lunedì 20 dicembre 2010

101 STORIE: MI AMMAZZO DOMANI…




Carissimi che state leggendo,
Mi sono voluta ammazzare per non crearvi più problemi e così voi non dovrete più vedermi.
Eredito
[1] tutto a M.: anche il mio pesciolino lo eredito a lei e le raccomando di dargli da mangiare una volta al giorno e cambiarle l’acqua ogni mattina, le ricordo che il nome del pesciolino è Trilly. Mi mancherete tutti, ma io vi sorveglierò tutti i giorni da lassù…. Non piangete, tanto vi ero d’intralcio, no? Mi raccomando, non litigate e amatevi sempre.
Addio e Buon Natale e Buon Anno 2001.
P.
Palermo, 20 dicembre 2000

Questa la letterina scritta alla compagna di banco da una ragazzina di prima media, alla vigilia di Natale del 2000. Esattamente dieci anni fa. L’ho ritrovata in una delle mie diecimila carpette di lavoro (Appena morirai, getterò tutto – tuona mia figlia maggiore!): foglietto formato quindici per ventuno, penna blu, grafia ancora da bimba.
La letterina, con l’esplicitazione Testamento scritta due volte nel lato esterno del foglio, mi fu portata da un’allarmata collega di matematica, alla quale era stata consegnata da M., la beneficiaria dei beni materiali e del pesciolino di P. A lei P. aveva confidato che si sarebbe ammazzata due giorni dopo.

Che fare? Allertare subito la famiglia? Chiamare la ragazzina? Informare la Preside?
Nel 2000 stavo completando il mio primo triennio formativo. Qualcosa avevo iniziato a impararla. Ad esempio, che dovevo evitare due eccessi: dare troppa importanza o, al contrario, trascurare certi segnali. Necessità imposta anche dal numero degli alunni della scuola: circa ottocento. Ottocento alunni, una psicopedagogista. Ovviamente solo un centinaio di questi richiedono, talvolta, la mia attenzione. Ma se ci mettiamo i genitori, i colleghi, il test MT Cornoldi, il controllo della frequenza, i gruppi misti … si capisce la mia urgenza di capire, in tempi rapidi, di cosa devo occuparmi subito e cosa mi tocca, per mancanza di tempo, accantonare.

Ho chiesto alla collega qualche ora di tempo. Sono andata in sala professori a trovare l’insegnante di Lettere. Perchè, come diciamo in scuolese, secondo me, lei aveva già il polso della situazione. Non le ho detto del biglietto. – Che pensi di P.? – Ha una mania di protagonismo esagerata… Vuole stare sempre al centro dell’attenzione… Da qualche mese le è nata una sorellina, forse è convinta che i genitori la trascurino…- A questo punto le mostro il biglietto di commiato. La collega non si scompone troppo: - Mah, forse è un bluff. –
Informo la Preside della faccenda: - Chiamiamo i genitori ? - Ma così si allarmano e rischiamo di innescare un circolo vizioso. – obietto. - Il suicidio vero si programma ma non si sbandiera, diceva il mio formatore. – La Preside mi guarda un po’ perplessa. – Fai tu – poi mi dice.
Dico alla collega di Lettere che andrò nella sua classe a ricreazione, così potrò osservare P., in modo informale.
Perché io P. non la conoscevo per niente: non era una mia “cliente”. Frequenza regolare, profitto più che sufficiente, famiglia senza troppi problemi. Né la ragazzina, né i suoi genitori avevano mai chiesto di incontrarmi. Il mio massimo desiderio è essere inutile, a scuola. Inutile, invisibile. Cosi volevo essere: per P. e la sua famiglia.

In classe, fingendo di controllare le assenze, la osservo: una brunetta minuta, con grandi occhi nocciola. La guardo, per qualche minuto: chiacchiera allegramente con un’amica, sgranocchia con gusto un panino.
Ho deciso: derubrico l’allarme suicidio a codice verde. Dico ai colleghi di avere fiducia: di essere attenti, affettuosi e avvolgenti con la ragazza. In queste quarantottore. E sempre, ovviamente. Di continuare ad avere un discreto filo diretto con l’amica del cuore, l’erede del pesciolino…
Il ventitre dicembre è l’ultimo giorno di scuola: ci si bacia con tutti, persino con la collega meno simpatica. P. è a scuola: ride, scherza, mangia anche lei il panettone.

P. non l’ho mai più incontrata. Né allora, e neppure nei due anni seguenti.
Le colleghe, discrete, hanno poi accennato qualcosa ai genitori perché l’abbracciassero stretta, anche se non era più piccolina.

Alla vigilia di questo Natale, per P. un vago pensiero affettuoso. Che la sua vita sia piena e serena. Ricolma di bene e di soddisfazioni.
Che non debba minacciare un suicidio, per essere amata.


[1] Eredito = lascio in eredità

2 commenti:

  1. Ti dirò che non conoscendo (ovviamente) il "lieto fine", a metà del racconto mi sentivo davvero a disagio; ma anche ora che l'ho terminato, quella sensazione di imbarazzo non mi ha abbandonato del tutto: certe storie ti smuovono dentro...

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  2. Come Doc anch'io nel proseguire del racconto pensavo al peggio (sai, le tue coltellate dritte al cuore).
    Alla fine ho tirato un sospiro di sollievo: falso allarme!
    Ma il 'falso allarme' è arrivato dopo, al passare delle quarantott'ore: penso ai falsi allarmi diagnosticati 'prima' e trascurati, non solo nei bambini...

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