Carlo IV esposta al Prado, con i capelli rossi e gli occhi come laghetti celesti”. 
    Quando sono venuta a trovarti, ormai più di un anno fa, abbiamo parlato poco di mamma: tanto di Marta, che assieme alla zia Mariapia, mi aveva accolta per prima in via Maqueda, dopo che le avevo inviato la bozza della lettera alla mamma. Allora mi hai dato un librettino, curato dall’Istituto Gramsci, la breve ‘storia di Marta’, nella cui presentazione scrivevi: “Il racconto è sobrio, essenziale e limpido, ma in esso traspare tutto l’impegno, tutta la serietà, la forza, l’intelligenza e la passione di cui Marta è stata capace”. 
     E poi, durante la chiacchierata, abbiamo riscoperto il nostro amore per i cantautori italiani: ci siamo ritrovate perdutamente innamorate di Franco Battiato.
        È stato ricordato ieri che amavi stare a tavola. Non tanto per il cibo, anche se eri brava a cucinare, ma per il tuo desiderio infinito di discutere di tutto. Sempre tua madre scriveva “Una coppia di giovani tedeschi, naufraghi del ’68, visse esperienze indimenticabili, perché Giuditta gli serviva su un piatto di terracotta melenzane in tutte le salse gli usi e i travestimenti; e su un piatto d’argento i «grandi temi » da dibattere: ritrovarono la favella perduta in patria, l’abitudine al discorso e andavano avanti sino alle tre o alle quattro del mattino. Partirono in lacrime”.
     Ieri tuo marito ha evidenziato la centralità degli affetti, nella tua vita: “Giuditta era una pietra fondante nella nostra architettura familiare… certo, troveremo un nuovo equilibrio senza di lei, ma la mancanza della sua pietra angolare si sentirà”. Ha letto certe tue poesie tenere e ingenue, con Olimpia e Emanuele ha ricordato anche il tuo carattere forte, a volte anche irascibile, la tua grande generosa oblatività.
       Mariapia ha condiviso il momento di gioia, quando sei nata, mercoledì 2 marzo alla fine degli anni ’40: “A  Palermo nevicava, evento davvero raro per la città… E io quel giorno sono stata particolarmente felice, stavo andando a trovare una mia cara amica ed ecco nasceva una palluzza nica, morbida e tenera, la figlia di Giuliana. Una giornata che ricorderò sempre nella mia vita.”
    Ieri ti ha ricordato persino con stima e commozione il professore a cui hai chiesto la tesi, che ha ricordato la tua profonda intelligenza. E come brillassero i tuoi occhi quando gli hai confidato che avevi conosciuto Salvatore Nicosia…

     Cara Giuditta: tu, Marta, papà e mamma siete stati un pezzo importante della nostra Palermo: Sarà impossibile sostituire le vostre pietre fondanti, per utilizzare la felice metafora di tuo marito. La vostra splendida famiglia ha rappresentato l’intelligenza, la cultura, l’impegno civile lucido e onesto di cui la nostra città ha tanto bisogno. Continuerete a vivere, con riconoscenza, nel nostro cuore.

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