Non si fa guardare negli occhi, nascosti da spesse lenti marrone. Ma a volte lo sguardo è nudo: sfuggenti, impenetrabili pupille celesti, perse in un indecifrabile altrove. Lo vedo quasi ogni giorno, seduto sulla panchina di una fermata dell’autobus: di mattina, come alle quattro del pomeriggio. In realtà non aspetta l’autobus. Anzi, credo che non aspetti proprio niente. Le scarpe logore, gli abiti malconci e le grandi mani scure, il velo di nero sulle unghie dicono che è senza fissa dimora. Un barbone. La donna, chiusa nell’insegnante che va di fretta a scuola, si domanda: quale uomo è nascosto dietro la maschera del barbone? Quali rovesci, quale solitudine, quali abbandoni lo hanno ridotto così? Dov’è quando non sta qui, immobile e silenzioso? Vorrei salutarlo. Chiedergli come sta. Come si chiama. So che non lo farò. Non domani. Lo guardo, ancora. E, nel mio cuore, lo accarezzo, pian piano. In silenzio.
("Centonove": 8/5/09)
Molto bello! Non lo conoscevo
RispondiEliminaJAN