domenica 31 marzo 2024

Renata Fonte uccisa per l’impegno a difesa dell’ambiente

    Palermo – Se si chiedesse oggi a un campione di italiani chi era Renata Fonte, forse solo in pochi saprebbero rispondere… 
    Eletta nel 1982 nelle liste del Partito repubblicano, Renata Fonte è stata assessore alla cultura e alla pubblica istruzione nel comune pugliese di Nardò, in provincia di Lecce: venne uccisa con alcuni colpi di pistola da due killers nella notte del 31 marzo 1984, esattamente 40 anni fa, mentre ritornava a casa dopo una seduta del consiglio comunale. 
      Il suo nome viene pronunciato ogni anno il 21 marzo nella Giornata della Memoria e dell'Impegno, nel lungo elenco delle vittime della mafia e della criminalità organizzata.
Perché fu uccisa Renata? 
    A lei, allora trentenne - era nata a Nardò il 10 marzo 1951 - oltre all’assessorato alla cultura e all’istruzione, era stato anche assegnato l’assessorato all’ambiente. Per difendere dalla speculazione edilizia l'area di grande interesse naturalistico di Porto Selvaggio (istituita come Parco naturale con legge regionale nel 1980), l’assessora promosse una modifica al piano regolatore. Pare che in questo atto politico finalizzato alla protezione ambientale del territorio del Parco sia da ricercare uno dei moventi del suo assassinio: infatti, l'omicidio venne commesso pochi giorni prima dalla seduta nella quale si sarebbe decisa la modifica al piano regolatore da lei proposta. 
Veduta Porto Selvaggio
   Dopo la sua morte, le indagini si stavano indirizzando erroneamente sul marito, dal quale si era separata; ma ben presto, grazie anche alla coraggiosa testimonianza di due donne, vennero individuati gli esecutori materiali dell’assassinio (Giuseppe Durante e Marcello My), gli intermediari e soprattutto il mandante, Antonio Spagnolo, un collega di partito della vittima che alle elezioni amministrative era risultato il primo dei non eletti. Al processo di primo grado Antonio Spagnolo fu condannato all’ergastolo come mandante dell’omicidio premeditato, Giuseppe Durante come esecutore materiale del delitto; condannati anche Mario Cesari, come intermediario, e Marcello My, che confessò successivamente la sua partecipazione al delitto. Le sentenze furono confermate nei gradi successivi di giudizio; inoltre, accanto alle responsabilità già accertate, la sentenza di primo grado della corte d'Assise di Lecce ipotizzò la presenza di ulteriori personaggi, non identificati, ai quali l’elezione di Renata Fonte non avrebbe permesso di conseguire i propri obiettivi.
    L’impegno di Renata Fonte ha dato i suoi frutti: con legge regionale del 15 marzo 2006, il parco naturale di Porto Selvaggio e Palude del Capitano è poi diventato area naturale protetta ed è stato inserito l’anno successivo dal FAI (Fondo ambiente italiano) nell’elenco del ‘100 luoghi italiani da salvare’.
    Il comune di Nardò le ha dedicato una piazza e le ha intitolato l’aula consiliare, mentre nel 2009, in occasione del 25º anniversario della morte, è stata inaugurata al parco di Porto Selvaggio una stele in memoria del suo impegno civile e politico.
    A Francavilla Fontana, in provincia di Brindisi, il 26 giugno 2022, insieme a intitolazioni di viali a donne e uomini significativi per la storia locale e in collaborazione con Toponomastica Femminile, alla presenza di Sabrina, una delle due sue figlie, le è stato dedicato il piazzale di ingresso della villa comunale; una via le è stata intitolata anche nel comune di San Donaci, sempre in provincia di Brindisi.
 La vicenda di Renata Fonte è stata narrata da Antonella Mascali nel testo Lotta civile e da Carlo Bollino nel libro La posta in gioco, da cui è stato tratto il film omonimo, con la regia di Sergio Nasca e l’interpretazione di Lina Sastri.
   Infine, alcuni studiosi naturalisti salentini le hanno dedicato un’orchidea: la Ophrys x sivana nothosubsp. renatafontae, incrocio tra Ophrys candica e Ophrys holosericea.
     In questa domenica di Pasqua, l’augurio è che il sacrificio di Renata Fonte, e di tutti quelli che hanno perso la vita per la giustizia, faccia germogliare semi di speranza nel nostro paese che, oggi più che mai, ha bisogno di donne e uomini a servizio del bene comune. 

Maria D'Asaro, 31.3.24, il Punto Quotidiano

giovedì 28 marzo 2024

Esortazioni alla Pace...

Parla la pace 
Se i mortali mi osteggiassero, scacciassero e respingessero, benché innocente, ma almeno con loro vantaggio, dovrei deplorare soltanto l’ingiustizia fatta a me e la loro iniquità, ma poiché nello sbandirmi cacciano lontano da sé la fonte di tutte le umane felicità e si attirano un oceano di sciagure d’ogni sorta, mi tocca compiangere piuttosto la sventura loro che l’oltraggio recato a me: mentre avrei preferito soltanto sdegnarmi, mi vedo invece costretta a dolermi della loro sorte e ad averne pietà. In effetti è sempre disumano respingere chi ci ama, è da ingrato osteggiare chi ci ha fatto del bene, è da empio tormentare la madre e la salvatrice comune.
Erasmo da Rotterdam 1517

All’origine di tutti i mali del mondo c’è la pretesa del dominio, di avere sempre ragione, di avere più forza, di essere al di sopra di tutti, di dovere comandare su tutti, di potere disporre di tutto. Se vogliamo pensare alla pace dobbiamo ripartire dallo sguardo d’amore sicuramente intercorso tra madre e bambino: il bambino acquetato dalla madre, la madre felice di quello sguardo del figlio, lo sguardo di Dio. È una scena di pace assoluta, quella pace negata a migliaia di bambini e madri nella guerra che da troppo tempo li strazia. 
 don Cosimo Scordato 
S’incontrano, come faranno domani, per uccidersi l’un l’altro, si massacrano, feriscono decine di migliaia di uomini, e poi celebrano funzioni di ringraziamento per il fatto d’aver ammazzato molte persone (il cui numero viene inoltre esagerato) e proclamano la vittoria, credendo che quanta più gente hanno ucciso, tanto maggiore sarà il merito. Come fa Dio di lassù a guardare e ad ascoltarli! 
Leone Tolstoj, da Guerra e pace

Tutti i vizi di tutte le età e di tutti i paesi del globo riuniti assieme non uguaglieranno mai i peccati che provoca una solo campagna di guerra. Fino a che il capriccio di pochi uomini spingerà milioni di nostri fratelli a battersi realmente fra di loro, quella parte del genere umano che si fa dell’eroismo un mestiere, sarà la cosa più mostruosa di tutto il creato. Che cosa diventano la carità cristiana, la beneficenza, la modestia, la temperanza, la mitezza, la saggezza, la fede, quando mezza libbra di piombo tirata da mille passi mi colpisce a morte e mi fa morire, a vent’anni, in mezzo a cinque o seimila moribondi, mentre i miei occhi, aprendosi per l’ultima volta, vedono la città dove sono nato distrutta dal ferro e dal fuoco, e gli ultimi suoni che odono le mie orecchie sono i gemiti delle donne e dei bambini che spirano sotto le rovine?” 
"guerra” dal dizionario filosofico di Voltaire 

Chi opera per la pace, chi cerca la pace, chi non si accontenta, non è uno spettatore, ma un operatore e un architetto che sa che ogni suo gesto conta e può fare la differenza. Oggi, dobbiamo imparare, esattamente come abbiamo fatto per il Covid, che anche la guerra è una pandemia, che non esistono guerre locali, ma che ogni guerra è un focolaio difficile da circoscrivere, perché ogni guerra è sempre una guerra mondiale. Il cristiano è un uomo di pace, non un uomo in pace, non rinuncia a resistere, sceglie un altro modo di resistere: la non violenza, che è un rifiuto attivo del male, non un’accettazione passiva. Il non violento, nel suo rifiuto a difendersi, è sempre un coraggioso. La nonviolenza è un atto di fiducia nell’uomo e di fede in Dio.                                                                 Walter Veltroni

E, anche quando il buio sembra trionfare sulla luce, non dobbiamo smettere di sognare. Come possiamo, infatti, anelare a un futuro di pace, senza nutrire la speranza che questa possa davvero realizzarsi? Dietro ogni grande passo dell’umanità, c’è un sogno. La pace non è un sogno, può diventare realtà, ma per custodirla bisogna essere capaci di sognare. 
Nelson Mandela 

(Martedì sera 26 marzo scorso, nella chiesa palermitana di Maria Madre della Misericordia, c’è stata una liturgia penitenziale che ha offerto ai presenti toccanti spunti di riflessione.  Qui ne sono stati riportati alcuni, tra i tanti. Grazie di cuore a Rosalba Alù e ad Andreina per l’ideazione e l’organizzazione)

martedì 26 marzo 2024

Italo Calvino e le sue Lezioni americane: Esattezza

        La precisione per gli antichi Egizi era simboleggiata da una piuma che serviva da peso sul piatto della bilancia dove si pesano le anime (…)

      Esattezza vuol dire per me soprattutto tre cose:
1) Un disegno dell’opera ben definito e ben calcolato;
2) L’evocazione d’immagini visuali nitide, incisive, memorabili; in italiano abbiamo un aggettivo che non esiste in inglese “icastico” (…);
3) Un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione.
     Perché sento il bisogno di difendere dei valori che a molti potranno sembrare ovvii? Credo che la mia prima spinta venga da una mia ipersensibilità o allergia: mi sembra che il linguaggio venga sempre usato in modo approssimativo, casuale, sbadato, e ne provo un fastidio intollerabile. Non si creda che questa mia reazione corrisponda a un’intolleranza verso il prossimo: il fastidio peggiore lo provo sentendo parlare me stesso. 
      Per questo cerco di parlare il meno possibile, e se preferisco scrivere è perché scrivendo posso correggere ogni frase tante volte quanto è necessario per arrivare non dico a essere soddisfatto delle mie parole, ma almeno a eliminare le ragioni d’insoddisfazione di cui posso rendermi conto. La Letteratura – dico la letteratura che corrisponde a queste esigenze – è la Terra Promessa in cui il linguaggio diventa quello che veramente dovrebbe essere. (…)

Italo Calvino: Lezioni americane, Sei proposte per il prossimo millennio 

domenica 24 marzo 2024

Partinico non cambia: no a Peppino Impastato

         Palermo – La vicenda che ha avuto il suo epilogo qualche giorno fa, era iniziata da un paio d’anni, quando gli studenti del liceo scientifico di Partinico, comune a una trentina di chilometri da Palermo, avevano proposto il cambio di nome del loro liceo, intitolato a Santi Savarino, giornalista e politico nato proprio a Partinico nel 1887 e morto a Roma nel 1966. Savarino, nel 1938, fu tra gli intellettuali firmatari della campagna razziale promossa dopo l’emanazione delle leggi fasciste sulla razza; poi, nel 1943, con il governo Badoglio, fu commissario dell’Ente Stampa col compito di vigilare sulla pubblicazione di “notizie non autorizzate” e successivamente, fino al 1962, direttore de “Il Giornale d’Italia”, mentre nel 1953 veniva eletto senatore nelle liste della Democrazia Cristiana. Di Savarino è nota anche una sua corrispondenza amichevole con Frank Coppola, boss mafioso originario di Partinico e vissuto molto tempo negli Stati Uniti.
Il giudice Livatino
     Per togliere dalla scuola il suo nome, i liceali avevano proposto di intitolare l’Istituto al magistrato Rosario Livatino, ucciso dalla Stidda mafiosa ad Agrigento nel 1990, oppure dell’ex sindaca della città Gigia Cannizzo, morta nel 2021, paladina nell’amministrazione comunale della legalità e della trasparenza amministrativa; mentre i docenti proponevano il nome della scienziata Rita Levi Montalcini, Nobel per la Medicina nel 1986. 
     Dopo queste istanze iniziali, nel 2021 il Consiglio d’istituto votava a favore dell’intitolazione della scuola a Impastato e a sua madre Felicia Bartolotta, in una riunione però caratterizzatadalle assenze, senza un voto unanime da parte di tutte le componenti scolastiche.
   Procedeva quindi l’iter burocratico necessario per il cambiamento di nome, iter che comporta il parere anche della Giunta comunale di Partinico: la Giunta commissariale che allora amministrava Partinico, perché quella eletta era stata sciolta per infiltrazioni mafiose, esprimeva parere favorevole.
    La delibera però rimaneva bloccata nei cassetti del Comune e, quando perveniva alla Direzione dell’Ufficio Scolastico Regionale per la definitiva approvazione, il Direttore dell’Ufficio richiedeva una nuova votazione alla Giunta e al Consiglio d’Istituto. 
    Ed ecco i fatti recenti: la giunta comunale attualmente in carica (eletta nel novembre 2023) ha deliberato di lasciare il nome di Santi Savarino, mentre il Consiglio d’Istituto, nella seduta del 7 marzo scorso, ha riproposto il nome di Peppino Impastato (già votato nel 2021), proposta che ha registrato però i voti contrari dei quattro rappresentanti degli studenti. 
     Il no a titolare la scuola a Peppino Impastato (che, a fine anni ’60, aveva frequentato il liceo classico oggi annesso) è stato motivato con gli esiti di un sondaggio interno alla popolazione studentesca dell’intero Istituto: il 73%, (977 alunni su 1335) si è espresso negativamente sul nome di Impastato, 181 i favorevoli (13,6%), 177 gli astenuti (13,3%).
Peppino Impastato
    Nella lettera indirizzata al Direttore dell’Ufficio scolastico regionale, al Prefetto e alla Consulta degli studenti colpisce però la motivazione avanzata dai rappresentanti degli studenti: sottolineandone lo schieramento politico, Peppino viene dichiarato: “personaggio divisivo”.  Prima di essere assassinato, il 9 maggio 1978, Peppino si era in effetti candidato al Consiglio comunale di Cinisi nelle liste di Democrazia Proletaria, partito che considerava più idoneo per condurre la sua battaglia cristallina di onestà e di lotta alle infiltrazioni mafiose nel suo territorio.
     Le parole degli studenti hanno suscitato l’amarezza del fratello di Peppino, Giovanni Impastato, che ha chiesto di incontrarli e ha dichiarato: “Altro che divisivo, Peppino è un personaggio amatissimo dai ragazzi perché combatteva battaglie in nome di tutti: l’antimafia, le lotte per l’ambiente, per la pace… Su molte cose era in anticipo di 50 anni: forse è opportuno che i ragazzi del liceo di Partinico tornino a studiare la sua storia”.
     Dopo il clamore mediatico suscitato dall’accaduto, i rappresentanti degli studenti hanno rettificato all’Ansa di non avere nulla contro Impastato, ribadendo però: “Avremmo preferito una persona meno divisiva, e non ci piace il metodo seguito”. 
     Per evitare generalizzazioni e giudizi sommari, una vicenda così delicata e complessa comporterebbe un’indagine approfondita, finalizzata soprattutto a comprendere le motivazioni espresse dagli studenti. 
      Si può affermare comunque che a Partinico, in un modo o nell’altro, hanno perso tutti: i Docenti e il Consiglio d’Istituto, che forse non hanno operato in modo efficace per costruire un’armonia d’intenti al loro interno; gli studenti, che avrebbero dovuto evitare di definire Peppino ‘divisivo’ (Peppino, infatti, se uno spartiacque lo ha segnato è stato quello tra mafiosi criminali e cittadini onesti e amanti della giustizia); la Giunta comunale, che avrebbe dovuto avere la lungimiranza etica di oltrepassare le appartenenze e le miopi logiche di partito; l’Ufficio Scolastico regionale, che avrebbe potuto seguire con maggiore attenzione formativa la vicenda; i cittadini e le cittadine di Partinico, che avrebbero avuto il diritto di avere intitolato il liceo cittadino a martiri della giustizia come Peppino Impastato o il giudice Rosario Livatino, o a donne simbolo come Rita Levi Montalcini o Gigia Cannizzo.
     Ma per la felicità di un comitato spontaneo, composto da alcuni esponenti della politica e della società civile di Partinico, sorto contro l’ipotesi di far cambiare la denominazione dell’Istituto, il nome del liceo scientifico continuerà a evocare Santi Savarino, intellettuale in auge in epoca fascista, ai tempi del governo Badoglio e persino Senatore con il partito di maggioranza negli anni ‘50: uomo non divisivo, buono per tutte le stagioni. Anche per quella di oggi.
Maria D'Asaro, 24.3.24, il Punto Quotidiano

giovedì 21 marzo 2024

A scuola di nonviolenza...

       L’idea è partita dalle belle teste pensanti dei professori Andrea Cozzo e Augusto Cavadi: - I ragazzi oggi non hanno idea della nonviolenza, nelle scuole si studiano solo le guerre… organizziamo un percorso di studio pomeridiano, magari incentivato da una borsa di studio a chi parteciperà con costanza e interesse? – 
        Detto fatto.  Il prof. Cavadi in pochi giorni organizza tutto e il movimento nonviolento palermitano pubblicizza l’iniziativa. Aderiscono 17 studentesse e studenti, pur consapevoli che le borse di studio sono solo 12 (offerte da aderenti, simpatizzanti del movimento nonviolento e privati cittadini, da una casa editrice, dalla fondazione Emanuele Parrino e dalla scuola di formazione "Giovanni Falcone").
        Il percorso inizia a fine ottobre e finisce a marzo. Quasi tutti partecipano con costanza e interesse presentando elaborati creativi. Saranno premiati domani, alle 18, a piazza san Giovanni Decollato, Palermo. Sarebbe bello festeggiare insieme la realizzazione di questo percorso formativo… Vi aspettiamo.

martedì 19 marzo 2024

Nostra signora con il fischietto

     Nella sua attuale incarnazione, nostra signora si occupava attivamente di calcio. 
     Come mai? - potrebbero chiedersi i 25 affezionati lettori. In verità a nostra signora, anche in secoli diversi dall’attuale, non dispiaceva seguire le partite e tifare per la Nazionale italiana, ma ora il suo ruolo era diverso: era ormai arbitro ufficiale di una FIGC privata, con tanto di fischietto, cartellino giallo e rosso, se necessario, e taccuino per le annotazioni. 
      Perché nostra signora aveva due nipotini appassionati della disciplina che avevano bisogno di una persona che arbitrasse la partitella domenicale nel giardino di casa. Visto che gli zii erano lontani, il papà aveva spesso turni di lavoro festivi, la mammina era in altre faccende affaccendata e gli altri tre nonni erano, per vari giustificati e ingiustificati motivi, assolutamente indisponibili, rimaneva solo la scrivente ad arbitrare: traversa… rimessa laterale… punizione… contrasto irregolare… cartellino giallo… fallo di mano… corner… trattenuta… goal!





Fuori onda, oggi giornata dedicata a san Giuseppe, santo molto apprezzato in Sicilia. 
Il nonno materno, nonno Turiddu,  era solito ripetere quest’invocazione: 




San Giusippuzzu, vui fustivu patri
Vergine fusti comu la Matri
Maria la rosa, Giuseppe lu gigliu
Datinni aiutu, cunfortu e cunsigliu

domenica 17 marzo 2024

Emanuela uccisa dalla mafia 130 anni fa

        Palermo – C’è uno stereotipo sulla mafia ancora duro a morire: credere che ci sia stata in passato una mafia meno crudele di quella attuale, che regolava i conti solo al suo interno, una sorta di mafia ‘buona’ che risparmiava donne e bambini.  
       Non è affatto così: lo ripete da decenni lo studioso Umberto Santino, con la moglie Anna Puglisi, presidenti del Centro Impastato, tra i massimi conoscitori del fenomeno criminale mafioso. A Palermo, proprio Umberto Santino e Anna Puglisi, assieme al No Mafia Memorial, all’UDIPalermo e al Museo Sociale Danisinni, si sono impegnati per far conoscere alla comunità cittadina un esempio di ribellione alla violenza della mafia, assai lontano nel tempo, che ha tardato ad avere il riconoscimento e la valorizzazione che merita.
     Si tratta di un episodio accaduto addirittura il 27 dicembre 1896 in una via abbastanza centrale di Palermo, la via Sampolo, non lontana dall’affaccio al mare della città. 
     Quel giorno, una domenica sera, al numero civico 20 di via Sampolo, nel locale che fungeva da magazzino e vendita di merceria, di pasta e da osteria (il retrobottega costituiva l’abitazione dei signori Sansone, che gestivano il locale), si trovavano tutti i membri della famiglia Sansone, come testimonia una pagina del Giornale di Sicilia del tempo. La famiglia era composta dal padre Salvatore, che, giocava a carte con un cliente, dalla moglie Giuseppa Di Sano e dai tre figli: Emanuela, quasi diciottenne, e dai fratelli più piccoli Salvatore e Giuseppe. Dice il resoconto del giornale che, all’improvviso, vennero esplose delle fucilate dall’esterno, fucilate che uccidevano Emanuela e ferivano gravemente sua madre, che però veniva soccorsa e riusciva poi a salvarsi. 
    Quello che avvenne in seguito, come testimoniato dagli atti giudiziari, è davvero importante e significativo, specie per l’epoca e il contesto sociale in cui è successo: la signora Di Sano infatti, nonostante le pesanti minacce ricevute, collaborando con la Magistratura, denunciò gli assassini e ottenne giustizia per l’assassinio della figlia. 
    L’episodio dimostra che, anche in tempi lontani e assai difficili, cento anni prima delle testimonianze di Rita Atria e Piera Aiello, ci sono state in Sicilia donne che, pur se di umili condizioni sociali e allora quasi prive di diritti, non si sono piegate alla violenza criminale mafiosa, e hanno lottato perché emergesse la verità. 
    Proprio venerdì 8 marzo, nella giornata dedicata alle donne, alla presenza del sindaco di Palermo Roberto Lagalla e di rappresentanti delle associazioni già menzionate, nel luogo dell’assassinio è stata posta una targa alla memoria per ricordare Emanuela Sansone e sua madre Giuseppa. A dimostrazione, come sottolineato da Daniela Dioguardi dell’UDIPalermo, che l’amore disperato di una ‘madre coraggio’ può assumere valore politico di denuncia e favorire un cambiamento in senso positivo dei comportamenti sociali. 

Maria D'Asaro, 15.3.24, il Punto Quotidiano





venerdì 15 marzo 2024

15 marzo 1999/2024: 25 anni senza Giuliana

      Cara Giuliana,

     ho imparato ad apprezzarti grazie alla mia amica Teresa: “Ti perdi due perle se non leggi Romanzo civile e Terra di rapina”. 
      Prima della sua ‘presentazione’ sapevo solo che eri una giornalista. Chissà, forse una volta potremmo esserci persino incrociate in città, magari in una delle tante manifestazioni antimafia…Ma i tuoi occhi nocciola, scuri e intensi, posso solo immaginarli, perché ti ho conosciuta davvero quando ho letto i tuoi libri. Ma tu non c’eri più.
     Teresa aveva ragione: mi sono subito innamorata della tua scrittura. E sono stata affascinata dalla tua intelligenza, dal tuo lucido impegno, dalla tua passione civile. (…)

     Con Marcello, sposato nel 1947 dopo aver pianto assieme i morti di Portella della Ginestra, confluivi generosamente nel ‘grande e glorioso’ Partito comunista: “pochi operai e tanti contadini all’assalto dei loro diritti, e noi con loro, convinti di cambiare tutto per cambiare tutto, di scuotere dalle fondamenta, fino ad abbatterle, strutture economiche e sociali, di svellere radici”. (…)
    “Dov’è Rizzotto?” – gridava Di Vittorio a Palermo. “Il bracciante Placido Rizzotto, socialista, segretario della Camera del lavoro di Corleone, aveva solo ventisei anni quando i mafiosi, Luciano Liggio in testa, lo acchiapparono la sera del 10 marzo 1948”. E lo trucidarono, poco dopo. 
Sono stati i ‘compagni’ e le ‘compagne’ come te, a riscattare il suo sacrificio e quello di centinaia di altri martiri coraggiosi ammazzati dalla mafia e dai padroni perché lottavano per la libertà dal bisogno e per la giustizia sociale: “libertà dal bisogno e dalla paura”, come c’era scritto sulle amlire.  (…)
       Da giornalista, poi col tuo sguardo attento e con il tuo stile semplice e diretto, hai descritto una Palermo incapace di reagire agli equilibri politico-mafiosi, una città in cui, alcuni decenni fa, la mafia aveva operato un soffocante restringimento degli spazi di libertà, un occhiuto controllo del territorio.  (…)

       Anche durante l’ultima reincarnazione, hai avuto un risveglio vitale, un sussulto di passione e orgoglio civile e hai trovato la forza di rivolgerti agli altri, ai palermitani non collusi con la mafia, colpiti al cuore per le stragi di Capaci e via D’Amelio.
    C’è il tuo soffio vitale nella reazione, femminile e nonviolenta, semplice e dirompente, di esporre un lenzuolo bianco per esprimere il lutto, il dolore, ma anche la rabbia e la ribellione.
Ora basta”. “Palermo chiede giustizia”. Due lenzuoli, con queste scritte, esposti in via Maqueda 110. “Il comitato dei lenzuoli nasce dalle lacrime irrefrenabili di una tredicenne che ritorna a casa dopo i funerali delle cinque vittime (…) Tocca alla madre della tredicenne impegnarsi a fondo e giurarle che “da qui si riparte”, “qui rinasce qualcosa”. (…)
     Te ne sei andata qualche mese prima del tanto strombazzato nuovo millennio, il giorno delle Idi di Marzo. Quando, dopo un’esistenza lucidamente vissuta con “una sensazione panica, altamente civile, una disponibilità senza riserve, un ventre da grande madre, il cervello traboccante, una mente sovrana”, hai chiuso per sempre il tuo magnifico, pubblico e privato, romanzo civile. 


Qualche pezzo della mia lettera a Giuliana Saladino in 
  “Una sedia nell’aldilà”, Diogene Multimedia, Bologna, 2023
Recensioni qui e qui.

giovedì 14 marzo 2024

Le nostre anime, vento nel vento...


 

(grazie di cuore a Sari, l'amica blogger che mi ha ricordato la canzone di Lucio, che ripropongo con una di Francuzzo)









martedì 12 marzo 2024

Ferita

Mostra di J.Lee Byars - Pirelli HangarBicocca (Milano)
Coltri

Di tristezza

Serrano il cuore

Privo di tenera luce...

Ferito              


domenica 10 marzo 2024

Le nuove frontiere della cura, nel libro di Paola Argentino

        Palermo – Il libro della dottoressa Paola Argentino La spiritualità è cura: la forza dell’amore nel dolore (Mondadori, Milano, 2023) che, come esplicita il sottotitolo, è un ‘Manuale di Psico-Oncologia e Psicologia sanitaria gestaltica’, per la sua complessità e specificità non è facile da sintetizzare. Poiché il testo è anche un originale e poliedrico ‘libro matrioska’, fruibile a vari livelli anche dai non addetti ai lavori, la scrivente tenterà di offrire un assaggio di tanta ricchezza.
      Intanto, come manuale di psico-oncologia, il libro si occupa della morte e del morire, con connotazioni di grande risonanza esistenziale che rimandano al senso e al mistero di questo passaggio ‘limite’ dell’esistenza; passaggio che, per il filosofo Hans Jonas si configura come «impulso a contare i nostri giorni e a viverli in modo che essi contino per se stessi».
    Come sottolineato dallo psicoterapeuta Giovanni Salonia nella prefazione, cuore di questo saggio è la cura “declinata come profonda compassione nei confronti di ogni vivente e di ogni dolore…filo d’oro che cuce la ricchezza dispiegata nel testo”.
La dott.Argentino durante la presentazione del libro a Palermo
    Ma cosa s’intende per cura? L’autrice (medico psichiatra e psicoterapeuta, co-direttore di Master in Psico-Oncologia e in Psico-Neuro-Endocrino-Immunologia e Neuroscienze) ricorda innanzitutto, sulle orme dell’antropologa Margaret Mead, che prendersi cura è fondamentale per la sopravvivenza nelle situazioni di fragilità e che quindi “prendersi cura dei più deboli è segno di civiltà”;  ed evidenzia  poi il salto culturale e scientifico odierno dovuto a un cambiamento di paradigma: dal concetto di ‘cura di’ (to cure), si è passati a quello più organico del ‘prendersi cura’ (to care), per approdare infine alla completezza della ‘spiritualità della cura’ (spirituale care). 
    Spiritualità da intendersi però non come somma di credenze e pratiche religiose ma “come relazione di cura: totalità esistenziale che dona pienezza di vita al paziente, ai familiari, ai curanti e in definitiva all’intero universo”.
     L’autrice chiarisce infatti che “la spiritualità nel prendersi cura risponde alle domande filosofiche esistenziali sul senso della vita e della morte, in sintonia con le ricerche di neuroscienze che dimostrano come la relazione di aiuto è inscritta nell’intercorporeità umana”, superando così il dualismo mente-corpo, il conflitto tra spiritualisti e materialisti. Per cui “la sacralità del ‘prendersi cura’ non è soltanto la dimensione dell’atto medico/terapeutico legato alle situazioni di emergenza clinica o di cronicità: il ‘prendersi cura’ è la radice primaria dell’essere umano ed è, per questo, sacro”.
   La cura, così intesa, implica dunque per il personale sanitario l’importanza di ‘stare dentro il dolore’ dei pazienti e dei loro familiari e diventa un punto di forza delle cure palliative: “Il compito dello psico-oncologo è essenzialmente etico e relazionale: sanare la frattura tra l’indicibile e l’inudibile”. Perché “non esistono malati incurabili, semmai malattie inguaribili, in quanto la cura è possibile sempre accanto, ovvero ‘presso’ la persona sofferente: assunto alla base delle cure palliative”
    Si scopre allora che la medicina palliativa rimanda a pallium, il mantello che diventa simbolo del prendersi cura “perché metaforicamente vuole essere una cura che riscalda, abbraccia, avvolge come un mantello, che dona, oltre la prossimità compassionevole, quella speranza (…) che deve poter appartenere ad ogni essere umano, per potere affrontare fino all’ultimo respiro la malattia. Per questo san Martino, con il suo mantello tagliato e donato, è diventato il simbolo delle cure palliative”.
A tal proposito viene citato il professore Erminio Gius “che individua nella compassione la possibilità di una carta etica ideale mondiale che regoli i rapporti interpersonali e teorizza la compassione come terapia o come aiuto terapeutico”.
La dott.Argentino durante la presentazione del libro a Palermo
    Il secondo capitolo introduce alle potenzialità umane e terapeutiche della psicologia della Gestalt; mentre il terzo, un vero e proprio trattato di psicologia sanitaria, traccia il percorso per un superamento del modello teorizzato dalla dottoressa Kübler-Ross, secondo cui i malati gravi attraversano cinque fasi (rifiuto, rabbia, patteggiamento, depressione, accettazione/rassegnazione) prima di approdare all’accettazione rassegnata del morire.
   La dottoressa Argentino afferma invece che “nella prospettiva psico-oncologica gestaltica (…), l’ultima fase non consiste nell’accettazione della propria morte, ma nel raggiungere l’integrità e la pienezza di vita”. A sostegno di tale prospettiva, l’autrice offre pagine dense e testimonianze toccanti, legate dal filo prezioso della sua esperienza personale in quest’ambito così delicato.
    Il quarto capitolo ripropone personaggi e miti della classicità greca, filtrati attraverso la sensibilità e la competenza terapeutica dell’autrice. Ritroviamo Antigone che afferma il primato della legge interiore della cura filiale e chiede il rito funebre per il fratello; Atlante, personaggio vicino a chi, come il personale sanitario, si fa carico dei problemi degli esseri umani; ritroviamo Chirone, il ‘guaritore ferito’ che “prima di prendersi cura degli altri, deve curare la sua ferita e medicarla. Allo stesso modo, tutti gli operatori sanitari per comprendere il dolore degli altri e averne cura, è necessario che prima di tutto siano consapevoli delle proprie fragilità. (…) Un buon medico… è una persona ferita, che è entrata in contatto con la propria sofferenza e che l’ha affrontata, l’ha resa parte di sé, e da questa ferita ha trovato la via per prendere contatto con le ferite altrui”; rileggiamo poi in modo nuovo il mito di Sisifo, costretto a spingere per sempre un macigno dalla terra alla cima della montagna, da dove ricade a valle: “Sisifo rappresenta l’umanità che è sempre in un cammino in salita e in discesa (…) nonostante il macigno che ognuno di noi, tra le mille avversità della vita, continua, malgrado tutto a spingere”.
    E dopo aver ribadito l’importanza della ‘medicina narrativa’ perché «tutti i dolori sono sopportabili se trasformati in racconto», ci viene presentata la viriditas, la forza vitale che, secondo Ildegarda da Bingen (monaca benedettina vissuta nel XIII secolo) è presente sia in Natura che negli esseri viventi e consente di riacquistare salute e armonia. 
    Infine, queste parole nutrienti sulla speranza: “Si è soliti dire ‘finchè c’è vita, c’è speranza’, e realmente la speranza è un sostanziale aiuto all’esistenza umana… Nell’ambito della psicologia sanitaria, potremmo dire che si opera un capovolgimento dei termini: finchè c’è speranza, c’è vita”. 
E la splendida chiusa con una poesia di Emily Dickinson: «Se io potrò impedire/a un cuore di spezzarsi/non avrò vissuto invano. Se allevierò il dolore di una vita/ o guarirò una pena/ o aiuterò un pettirosso caduto/a rientrare nel nido/non avrò vissuto invano».

Maria D’Asaro, 10.3.24, il Punto Quotidiano

venerdì 8 marzo 2024

8 Marzo, oltre Hegel e Marx, oltre la guerra: grazie, Carla...

           “Con la ripresa del movimento delle donne negli anni Sessanta, in una parte di esso continua forte la richiesta di uguaglianza giuridica, politica, economica, non soddisfatta completamente dalla legislazione fino ad allora 'conquistata'; nella parte più giovane e più  politicamente avanzata di quel movimento l'obiettivo dell'uguaglianza viene invece messo ai margini o respinto e si cerca semmai una risposta al perché del sussistere della differenza e della discriminazione nei confronti delle donne nonostante molta parte della legislazione le neghi. 
    É il femminismo radicale: quello che diventerà  in tempi brevissimi maggioritario e tenterà  di andare appunto "alle radici" del problema relativo al sussistere delle discriminazioni che rendono la condizione della donna inferiore a quella dell'uomo.         Le radici vengono subito individuate non nelle cause politiche, legislative, economiche, culturali (cause non negate ma considerate secondarie) ma in quelle legate alla sfera della sessualità: al dominio sessuale dell'uomo sulla donna nelle forme molteplici assunte nel corso della lunga storia di esso.
      Carla Lonzi è la prima femminista, in Italia, a collocarsi in maniera originale sul piano teorico in questa nuova fase radicale del femminismo. Nel suo pensiero la critica molto forte delle ideologie (religiose, filosofiche, politiche, psicanalitiche) non è mai separata dalla tesi di fondo secondo la quale "dietro ogni ideologia noi intravediamo la gerarchia dei sessi". Alla luce di questa tesi di fondo nell'importante saggio Sputiamo su Hegel l'obiettivo dell'uguaglianza, non a caso proposto inizialmente dai pensatori maschi nelle loro varie ideologie sotto il tema dell'universalismo dei diritti, appare alla Lonzi o secondario o addirittura fuorviante rispetto all'obiettivo primario che deve muovere dalla differenza. Secondario, perché l'oppressione della donna "non si risolve nell'uguaglianza, ma prosegue nell'uguaglianza. Non si risolve nella rivoluzione, ma prosegue nella rivoluzione". 
    Fuorviante perché  "per uguaglianza della donna si intende il suo diritto a partecipare alla gestione del potere nella società mediante il riconoscimento che essa possiede capacità uguali a quelle dell'uomo. Ma il chiarimento che l'esperienza femminile più genuina di questi anni ha portato sta in un processo di svalutazione globale del mondo maschile. Ci siamo accorte che, sul piano della gestione del potere, non occorrono delle capacità, ma una particolare forma di alienazione molto efficace. Il porsi della donna non implica una partecipazione al potere maschile, ma una messa in questione del concetto di potere".

        Carla Lonzi propone quindi di andare al di là del fuorviante obiettivo dell'uguaglianza e di muovere dal concetto e dal fatto della differenza non per piangerci su e rammaricarsene (come una parte del femminismo radicale avrebbe fatto agli inizi) ma per ricavarne obiettivi di rivendicazione e di lotta non solo più avanzati ma genuinamente "femministi". L'uguaglianza, sottolinea infatti, "è un principio giuridico: il denominatore comune presente in ogni essere umano a cui va reso giustizia. La differenza è un principio esistenziale che riguarda i modi dell'essere umano, la peculiarità delle sue esperienze, delle sue finalità, delle sue aperture, del suo senso dell'esistenza in una situazione data e nella situazione che vuole darsi. Quella tra donna e uomo la differenza di base dell'umanità".
     E ancora, con accenti più forti: "La differenza della donna sono millenni di assenza dalla storia. (...) Non possiamo cedere ad altri la funzione di sommuovere l'ordinamento della struttura patriarcale. L'uguaglianza è quanto si offre ai colonizzati sul piano delle leggi e dei diritti. E quanto si impone sul piano della cultura. È il principio in base al quale l'egemone continua a condizionare il non-egemone. (...) L'uguaglianza tra i sessi è la veste in cui si maschera oggi l'inferiorità della donna" .
      Il saggio Sputiamo su Hegel che stiamo esaminando (anch'esso, come il Manifesto di Rivolta Femminile, dell'estate 1970) è dedicato in buona parte ad un'analisi critica delle tesi di Hegel, Marx, Freud sulla condizione della donna e sul suo ruolo nella società, presente e futura (…)
     La Lonzi individua una continuità fra le riflessioni hegeliane sulla dialettica servo-padrone e quelle marxiane sulla lotta di classe: in entrambe il concetto e il ruolo della donna appaiono emarginati rispetto ad una teoria complessiva che non nasconde affatto i suoi caratteri essenzialmente maschilisti.
Su Hegel, per esempio, scrive: "Nel principio femminile [il riferimento è qui alla nota trattazione hegeliana del ruolo della donna, nella Fenomenologia dello Spirito] Hegel ripone l'apriori di una passività nella quale si annullano le prove del dominio maschile. L'autorità patriarcale ha tenuto soggetta la donna e l'unico valore che le viene riconosciuto è quello di esservisi adeguata come a una propria natura" . 
   E ancora (…) Carla Lonzi afferma: "Nella concezione hegeliana il Lavoro e la Lotta sono le azioni da cui parte il mondo umano come storia maschile. Lo studio dei popoli primitivi offre invece la constatazione che il lavoro è una attribuzione femminile mentre la guerra è il mestiere specifico del maschio. (...) La specie dell'uomo si è espressa uccidendo, la specie della donna si è espressa lavorando e proteggendo la vita" . In quest'ultima affermazione, precisata e arricchita da altre, appare una forte anticipazione teorica rispetto al valore "positivo" della differenza rappresentata dal ruolo storico della donna rispetto a quello negativo (guerre, stermini) rappresentato dall'uomo: temi che una parte consistente del femminismo a livello internazionale avrebbe approfondito alcuni anni dopo, anche se un primo preannuncio c'era stato, senza però essere stato ripreso e sviluppato, nello scritto di Virginia Woolf del 1938, Le tre ghinee. (...)" 

Franco Restaino: Il femminismo, avanguardia filosofica di fine secolo. Carla Lonz
dalla rivista telematica "Per amore del mondo", n. 2 (nel sito www.diotimafilosofe.it), già apparso in:
Le avanguardie filosofiche in Italia nel XX secolo, a cura di P. Di Giovanni, Franco Angeli, MI, 2002, 
ripreso dal giornale telematico n. 411 del 15.2.24 Donna, Vita, Libertà, 
supplemento a "La nonviolenza è in cammino", diretto da Peppe Sini.




mercoledì 6 marzo 2024

Pronti: vai...

      - È in partenza dal binario 10 il treno 5635 per Palermo-Aeroporto…  Direzione 2, porte chiuse, siamo pronti. - 
     Se nostra signora rinascerà, vorrà fare la capotreno: con la divisa blu, il foulard rosso, il fazzoletto verde per dare il segnale di via al macchinista e l’immancabile fischietto: – Prossima fermata Palazzo Reale-Orleans/Next stop Palazzo Reale-Orleans… Biglietto, prego: grazie, signora… Mi dispiace, il biglietto non può farlo a bordo perché altrimenti paga la sopratassa, deve scendere e farlo alla macchinetta o in Biglietteria. – 
     Un fischio e si parte; la capotreno sale e scende dal treno per controllare il flusso dei passeggeri. Avanti e indietro: si sa sempre in che direzione andare. Mica come nella vita, di cui non si conoscono senso e direzione, si ignora perché vi si è saliti, in quale stazione e quando si scenderà.
    Oggi comunque nostra signora un obiettivo (e fischietto) ce l’ha: arbitrare la partita dei nipotini.



domenica 3 marzo 2024

Olga Karatch, attivista bielorussa per la Pace

      Palermo – Il 22 febbraio scorso, a Roma, in una sala di Palazzo Montecitorio, alla presenza di Anna Ascani, Vice Presidente della Camera dei Deputati, è stato consegnato ad Olga Karatch il Premio internazionale ‘Alexander Langer’. 
     Dal 1997, tale premio viene conferito annualmente dalla Fondazione omonima per sostenere gruppi o persone che contribuiscono a tenere vivo il pensiero di Langer, proseguendone l’impegno culturale e politico con la loro opera: nella ricerca di soluzioni solidali, democratiche e giuste ai conflitti che attraversano le società, nella promozione di azioni concrete verso una conversione ecologica dell’economia, del lavoro e degli stili di vita, nella difesa contro ogni discriminazione di natura economica, religiosa, razziale, sessuale.
      Olga Karatch è una giornalista bielorussa, ‘difensora’ dei diritti umani. Per la sua opera è considerata dal regime di Lukashenko una terrorista: per questo vive esule in Lituania, a Vilnius. È stata premiata dalla Fondazione Langer per la sua attività a favore degli obiettori di coscienza e dei disertori e contro la militarizzazione di bambini e bambine soldato. Purtroppo dal 2022 il  Ministero della difesa bielorusso ha organizzato campi di addestramento militare che hanno coinvolto oltre 18.000 minori, di cui 2.000 sono stati selezionati per l’uso delle armi: “Siamo arrivati anche a questo”, ha denunciato Olga Karatch, che ha lanciato la campagna No Means No - No significa No”, contro la coscrizione nell’esercito bielorusso e per i diritti delle donne, campagna sostenuta dal Centro Internazionale per le iniziative civili Our House-Nash Dom, di cui è fondatrice e portavoce. 
    Ecco una sintesi del suo intervento, al ricevimento del Premio: “Vorrei esprimere il mio grande apprezzamento per il Premio Internazionale Alexander Langer 2023 e per la fiducia che la Fondazione Langer mi ha accordato.
È un grande onore e farò del mio meglio per continuare a lottare per la pace, contro la militarizzazione e per i diritti delle persone vulnerabili ed emarginate che ancora oggi necessitano di protezione. Oggi più che mai, quando incombe la minaccia della Terza Guerra Mondiale, quando in Ucraina e Gaza, come in tanti altri Paesi che scordiamo, ci sono guerre sanguinose (…), la voce della ragione e della nonviolenza deve essere ascoltata più forte. Voglio alzare la voce per la pace nella nostra regione perché tutto è stato stravolto.
   Oggi, coloro che si rifiutano di prendere le armi e non vogliono andare al fronte – obiettori di coscienza e disertori – sono diventati criminali. Non sono i benvenuti da nessuna parte. Oggi, se non prendi le armi, non sei un vero uomo, c’è qualcosa di sbagliato in te, devi essere punito e costretto.
In Bielorussia, la diserzione è punita con la pena di morte e il rifiuto di arruolarsi nell’esercito comporta il carcere. Nel 2022, circa 400 uomini in Bielorussia sono stati condannati per essersi rifiutati di arruolarsi nell’esercito. Attualmente, la polizia bielorussa ha dichiarato ricercati circa 5.000 uomini bielorussi per aver tentato di sottrarsi al servizio militare.
    Ma nessuno fornisce protezione a queste persone; non hanno uno status giuridico e non hanno nemmeno un visto umanitario. Al contrario, se un uomo ha fatto parte dell’esercito e ha fatto di tutto per evitare il servizio di leva, anche nascondersi in Lituania è considerato una minaccia per la sicurezza nazionale lituana e viene inserito in una lista nera con un divieto di ingresso nell’Unione Europea per cinque anni. Questi uomini vengono addirittura deportati in Bielorussia.
    Noi aiutiamo queste persone, per le quali noi stesse subiamo pressioni e repressioni. Abbiamo bisogno di una tribuna che parli per la pace e in nome della pace. Sono convinta che nessuna arma al mondo possa porre fine alle guerre. Non c’è una soluzione militare. L’unico modo per porre fine alle guerre è che le persone accettino di non usare la violenza e di vivere in pace gli uni con gli altri. La nonviolenza, attiva e coraggiosa, è la nostra unica via verso la pace. (…).
    Lavorare per la pace significa prendere sul serio i colloqui di pace e i negoziati (meglio un anno di trattative che un giorno di guerra, diceva proprio Alex Langer), investire risorse per la diplomazia, anche quella popolare e dal basso, restituire all’Onu il ruolo di attore super partes per una politica di pace con un obiettivo ben chiaro: Conferenze internazionali di pace per l’Ucraina e la Palestina. (…). 
La figura di Alexander Langer è quella di un cittadino europeo che questo sogno ha cercato di trasformare in realtà. In particolare il suo impegno per la costituzione dei Corpi Civili di Pace, ispira ancor oggi molti movimenti e istituzioni che vogliono trovare un’alternativa al flagello della guerra.  E anche il lavoro di Langer sulla convivenza interetnica, che lui ha sperimentato nella sua regione sudtirolese, è oggi un faro per quei gruppi misti che in Ucraina, in Russia, in Israele e in Palestina, vogliono vivere insieme come sorelle e fratelli. (…) La nonviolenza è l’unica strada da percorrere e chiedo da voi tutti il sostegno alla Campagna di Obiezione alla guerra promossa dal Movimento Nonviolento e da altre associazioni per sostenere gli obiettori, i disertori e gli attivisti per la pace in Ucraina, Russia, Bielorussia, Israele e Palestina. E che sostiene anche il mio caso in Lituania. Tutti insieme possiamo davvero costruire la pace.”  
    Olga Karatch sarà in giro per l’Italia sino al 10 marzo a portare la sua testimonianza, con tappe a Pesaro, Firenze, Verona, Bolzano, Trieste, Venezia e Milano.

Maria D'Asaro, 3.3.2024, il Punto Quotidiano