giovedì 30 gennaio 2025

Il cuore, una porta verso casa...

Marc Chagall
      “Quando nasciamo ci viene data una grande possibilità: ognuno di noi riceve in dono un cervello, un organo raffinatissimo, che ci rende unici, ci individualizza. Grazie al cervello noi abbiamo facoltà di scelta, il libero arbitrio, la possibilità di decidere come condurre la nostra vita; siamo in grado di pensare, ragionare, creare. Grazie ai nostri pensieri ci sentiamo unici, diversi da tutti gli altri esseri umani.
      Tuttavia, proprio per questo nella vita proviamo la falsa percezione della divisione, della distinzione; crediamo che esistano una ragione e un torto, tendiamo a giudicare il prossimo, a classificare le cose come giuste o sbagliate a seconda del nostro punto di vista personale, e talvolta diventiamo rigidi e poco flessibili: d’altra parte, il nostro cervello è chiuso in una teca di duro osso!
      Durante la vita abbiamo anche la possibilità di provare amore, gioia, allegria, e questi sentimenti ed emozioni sono universali, comuni a tutte le persone di ogni razza o religione: la bellezza della natura, la dolcezza di un bimbo appena nato, o di un cucciolo, lo stupore per un arcobaleno, le risate improvvise davanti a qualche cosa di inatteso e di buffo, l’amore della donna o dell’uomo che si desidera.
       Ecco: il cuore ci unisce tutti attraverso un abbraccio universale, ci rende parte di un tutto, in cui noi come individui, tuttavia, acquistiamo un’estrema importanza, in quanto ingranaggi insostituibili di un’immensa e coesa realtà. Una persona dalla mente aperta capisce che la cosiddetta illuminazione sta nel riconoscere l’importanza di questi valori universali. Allora il compito della nostra vita diventa quello di trovare la strada del ritorno verso casa: la felicità pura, punto da cui nasciamo e a cui vogliamo ricongiungerci con consapevolezza e per nostra scelta".

 Silvia Di Luzio Il cuore è una porta, Amrita, Torino, 2011, p.113

Vedi anche qui e,l’altro ieri, qui nel blog di Augusto Cavadi.

martedì 28 gennaio 2025

Le grandi madri: anime resilienti

     “Quando ero bambina, nella mia vita immigrò un gruppo di vecchie donne, le più pericolose che avessi mai conosciuto; poiché furono tormentate da forze e poterti più grandi di loro, quando furono catturate, imprigionate, obbligate ad appassire, cadere a pezzi, estinguersi, vissero comunque alla luce delle loro anime. Furono abbattute in ogni modo, ma rinacquero a nuova vita. E sbocciarono come alberi in fiore.
Entrarono nella mia vita come quattro vecchie rifugiate scese pesantemente da grandi vagoni neri e piombate nella nebbia notturna della banchina dove noi le aspettavamo con grande trepidazione. 
     Camminarono faticosamente verso di noi, chine sotto i dunja, giacigli di piume avvolti da coperte rosso scuso garrotate da spago peloso. Arrivarono con gibbosi bauli neri e in legno macchiato assicurati alle spalle da corde sporche. Dalle cinghie sfilacciate pendeva ogni sorta di borsa o sacca. (…)
     Erano le anziane della famiglia del mio padre adottivo. Erano le vecchie donne disperse e sparpagliate dall’Ungheria alla Russia durante e dopo la Seconda guerra mondiale, le donne internate nei campi di «lavoro», dopo essere state trascinate via dalla loro minuscola fattoria dove la famiglia viveva da 150 anni e gettate in buche nel terreno o in campi di deportazione di cartone bagnato o sui «treni della fame» impregnati di urina ed escrementi, e altre cose ancora peggiori. (…)
   
    Erano convinte che noi avessimo salvato loro la vita, che venendo in Aa-mee-rii-kaa, avrebbero potuto lavare le loro ferite nel miracoloso fango scuro del Midwest settentrionale, che avrebbero potuto ricominciare una vita di pace. Non sapevano che erano venute anche per salvare la mia vita. Non sapevano di essere la pioggia perfetta, prolungata e penetrante, di cui una bambina che la noia rischia di inaridire ha un estremo bisogno.
   La loro esistenza per noi era una ricchezza. Nonostante fossero state spogliate della loro adorata terra d’origine ancestrale, private di figli e mariti, spogliate fino all’osso delle loro icone, della soddisfazione per la stoffa bianca che tessevano, dei loro luoghi di culto (…); spogliate della possibilità di proteggere le figlie, i figli, i loro corpi, la loro intimità, il loro pudore… ciò nonostante erano riuscite ad aggrapparsi al loro Io primario e resiliente. L’Io che non muore, l’Io che non muore mai.
       Quelle vecchie donne furono la mia prima prova inconfutabile che la superficie dell’anima può essere intaccata, scalfita o scottata, ma è destinata a rigenerarsi. La superficie dell’anima ritorna sempre intatta". 

Clarissa Pinkola Estés La danza delle grandi madri Frassinelli pp. 40-44

domenica 26 gennaio 2025

Il Ministero della Pace, scelta per il futuro

        Palermo - «Da quando l’uomo esiste ha sempre organizzato la guerra, è arrivata l’ora di organizzare la pace». Sono parole di don Oreste Benzi, il prete romagnolo fondatore della Comunità ‘Papa Giovanni XXIII’, a cui si deve la richiesta di istituire un Ministero della Pace, formulata una prima volta nel 1994, durante il sanguinoso conflitto nell’ex Jugoslavia, e poi formalizzata nel 2001 con una lettera all’allora Presidente del Consiglio: «Di tanti ministeri esistenti, avrei voluto che lei ne avesse aggiunto un altro: il Ministero della Pace… Questo ministero dovrebbe coordinare una politica di pace di tutti i ministeri esistenti; un ministero trasversale per organizzare la pace». Il testo Ministero della Pace: una scelta di futuro, a cura di Laila Simoncelli (Ed. Sempre, Rimini, 2024) raccoglie appunto una serie di contributi che spiegano e appoggiano la richiesta profetica di don Benzi.
     Perché dunque un Ministero della Pace? Perché sancirebbe un cambio radicale di paradigma, un segno tangibile dell’abbandono della logica mortifera e nefasta del principio si vis pacem, para bellum, per abbracciare invece la nuova logica ‘se vuoi la pace, progetta la pace’. Allora: “Abbiamo bisogno di nuovi paradigmi istituzionali, di una nuova architettura ministeriale per una vera costruzione strutturale di politiche di pace”. Perché la pace va pensata e resa possibile, nella consapevolezza che l’oscenità della guerra, anche se spesso ritenuta inevitabile, è in realtà una costruzione umana, frutto del primato della violenza bruta sulla diplomazia e sul dialogo. Infatti “il conflitto può essere sia fonte di violenza, sia di crescita costruttiva: decisivo è il modo con cui lo si affronta e decisivo è quanto i governi investono su una gestione nonviolenta e generativa”.
       Nel libro c’è (continua su il Punto Quotidiano)

Maria D'Asaro, 26.1.25, il Punto Quotidiano

don Oreste Benzi


Il testo, con la presenza della curatrice Laila Simoncelli, sarà presentato domani a Palermo alle 17,30 alla Biblioteca delle Donne presso UDI Palermo, in via Lincoln 121.



    Laila Simoncelli, Daniela Dioguardi, Giovanna Martelli, Maria D'Asaro, Enzo Sanfilippo, UDI Palermo, 27.1.25

mercoledì 22 gennaio 2025

Essere una grande madre significa ...

Marc Chagall
    “Essere una grande madre significa insegnare le vie dell’amore e della compassione ai più giovani… poiché spesso i consigli e gli ammonimenti di una grande madre possono evitare che i più giovani commettano passi falsi; e se non arrivano a trasmettere loro saggezza immantinente, perlomeno li aiutano a dare un senso a quegli errori che provocano disorientamento e dolore.
     In migliaia di anni gli strumenti per la trasformazione adoperati dalla grande madre archetipica non sono cambiati. Il tavolo della cucina. La luce della lampada. La canzone. Il rituale. Acume. Intuizione. La zuppa. Il tè. La storia. La chiacchierata. Il lungo viaggio in auto. Il confessionale. La mano affettuosa. Il sorriso seduttore. La sensualità. Il malizioso senso dell’umorismo. La capacità di arrivare agli altri e leggere loro nell’anima. La parola gentile. Il proverbio. Il cuore che ascolta. La sagacia di offrire agli altri, quando necessario, l’esperienza straziante dello ‘sguardo’.
    In tempi di grande cambiamento come questi, perché una donna sia consapevole come desidera, assumere questo ruolo e manifestarlo è talvolta un atto di sfida, anzi un atto di decisa audacia, ovvero un atto di creazione primaria. Per quanto non completamente certo e sicuro, un atto che assomma in sé vita spirituale, pietà, un atto di amore.
    Che una donna che continua ad arricchire la propria saggezza debba costantemente trovare nuove radici nella vita spirituale è un atto estremo di liberazione. Insegnare ai giovani a fare lo stesso - e per ‘giovani’ intendo chiunque abbia minore consapevolezza o meno esperienza – è l’atto radicale e rivoluzionario più grande. Tali insegnamenti arrivano molto lontano, perché donano vera vita, invece di spezzare la discendenza matrilinea vivente della donna saggia e selvaggia, dell’anima saggia e selvaggia".

Clarissa Pinkola Estés La danza delle grandi madri Frassinelli (pp. 36-38)

lunedì 20 gennaio 2025

Fumo, la legge Sirchia ha compiuto 20 anni

 Palermo – Parafrasando un celebre slogan pubblicitario, si può affermare che “Una sigaretta accorcia la vita”. 
    Lo ha ribadito il 10 gennaio scorso al TG scientifico Leonardo la professoressa Maria Sofia Cattaruzza, docente di Igiene e Medicina preventiva all’Università Sapienza di Roma: “Uno studio importante fatto dall’University College di Londra ha stimato che fumare una sigaretta toglie mediamente 20 minuti di vita, una stima negativa quasi doppia rispetto a quella calcolata anni fa. È fondamentale sapere che il fumo fa davvero male; però è altrettanto importante sapere che si può smettere e che oggi abbiamo validi strumenti per poterlo fare. L’importante è farsi seguire, utilizzare i prodotti giusti e magari non farlo da soli”.
     Una tappa epocale nella lotta contro il fumo e le sue nefaste conseguenze sulla salute individuale e collettiva è stata conseguita vent’anni fa: il 10 gennaio 2005 entravano infatti in vigore ulteriori rafforzamenti della legge Sirchia, che vietavano di fumare in tutti i locali pubblici e nei luoghi di lavoro, mentre nei treni si abolivano anche le carrozze per i fumatori.
    A proporre tale legge, contro i tanti oppositori, fu proprio l’allora ministro per la salute Girolamo Sirchia. L’ex ministro, intervistato da Danilo Fumiento nel corso del già menzionato TG Leonardo, ha ricordato che nel 2005 in Parlamento: (continua su il Punto Quotidiano)

Maria D'Asaro, 19.1.25, il Punto Quotidiano

sabato 18 gennaio 2025

Daniele


Versi

accorati, graffianti

Denunce scomode, universali...

Un’agorà piena di umana passione:

Daniele…



É morto Daniele Verzetti, blogger dal 2006, poeta impegnato e appassionato.

Mi dispiace tanto… Con Daniele c’è stata una frequentazione garbata e costante. Mi mancherà assai la sua presenza nel web: come quella di Gus, come quella di una blogger toscana che, in una corrispondenza privata, mi aveva detto di chiamarsi Michela. 

Non è facile elaborare  il lutto delle persone conosciute nel web: ne scrivevo qui.



mercoledì 15 gennaio 2025

A spasso

Pierre August Renoir: Boulevard a Parigi - 1875

 

Porto

a spasso

la mia solitudine

adorna di sorrisi radiosi.

Disperata.

martedì 14 gennaio 2025

Ministero della Pace: una scelta di futuro

     In passato era il Ministero della Guerra. Poi il Ministero della Difesa. Oggi questo non basta più: serve un Ministero della pace Nessuna guerra è solo di difesa: ogni conflitto estende la “guerra mondiale a pezzi” di cui parla Papa Francesco: ci si ammazza e si distrugge anziché concentrare le risorse sulle vere emergenze dell’umanità, e il rischio di un conflitto irreversibile è sempre più vicino. 
     È necessario un rinnovamento, un’attività istituzionale specifica che si colleghi ai fondamenti del nostro Patto costituzionale e agisca continuativamente per il mantenimento e la costruzione della pace.
     Le conquiste democratiche e civili dei diritti umani non possono essere date per scontate; questo Ministero si deve adoperare per la costruzione delle alternative nonviolente alla difesa armata, per una nuova definizione di sicurezza e per la prevenzione della guerra e dei conflitti con una azione di pace positiva. È tempo di dare nuovi strumenti alla politica, perché abbia la lungimiranza nel prendersi cura della pace ed educare ad essa. 
«L’uomo ha sempre organizzato la guerra, è arrivata l’ora di organizzare la pace» diceva don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII. (…)
    Attorno a quest’idea del Ministero della Pace, lanciata da don Benzi all’esordio del nuovo millennio, è nato un progetto politico condiviso e fatto proprio da un’ampia rete associativa ecclesiale e civile – sostenuta dalla Campagna Ministero della Pace: una scelta di governo – per dare strumenti e un’architettura politica ad una parola, pace, che va messa al centro delle scelte di governo”.

Ministero della Pace, a cura di Laila Simoncelli, Ed. Sempre, Rimini, 2024, pp.13-16

domenica 12 gennaio 2025

Report sul consumo di suolo in Italia: ancora troppo cemento

       Palermo – Il rapporto su “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”, curato dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) e presentato il 3 dicembre scorso a Roma presso la sede dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) evidenzia che in Italia il consumo di suolo è ancora troppo elevato: continua infatti a crescere al ritmo di circa 20 ettari al giorno, circa 2 mq. al secondo, e nel 2023 ha cancellato 72,5 kmq di aree verdi, vale a dire una superficie estesa come tutti gli edifici di Torino, Bologna e Firenze.
     “Il dato di 72 chilometri quadrati e mezzo di nuove superfici artificiali - quindi nuovi edifici, nuove strade, nuovi cantieri su aree che solo dodici mesi prima erano naturali, agricole - sebbene segnali un rallentamento lieve rispetto al consumo di suolo dell’anno 2022, risulta sempre al di sopra della media decennale (2012-2022) che è stata di 68,7 kmq. 
   Consumo di suolo solo in piccola parte compensato dal ripristino di aree naturali, circa 8 kmq, dovuti in gran parte al recupero di aree di cantiere” – questa la dichiarazione di Michele Munafò, direttore del Sistema informativo nazionale ambientale dell’ISPRA.
    Dove c’erano aree verdi ci sono prima di tutto cantieri, poi attività estrattive e anche alcuni parchi fotovoltaici. “Inoltre – ha detto ancora Munafò – nell’ultimo anno più di 500 ettari di suolo sono stati consumati per la crescita della logistica”.
   Il report evidenzia infatti che nel 2023 la logistica ha ricoperto ben 504 ettari di suolo agricolo, una crescita attribuibile principalmente all'espansione dell’indotto produttivo e industriale (63%), mentre la grande distribuzione e le strutture legate all’e-commerce hanno contribuito rispettivamente per il 20% e il 17%. Tale espansione si è avuta prevalentemente nelle regioni del Nord Italia, con un massimo di superfici consumate in Emilia-Romagna (101 ettari), Piemonte (91 ettari) e Veneto (80 ettari). 
   Il rapporto ha fornito anche i dati relativi al 2023 per le regioni, le province e i comuni italiani: i comuni italiani più virtuosi, dove il consumo di suolo è assai limitato o nullo, sono Trieste, Bareggio (in provincia di Milano) e Massa Fermana (nelle Marche, in provincia di Fermo).
    Le regioni più virtuose sono invece la Valle d’Aosta e la Liguria, le uniche nelle quali il consumo di suolo rimane sotto i 50 ettari: in particolare la Valle d’Aosta, con +17 ettari, è la regione che consuma in assoluto meno suolo, seguita dalla Liguria (+28). Gli incrementi maggiori per l’ultimo anno si sono verificati in Veneto (+891 ettari), Emilia-Romagna (+815), Lombardia (+780), Campania (+643), Piemonte (+553) e Sicilia (+521). Se al dato di consumo del suolo si sottraggono le aree ripristinate, segnano gli aumenti maggiori l’Emilia-Romagna (+735 ettari), la Lombardia (+728), la Campania (+616), il Veneto (+609), il Piemonte (+533) e la Sicilia (+483). 
    Questi numeri inducono al pessimismo riguardo al ‘consumo zero’ di suolo che l’Italia dovrebbe raggiungere entro il 2030, considerando l’allineamento tra consumo di suolo e dinamica della popolazione, fissato dalle Nazioni Unite. Tra l’altro in Italia la popolazione non cresce, ma è in diminuzione.
    Per conseguire lo stop di consumo del suolo, secondo il direttore Munafò si dovrebbero riutilizzare il più possibile le strutture esistenti, riqualificare gli edifici spesso in stato di degrado, rigenerare le aree urbane delle nostre città: - “Queste dovrebbero essere infatti le soluzioni che potranno permetterci di svincolare la crescita economica e il mercato delle costruzioni dal consumo del suolo. Basti pensare che quasi un terzo delle abitazioni del nostro territorio non sono utilizzate o sono utilizzate esclusivamente come seconde case”. 
    Infine, viene sottolineato che la perdita degli ecosistemi legati al consumo di suolo non è solo un problema ambientale, ma anche economico: secondo stime realistiche, nel 2023 la riduzione dell’”effetto spugna”, cioè della capacità del terreno di assorbire e trattenere l’acqua e regolare il ciclo idrologico, è costata al nostro Paese oltre 400 milioni di euro all'anno. Una grave conseguenza economica che si affianca ai costi causati dalla perdita dei servizi ecosistemici dovuti alla diminuzione della qualità dell'habitat, alla perdita della produzione agricola, allo stoccaggio di carbonio o alla regolazione del clima.  
   “Non segare il ramo in cui sei seduto”, ammonisce un detto assai noto. Saremo così lungimiranti da capire che cementificare il territorio vuol dire far diminuire, se non azzerare del tutto, la qualità della vita?
Maria D'Asaro, 12.1.25, il Punto Quotidiano

venerdì 10 gennaio 2025

Vietato a sinistra: recensione su 'Dialoghi mediterranei'

       Di cosa si occupano le assai dense 85 pagine – 91 se si includono bibliografia e profili delle autrici – di Vietato a sinistra, saggio curato da Daniela Dioguardi (Castelvecchi, Roma, 2024)? A firma di autrici diverse, il sottotitolo esplicita che il libretto presenta dieci interventi femministi su temi scomodi. 
     Come evidenzia Francesca Izzo nell’introduzione, tali articoli «illustrano gli effetti paradossali, a volte grotteschi, prodotti dalla ossessiva ricerca, imperante nella cultura ‘mainstream’, dell’inclusione, della parità, del diritto eguale a scapito della differenza sessuale». «In nome di questi principi, a prima vista così ‘corretti e democratici’ – scrive ancora Francesca Izzo – accade che venga cancellato il riferimento alle donne nel contrasto della violenza maschile (…), venga fatto cadere il riconoscimento di una peculiare storia politica delle donne, accade che si tormenti la lingua (…). In nome della libertà si sdoganano prostituzione, maternità surrogata, pornografia e si tenta di archiviare tra i reperti del patriarcato il dato reale e simbolico che i sessi sono due. Ma quel che rende le cose particolarmente inaccettabili è che queste posizioni (…) fanno affidamento sul consenso esplicito o sul silenzio complice o timoroso di gran parte dell’opinione e della politica progressista».
       Infatti «la narrazione che si è imposta nei media e nel mondo ‘progressista’ ha ruotato intorno a un paio di assunti semplici e indiscutibili. Innanzitutto è stato sostenuto che il confronto è tra la posizione ‘laica’ (di chi è favorevole alla pratica dell’utero in affitto) e la posizione ‘ideologica’ (di chi è contrario). La gherminella retorica ha puntato a evocare nell’opinione pubblica l’idea che, essendo la laicità cosa buona e giusta e l’ideologia una roba piuttosto perversa, i contrari alla surrogata sono una banda di oscurantisti, moralisti e spregiatori della libertà, ivi comprese le femministe. Ma così – aggiunge ancora Francesca Izzo – ci si può risparmiare di argomentare nel merito, di dire, dal proprio punto di vista, cosa è la surrogata, cosa comporta per la procreazione umana e per il bambino oggetto di tale pratica».
      Propongo qui di seguito allora una panoramica sintetica degli articoli, i cui contenuti hanno una grande valenza antropologica, prima che politica; con l’auspicio di stimolare in chi legge un’autonoma riflessione riguardo a tematiche così importanti. 
     Nello scritto La misura della parità, dopo aver puntualmente elencato le leggi che, a partire dall’introduzione del divorzio nel 1970, hanno rimosso gli ostacoli giuridici all’autonomia economica, giuridica e sociale delle donne (L.1204/1971, tutela della maternità; riforma del diritto di famiglia del 1975; L.903/1977, parità di retribuzioni tra donne e uomini; L.194/1978, possibilità legale dell’interruzione di gravidanza; L.66/1996, riconoscimento della violenza sessuale come reato contro la persona), l’autrice Silvia Baratella sottolinea che la loro applicazione è assai parziale, in quanto purtroppo «le nuove norme si inquadrano in un sistema perfettamente compatibile con l’esclusione femminile» senza  metterla  veramente in discussione. Infatti: «a lavoro uguale il reddito delle donne resta inferiore a quello degli uomini (…), l’uguaglianza giuridica di marito e moglie non ci ha sgravate dalle responsabilità domestiche, le strade di notte non sono ancora sicure per le donne e le nostre case non lo sono neanche di giorno…»
     L’autrice quindi, prendendo spunto da una fulminante battuta dell’umorista femminista Pat Carra («Donne e uomini devono essere uguali». «Uguali agli uomini o alle donne?»), afferma che «la parità è una risposta restrittiva alla libertà  femminile», in quanto, a suo avviso, «anche se è stata cancellata la precedente legislazione inferiorizzante e censoria, sono stati posti alle donne nuovi vincoli». Di conseguenza, le donne non dovrebbero impelagarsi «nella rivendicazione di nuove e complicate norme che ci si ritorcono contro, bensì fare vuoto legislativo, continuando l’opera di eliminazione di quelle leggi che ci disconoscono, ci subordinano agli uomini». Certamente, conclude l’autrice «non si tratta di disprezzare né di buttar via i guadagni degli ultimi sessant’anni (…) ma di iscriverli in un nuovo paradigma, in cui le donne in relazione tra loro siano fonte e legittimazione della propria libertà e negozino con gli uomini un nuovo e più civile spazio pubblico. Perché la libertà femminile è libertà per tutti».
       Marcella De Carli Ferrari ... (continua su Dialoghi mediterranei)


mercoledì 8 gennaio 2025

La danza delle grandi madri: pane di cura

        “Esiste anche un tipo di abuelita, grande madre, caratterizzata non soltanto dalla sua spiccata perspicacia, ma dal suo amore profondo. Nel mito, come la curandera, la guaritrice, che vive in luoghi appartati, è una grande madre amata e dotata di talento che ha composto il pane dell’amore. Questo pane, tutte le volte che lo offre, ha il magico potere di far diventare buono chi lo ingerisce. 
      Ha sviluppato la capacità di imporre le mani in modo da cambiare le persone che tocca con il suo amore. E dal loro corpo, ansia, dolore, invidia, odio e paure svaniscono.
     La versione umana dell’abuelita, la piccola grande madre, riunisce caratteristiche e attributi che spesso, anche alla sua famiglia, paiono magiche. Forse è la sua conoscenza delle hierbas, le piante che aiutano a guarire il corpo e lo spirito. Forse è la sua capacità di introspezione; lei sa distinguere una menzogna dalla verità a mille miglia di distanza; capisce quali azioni porteranno memorie degne di menzione. (…)
    In tutte le abuelitas, come per la vecchia Demetra che guarisce un bambino malato con un bacio, lo spirito fuoriesce attraverso una perdita, e poi ritorna sottoforma di amore, e ancora amore. Sì. Per le abuelitas, le piccole grandi madri, la vita spesso scaturisce ad arte da una cicatrice. Le abuelitas sono a prova di tempo. Sono quelle che non soltanto sono sopravvissute, ma che si adoperano per donare serenità.
    Uno dei grandi aspetti ricorrenti della piccola grande madre nei miti e nelle storie è la sua predilezione per i giovani, «che ancora non hanno conosciuto appieno la vita», siano essi bambini, oggetti d’artigianato, cuccioli, micini, i semplici, gli oppressi o gli adulti. A prescindere dai colpi che hanno vissuto, dai colpi ricevuti al cuore della loro corteccia, le grandi madri considerano sempre l’amore profondo come il migliore guaritore e il punto di arrivo più alto, il maggiore fattore di crescita spirituale.
Le grandi madri buone dei miti e delle favole non dimenticano le ferite e le cause delle ferite, eppure accorrono a proteggere tutto ciò che sia stato offeso. Perché? Perché rappresentano ciò che protegge la «luce dell’amore». Sono convinte che una piccola vela, la piccola candela splendente dell’amore del loro cuore, possa illuminare il mondo in affanno in modo significativo. Sono convinte che se spegnessero le luci del loro cuore prima che finisca il loro tempo sulla terra, il mondo piomberebbe nelle tenebre e nella morte per sempre.”

Clarissa Pinkola Estés La danza delle grandi madri Frassinelli pp. 32-35

Qui, la storia di zia Jole, meravigliosa speciale abuelita
qui la voglia di farcela della scrivente; 

domenica 5 gennaio 2025

La tradizione della "benedizione del gesso e della casa"

      Palermo – 20-C✝M✝B-23, e anche 20✝C✝M✝B✝22 o altre simili: tracciate col gesso nelle porte esterne di alcune abitazioni della Val Pusteria, queste le scritte, a prima vista strane e incomprensibili, notate dalla scrivente l’estate scorsa, durante una vacanza in suggestive località montane dell’Alto Adige/Sud Tirol.
     Una ricerca su Wikipedia le ha permesso di risolvere l’arcano: si trattava di una particolare forma di scrittura finalizzata a invocare la benedizione di Dio sulla casa e sulle persone che la abitano. Tale formula viene tracciata col gesso nella dodicesima notte dopo Natale, quindi il 5 gennaio, vigilia dell’Epifania, oppure il 6 gennaio, nel giorno stesso dell’Epifania. 
     La ‘benedizione del gesso e della casa’ è infatti un’antica usanza che fa parte delle tradizioni cristiane legate alle festività natalizie: oltre che dai cattolici, è praticata anche da altre confessioni cristiane (da anglicani, luterani, metodisti, presbiteriani). In Italia tale tradizione è ancora viva e diffusa in molte località dell’arco alpino, soprattutto nelle regioni del Trentino-Alto Adige e del Friuli-Venezia Giulia. 
     La Chiesa cattolica riconosce questa pratica come genuina espressione di pietà popolare. In alcuni casi, il gesso usato per scrivere la formula della benedizione è benedetto da un sacerdote o ministro cristiano durante una specifica funzione religiosa nel giorno dell'Epifania; poi chi ha partecipato al rito porta a casa il gesso e lo usa per scrivere la formula sullo stipite o sulla parte superiore della porta di casa.
     Questa tradizione ha radici bibliche legate alla Pasqua: ad esempio, nel libro dell’Esodo nell'Antico Testamento, viene ricordato che gli israeliti segnarono le porte delle loro case per essere salvati dalla morte. Quindi scrivere la formula sulla porta serve a implorare la protezione sulla casa fino all'Epifania successiva, quando il gesto viene ripetuto. 
   La tradizione della benedizione della casa è talvolta accompagnata da cortei di bambini e adulti che invocano la benedizione di Dio, per intercessione dei re Magi. 
   Qual è il significato delle cifre e delle lettere presenti nella formula? 
Sulla porta vengono segnate con un gesso bianco le croci che rappresentano Cristo, la data dell'anno solare appena iniziato - scritta ai lati dell'iscrizione e solitamente spezzata in due - mentre la parte centrale è formata dalle lettere C✝M✝B (oppure G✝M✝B o anche K✝M✝B) che sono le iniziali dei tradizionali nomi dei Magi: Gaspare (Caspar o Kaspar in tedesco e in diverse altre lingue), Melchiorre e Baldassarre. 
    Tali lettere corrispondono anche all'acronimo della benedizione latina Christus Mansionem Benedicat, che significa "Cristo benedica questa casa". A tale acronimo si attribuiscono anche altri significati, sempre legati alla figura benedicente di Gesù Cristo, ad esempio Christus Multorum Benefactor : "Cristo il benefattore di molti".
  Allora, la formula per la benedizione riferita all'anno appena entrato 2025, sarà dunque la seguente: 20✝C✝M✝B✝25.
   Forse, credenti o no, dovremmo tracciare questa benedizione augurale sulle porte di tutte le abitazioni del mondo. 
   E, soprattutto, avremmo bisogno di benedirci tutti a vicenda e di avere gli uni per gli altri lo sguardo di misericordia e di amore che una madre e un padre hanno per i propri figli. Solo così l’anno nuovo potrà essere davvero buono per tutti.

Maria D'Asaro, 5.1.25, il Punto Quotidiano







mercoledì 1 gennaio 2025

2025: offresi

Offresi 

lenti diverse:

vedere il mondo

con sguardi di cura.

2025