“Due euro! Tanto mi è costato al mercatino questo giubbotto jeans…” mi ha comunicato, raggiante, una mia conoscente. La frettolosità dell’incontro, l’autentica soddisfazione espressa dalla signora, una certa mia riluttanza ad apparire “fuori dal coro” mi hanno impedito di esprimerle il grande disappunto per la transazione commerciale apparentemente tanto vantaggiosa.
Vantaggiosa per chi? Non certo per chi ha prodotto il giubbotto, uno dei tanti nuovi schiavi che avrà guadagnato pochi centesimi per la manifattura. Non di sicuro per la nostra madre terra, depredata, inquinata, violentata da un uso così rapace e distruttivo delle sue risorse. Neppure per il commerciante del mercatino, che avrà guadagnato in tutto forse 50 centesimi.
Vantaggioso per la mia conoscente, direte. Ma già ne aveva altri, di giubbotti. Certo potrà pavoneggiarsi con il nuovo. Dubito però che sarà considerevolmente salita la colonnina della sua felicità personale. Un giubbotto, due euro: forse non ne vale la pena.
Vantaggiosa per chi? Non certo per chi ha prodotto il giubbotto, uno dei tanti nuovi schiavi che avrà guadagnato pochi centesimi per la manifattura. Non di sicuro per la nostra madre terra, depredata, inquinata, violentata da un uso così rapace e distruttivo delle sue risorse. Neppure per il commerciante del mercatino, che avrà guadagnato in tutto forse 50 centesimi.
Vantaggioso per la mia conoscente, direte. Ma già ne aveva altri, di giubbotti. Certo potrà pavoneggiarsi con il nuovo. Dubito però che sarà considerevolmente salita la colonnina della sua felicità personale. Un giubbotto, due euro: forse non ne vale la pena.
(“Centonove”, 14.11.08)
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