domenica 29 ottobre 2023

Operazione Colomba, vicini a chi soffre

     Palermo – In questi giorni bui, segnati dai terribili resoconti di quanto accade in Israele e Palestina, fa bene sapere che esistono associazioni italiane impegnate accanto a chi soffre. 
   Come la Comunità Papa Giovanni XXIII, di ispirazione cattolica: presente oggi in trenta Paesi di vari continenti con progetti a favore di minori, di vittime di violenza e di sfruttamento, di popoli coinvolti in conflitti armati, la Comunità nasce nel 1968 a opera del sacerdote don Oreste Benzi con una ‘mission’ di tipo assistenziale verso soggetti fragili (poveri, bambini, portatori di handicap) con uno stile di coinvolgimento attivo e paritario/familiare degli operatori. 
      Con la nascita al suo interno di Operazione Colomba, nell’associazione si sviluppa una vocazione più specifica per la presenza nonviolenta in zone di conflitto.
     Come ha raccontato la volontaria Caterina Ferrua, nel suo intervento a Palermo il 16 ottobre scorso, Operazione Colomba nasce quasi per caso nel 1992, quando  due giovani obiettori di coscienza di Rimini scelgono di recarsi nella dirimpettaia ex Jugoslavia, allora martoriata dalla guerra, per favorire i contatti tra i familiari degli opposti schieramenti, condividendo la vita difficile della gente ed effettuando accompagnamenti di scorta civile. Lì cercano di testimoniare concretamente la loro equivicinanza umana, contribuendo a riunire famiglie divise dai diversi fronti con la creazione di spazi di incontro, dialogo e convivenza pacifica. 
  L'esperienza maturata sul campo ha poi portato l’associazione a presenze stabili in alcune zone di conflitto: in Colombia e in Cile, in Medio Oriente (Libano, Palestina e Israele), in Ucraina e in Grecia, dove oggi, tra volontari e obiettori di coscienza, sono impegnate oltre 2.000 persone.
In Operazione Colomba ci sono volontari di lungo periodo, se offrono uno o più anni di disponibilità, e volontari di breve periodo, se invece sono disponibili solo per qualche mese. L’esperienza è aperta a chiunque, credente e no. Di indispensabile c’è l’adesione al percorso nonviolento - l’associazione crede fermamente che la nonviolenza sia l'unica forza attiva in grado di fermare la spirale di odio e vendetta generata dalle guerre - la maggiore età (e non avere più di 75 anni) e la partecipazione a un corso di formazione specifico.
Caterina Ferrua
    Gli interventi di Operazione Colomba si configurano quindi come un modello efficace di Corpo Civile e Nonviolento di Pace nei conflitti armati internazionali o nelle tensioni sociali acute.
Dal 1992 ad oggi Operazione Colomba ha stretto importanti rapporti di collaborazione con Istituzioni Nazionali ed Internazionali (ONU, UE), Centri per i Diritti Umani ed ONG, esponenti di Chiese e Associazioni. L’associazione svolge anche un importante ruolo di denuncia - spesso in modo silenzioso e discreto - attraverso i contatti con Agenzie Internazionali e Governi per sollecitare interventi istituzionali a favore di chi patisce condizioni di ingiustizia. 
    Caterina Ferrua, volontaria trentunenne che ha già operato per due anni e mezzo al Campo profughi siriani di Tel Abbas in Libano, ha evidenziato i tre pilastri fondamentali di Operazione Colomba: la condivisione, la scelta nonviolenta e l’equivicinanza. 
    La scelta della condivisione implica che i volontari ‘abitano il conflitto’, condividendo con le vittime la precarietà delle situazioni d’emergenza, diventando ‘prossimi’: si mettono accanto alle persone e vivono nei loro stessi luoghi (campi profughi, zone di guerra) condividendo tutto ciò che caratterizza il loro contesto di vita (cibo, routine, abitazioni) e anche le situazioni di pericolo. 
In questo modo, i volontari rompono l’iniziale diffidenza verso la loro presenza di ‘occidentali’: accompagnano le persone nei loro spostamenti, recapitano messaggi, viveri, pacchi, fanno la spesa, procurano cibo, medicine o altri generi di necessità. La loro sola presenza (ben visibili magliette o giubbotti che li contraddistinguono) serve spesso da protezione alle persone che hanno accanto. 
   Il secondo pilastro della loro opera è la nonviolenza: i volontari vivono in situazioni di guerra o di ingiustizie e tensioni sociali, dove la loro scelta nonviolenta è imprescindibile e sperimentano che è l'unica via per ottenere una risoluzione autentica dei conflitti, fondata su verità, giustizia e riconciliazione.   Caterina ha raccontato che, all’inizio della giornata, i volontari fanno sempre un momento di meditazione e di silenzio che possa aiutarli ad avere almeno un … luogo di pace interiore per affrontare le situazioni difficili e complesse che si troveranno a vivere. 
    Ad esempio, nei campi profughi del Libano dove stanno da anni migliaia di siriani fuggiti dalla guerra, i volontari costituiscono una presenza importante in un contesto interno spesso violento: purtroppo, infatti, le condizioni di precarietà e di sofferenza scatenano tensioni e violenze tra chi vive lì in situazione di estrema privazione. Donne e bambini sono le prime vittime spesso anche all’interno della famiglia stessa. 
   Terzo e ultimo fondamento di Operazione Colomba è l’equivicinanza, anche fisica, a tutte le vittime delle parti in conflitto, indipendentemente da etnia, religione, appartenenza politica. Caterina ha raccontato che per 21 anni i volontari dell’associazione hanno vissuto in un villaggio di pastori palestinesi nella cosiddetta Green Line, nel sud della Cisgiordania, in una zona semidesertica. Lì era nato un comitato di lotta popolare nonviolenta, in dialogo con una parte degli israeliani. Oggi il precipitare degli eventi ha costretto, loro malgrado, i volontari a rientrare in patria.
   Prima della tappa a Palermo, Caterina ha detto di essersi recata a Modica, in provincia di Ragusa, a visitare una famiglia siriana - marito, moglie, tre figli – una delle prime a entrare legalmente in Italia qualche anno fa, grazie ai Corridoi umanitari: protocolli giuridici che permettono l’ingresso legale e sicuro in Europa di persone vulnerabili, potenzialmente beneficiarie di protezione internazionale. 

I promotori dei Corridoi umanitari sono associazioni della società civile (Comunità di sant’Egidio, Caritas, Chiesa Valdese, Comunità Evangeliche) che negoziano e firmano i Protocolli con gli stati europei in cui i Corridoi vengono realizzati. Le associazioni selezionano i beneficiari e ne organizzano il viaggio in Europa, scegliendo, formando e monitorando la rete dell’accoglienza. Le autorità pubbliche garantiscono infatti la cornice giuridica e legale per i Corridoi umanitari, ma non sono coinvolte sul piano operativo e finanziario, che rimane a carico dei gruppi di accoglienza.
    I corridoi umanitari, in ultima analisi, non sono una forma di assistenza pubblica ai migranti beneficiari, in quanto si reggono esclusivamente sulle risorse economiche messe a disposizione dalla società civile.
     Vittorio Arrigoni, attivista italiano ucciso nel 2011 in Palestina, esortava a ‘restare umani’: i volontari di Operazione Colomba ci riescono, a nome di tutti gli uomini e le donne di buona volontà.

Maria D'Asaro, il Punto Quotidiano, 29.10.23

2 commenti:

  1. Grazie Maria, per questo resoconto dettagliato che apre uno spiraglio per una boccata d'aria dì umanità
    Adriana

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  2. @Adriana: grazie a te, cara, per il tuo riscontro affettuoso.

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