Giochiamo a carte scoperte: l’autore è un amico, e ha ospitato in Gente bella (Il pozzo di Giacobbe, Trapani, 2004, €15 euro) una mia lettera in memoria a Peppino Impastato. Quale possibilità, per essere credibile, se non quella di essere impietosa nel tratteggiare del libro innanzitutto le ombre?
La prima: il criterio cronologico con cui sono presentati i volti “della bella gente” di cui si parla. Dopo l’eccellente introduzione, pervasa da una toccante tensione etica, ci viene proposta un’intervista-colloquio con don Cosimo Scordato, datata e un po’ indigesta. Più che un’intervista, si tratta di un monologo che non rende affatto la“bellezza” dell’intervistato e l’originalità della sua esperienza. Di contro, il successivo colloquio con Sergio Cipolla, presidente di una O.n.G. che realizza progetti di aiuto nel Terzo Mondo, risulta poco significativo perché troppo angusto. E le pur interessanti interviste a don Carlo Molari e al padre cappuccino Ortensio da Spinetoli, non riescono ancora a far innamorare il lettore del libro.
Proporrei allora di considerare come inizio ideale della raccolta, che da qui tiene fede alle premesse introduttive, l’intervista a Giovanni La Fiura “uno dei protagonisti silenziosi la cui preziosità sarà misurabile solo in futuro, quando il tempo aiuterà a distinguere l’oro dai fondi di bottiglia” in un movimento antimafia che, senza la fatica quotidiana e sottovalutata di persone come lui “sarebbe un grosso bestione senza cervello” (pag.57). A essa seguono l’intervista-gioiello a Francesco Stabile, capace di fornire sinteticamente la summa degli intricati rapporti tra Chiesa e mafia in Sicilia, e le belle pagine dedicate al pastore valdese Panascìa.
Apparse in prima lettura su “La Repubblica”, luminosi squarci di verità sono offerti dalle interviste a Simona Mafai, al prof. Barcellona e a don Vincenzo Sorce, per il quale “è essenziale il monito di don Milani: servire i poveri senza servirsi dei poveri.” (pag.114). Tratteggiati con cura, tra gli altri, i ritratti di don Meli e di Amelia Crisantino, docente, studiosa di sociologia e scrittrice.
Ecco però un’altra “mancanza” del libro: l’assenza di una qualsiasi foto o disegno che evochi la persona ricordata, se si eccettua la scelta felice di creare la copertina del libro con la foto di Candida Di Vita, la cui straordinaria normalità costituisce il primo dei ritratti in memoria. Che comprendono don Pino Puglisi, Peppino Impastato, Giorgio La Pira e gli eroi siciliani, quasi del tutto ignoti, Francesco Lo Sardo e Lucio Schirò D’Agati. Solo alcuni, peraltro, “di quell’immenso, silenzioso fiume del “popolo del Bene” (…) accomunato dalla convinzione che la felicità altrui è il metro della propria gioia di vivere”(pag.8).
In un momento storico così avaro di speranza, incapace di offrirci significativi sguardi in avanti, anche se non fossimo suoi amici, credo che potremmo essere grati all’autore per averci dato l’opportunità di conoscere o ripensare a “tante persone belle”, esempi luminosi per i credenti in Dio e per i credenti in altri valori. Nella certezza, come ci ricorda nell’introduzione, che Dio, “se c’è, potrebbe essere la memoria fedelissima in cui restano incise, per sempre, le biografie più nascoste delle creature effimere che siamo”.
La prima: il criterio cronologico con cui sono presentati i volti “della bella gente” di cui si parla. Dopo l’eccellente introduzione, pervasa da una toccante tensione etica, ci viene proposta un’intervista-colloquio con don Cosimo Scordato, datata e un po’ indigesta. Più che un’intervista, si tratta di un monologo che non rende affatto la“bellezza” dell’intervistato e l’originalità della sua esperienza. Di contro, il successivo colloquio con Sergio Cipolla, presidente di una O.n.G. che realizza progetti di aiuto nel Terzo Mondo, risulta poco significativo perché troppo angusto. E le pur interessanti interviste a don Carlo Molari e al padre cappuccino Ortensio da Spinetoli, non riescono ancora a far innamorare il lettore del libro.
Proporrei allora di considerare come inizio ideale della raccolta, che da qui tiene fede alle premesse introduttive, l’intervista a Giovanni La Fiura “uno dei protagonisti silenziosi la cui preziosità sarà misurabile solo in futuro, quando il tempo aiuterà a distinguere l’oro dai fondi di bottiglia” in un movimento antimafia che, senza la fatica quotidiana e sottovalutata di persone come lui “sarebbe un grosso bestione senza cervello” (pag.57). A essa seguono l’intervista-gioiello a Francesco Stabile, capace di fornire sinteticamente la summa degli intricati rapporti tra Chiesa e mafia in Sicilia, e le belle pagine dedicate al pastore valdese Panascìa.
Apparse in prima lettura su “La Repubblica”, luminosi squarci di verità sono offerti dalle interviste a Simona Mafai, al prof. Barcellona e a don Vincenzo Sorce, per il quale “è essenziale il monito di don Milani: servire i poveri senza servirsi dei poveri.” (pag.114). Tratteggiati con cura, tra gli altri, i ritratti di don Meli e di Amelia Crisantino, docente, studiosa di sociologia e scrittrice.
Ecco però un’altra “mancanza” del libro: l’assenza di una qualsiasi foto o disegno che evochi la persona ricordata, se si eccettua la scelta felice di creare la copertina del libro con la foto di Candida Di Vita, la cui straordinaria normalità costituisce il primo dei ritratti in memoria. Che comprendono don Pino Puglisi, Peppino Impastato, Giorgio La Pira e gli eroi siciliani, quasi del tutto ignoti, Francesco Lo Sardo e Lucio Schirò D’Agati. Solo alcuni, peraltro, “di quell’immenso, silenzioso fiume del “popolo del Bene” (…) accomunato dalla convinzione che la felicità altrui è il metro della propria gioia di vivere”(pag.8).
In un momento storico così avaro di speranza, incapace di offrirci significativi sguardi in avanti, anche se non fossimo suoi amici, credo che potremmo essere grati all’autore per averci dato l’opportunità di conoscere o ripensare a “tante persone belle”, esempi luminosi per i credenti in Dio e per i credenti in altri valori. Nella certezza, come ci ricorda nell’introduzione, che Dio, “se c’è, potrebbe essere la memoria fedelissima in cui restano incise, per sempre, le biografie più nascoste delle creature effimere che siamo”.
Maria D'Asaro
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