Non esiste nella tradizione buddista qualcosa come la preghiera. Esistono i Rifugi: chiedere al Buddha, al Dharma, al Sangha, di darci rifugio, di farci tana.
Esiste il canto di mettà, chiamare il bene e distribuirlo, condividerlo benedicendo.
Ma il mio amico don Angelo, in una sua omelia, cita le parole del profeta Isaia (51,9) che dicono: «Svegliati, svegliati, rivestiti di forza, o braccio del Signore. Svegliati come nei giorni antichi, come tra le generazioni passate».
E se pregare è svegliare e il bisogno di svegliare nasce dalla percezione della nostra limitatezza, allora tutto il percorso della pratica di meditazione, che è rivolta sempre al Risveglio, è preghiera.
Allora, proprio non è una tecnica nè una forma di erudizione, nè un ennesimo tentativo di onnipotenza, nè la ricerca di un incondizionato benssere distaccato dal tutto.
Allora pregare è svegliare la vita perchè ci dia una mano, perchè abbia compassione, perchè ci sia dialogo.
Perchè la vita è viva.
Si racconta che quando il Buddha si risvegliò. gli alberi lasciarono piovere i loro fiori su di lui.
E il maestro indiano Rajneesh commentò che non si tratta di una metafora: la natura gli stava dicendo: «Non sei solo».
Chandra Candiani Questo immenso non sapere Einaudi, Torino, 2021, pag.119
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