lunedì 28 febbraio 2011

BENIGNI E LA POESIA

Un pezzo significativo da "La tigre e la neve".
Che serve per far poesia? Tutto. Soprattutto essere innamorati, ci suggerisce il Roberto nazionale.

Nausicaa


La vita non sempre fa male,
può stracciarti le vele,
rubarti il timone,
ammazzarti i compagni a uno a uno,
giocare ai quattro venti con la tua zattera,
salarti, seccarti il cuore
come la magra galletta che ti rimane,


per regalarti nell’ora
dell’ultimo naufragio
sulle tue vergogne di vecchio
i grandi occhi,
il radioso innamorato
stupore di Nausicaa.

Gesualdo Bufalino


(Dedicata a quanti, tra chi legge, si avvicinano agli ...anta o li hanno già superati. Gesualdo Bufalino, con questa lirica preziosa, afferma che la vita può regalarci sorprese meravigliose anche da ...grandicelli/e!)


venerdì 25 febbraio 2011

SONO PAZZI QUESTI PALERMITANI


Sono Pazzi Questi Romani, diceva Asterix ad Obelix, guardando le sciocchezze fatte dai soldati romani.

Sono Pazzi Questi Palermitani, direbbe oggi Asterix se, turista per caso in città, osservasse la fila caotica di automobili procedere a cinque all’ora, magari con una sola persona all’interno. Con conseguente immissione nell’aria di un’enorme quantità di sostanze inquinanti. Sono Pazzi Questi Palermitani se, a causa di quest’assurdità, respirano polveri sottili e assistono muti e impotenti alle sgangherate e poco efficaci ordinanze comunali sulla viabilità urbana: targhe alterne, bim bum bam: pari e dispari, zone di traffico limitato, zone di caos illimitato. Con gli autobus pubblici che diminuiscono, con piste ciclabili virtuali e non virtuose.

Forse abbiamo bisogno di un novello Asterix, degli occhi meravigliati di un alieno, che faccia trovare soluzioni nuove. Abbiamo bisogno del contagio di uno sguardo creativo, perché possiamo fermare le nostre stupide automobili e mettere in moto la buona politica.
Maria D’Asaro

(pubblicato su “Centonove” il 25-2-2011)

QUANDO SAREMO DUE


Una poesia d'amore del mio amato Erri De Luca.

Quando saremo due saremo veglia e sonno
affonderemo nella stessa polpa
come il dente di latte e il suo secondo
saremo due come le acque, le dolci e le salate
come i cieli, del giorno e della notte,
due come sono i piedi, gli occhi, i reni
come i tempi del battito
i colpi del respiro


Quando saremo due non avremo metà
saremo un due che non si può dividere con niente
Quando saremo due, nessuno sarà uno
uno sarà l'uguale di nessuno
e l'unità consisterà nel due


Quando saremo due cambierà nome pure l'universo
diventerà diverso

mercoledì 23 febbraio 2011

PADRE, MADRE DAGLI OCCHI DOLCI


Padre, madre dagli occhi dolci,
so che sei presente, invisibile, in tutte le cose.
Che il tuo nome mi sia dolce,
l’allegria del mio mondo.
Portami le cose buone che recano piacere:
i giardini,
le fonti,
i bambini,
il pane e il vino,
i gesti di tenerezza,
le mani disarmate,
i corpi abbracciati …
Lo so che desideri realizzare il mio desiderio più profondo,
desiderio che ho dimenticato …
Ma che tu non dimentichi mai.
Realizza quindi il tuo desiderio
Perché io possa sorridere.
Che il tuo desiderio si realizzi nel nostro mondo
Nella stessa maniera in cui è presente in te.
Concedici di accontentarci delle allegrie del quotidiano:
il pane, l’acqua, il riposo …
Che siamo liberi dall’ansietà.
Che i nostri occhi siano così benevoli con gli altri
Come i tuoi lo sono con noi.
Perché, se saremo feroci,
non potremmo accogliere la tua bontà.
E aiutaci a non lasciarci ingannare dai desideri cattivi
E liberaci da colui che porta la Morte dentro i propri occhi.
Amen

(Dal gioiello che è la rivista “CEM Mondialità”, gennaio 2011, pag.48 : questa rielaborazione del Padre Nostro è dello psicoterapeuta brasiliano Rubem Alves)

SCRUTI


Scruti
errante maghetta,
la stella, lassù,
che segni la via:
illuminata…

martedì 22 febbraio 2011

101 STORIE: A VOLTE SERVONO I TEMPI SUPPLEMENTARI…


A colpirti, subito, erano gli occhi: nerissimi, profondi, sgranati. E i capelli: liscissimi, del nero più nero che c’è. A contorno di un ovale mediterraneo perfetto, contornato dagli orecchini d’oro a cerchietto.

Quando Sara arrivò in prima media, ormai nello scorso millennio, nella mia stanzetta, venne sua madre. Si presentò in modo composto ed educato, con un sorriso gentile per niente negato dai troppi denti spezzati. Mi disse che avremmo parecchio penato, io e lei.
C’era infatti un problema. Da quando le era nato un fratellino - In terza elementare – precisa la signora, Sara a scuola, fatica ad andare. Non vuole lasciare la mamma. Ha paura. Di cosa, non si capiva bene. Per Sara, era difficile spiegarlo persino a se stessa.

Comincia un lungo calvario. Per me, che mi sento una inutile Cireneo al femminile. Ma soprattutto per Sara, per sua madre e la sua famiglia. Sara viene e non viene. Viene due giorni e manca una settimana. Quando c’è, è l’alunna ideale. Diligente, attenta, studiosa. Ma le assenze sono tantissime. Il primo anno, comunque, a fatica, viene promossa.

Un anno dopo si ricomincia. Con lo stesso problema. Stavolta la frequenza si dirada. Adesso, su mia proposta, la ragazza è seguita dall’Asl. Da una accogliente psicologa. Con la quale facciamo il punto, ogni tanto. La ragazza fatica ad elaborare le assenze, a staccarsi dalla madre, dal fratellino. Pare che porti anche il peso di un lutto non dichiarato: la scomparsa improvvisa di uno zio, fratello di mamma, sparito nel nulla, alcuni anni fa.
Nonostante l’aiuto, Sara rimane in seconda. Troppe le assenze: “Mancano i presupposti per la promozione in terza media”, recita l’impietoso giudizio finale.

L’anno dopo, ancora in seconda. Terzo anno nella scuola. Secondo anno di frequentazione cadenzata all’ASL.
Ognuno fa la sua parte: la psicologa l’accoglie, la ascolta, la orienta. Le compagne le vogliono bene. I docenti fanno del loro meglio. Io continuo a supportare lei e, soprattutto, sua madre. Che soffre per questa figlia così. Dice che somiglia troppo a suo padre. Chiusa. Solitaria. Ostinata.
Conosco così anche il papà. Un uomo tutto baffi e occhi neri. Uguali alla figlia. Di poche parole. “Io, che posso fare…..”. Questa la sua litania, le volte che viene.

Da febbraio, Sara interrompe quasi del tutto la frequenza scolastica.
Tutti d’accordo, facciamo un tentativo in extremis: l’alunna, a marzo, si ritira. La aiuteremo a preparare il suo esame da candidata esterna.
Sara pare presa da nuovo fervore. Programmi in doppia copia di tutte le materie. Le dico di curare molto l’orale. Viene agli esami. Uno scritto va bene. Gli altri un po’ meno. Agli orali, praticamente scena muta. Pollice verso del Presidente di commissione: “Non possiamo regalare il diploma così…”

La psicologa e io ci sentiamo un tantino, un po’ tanto, sconfitte.
Sara viene iscritta, senza troppe illusioni, a un corso serale. Che, come temiamo, non frequenta per niente. Intanto ha compiuto sedici anni. Sparisce dal nostro orizzonte.

Ma, due anni dopo, la bella notizia. E’ la madre di Sara ad annunciarla: la madre che, nel frattempo, ha portato suo figlio, il piccolino, in prima media. Sara ha rifatto gli esami da esterna. Questa volta ce l’ha fatta, alla grande. Ma non è il conseguimento della terza media, l’unica bella notizia. La signora, col suo solito dolce sorriso, mi dice che Sara è più serena, che adesso esce da sola, che forse ha un ragazzo che le vuole bene…

Passano ancora quattro anni. Anche il fratello, ormai ex piccolo, è uscito dalla “Cesareo” con il suo bravo diploma.

Una domenica incontro ancora la madre di Sara. Su un autobus, vicino la scuola. Ci doniamo ampi e cordiali sorrisi. Chiedo di Sara. La signora è raggiante: la sua bella storia con il fidanzato continua. Grazie alla terza media, Sara ha poi frequentato un corso professionale. Ha fatto persino un anno di servizio civile. Sta bene. Me lo dice con il suo luminoso sorriso, nonostante gli incisivi a metà e le tante caverne, tra i denti.

Quella domenica sono stata lungamente felice.
Perchè Sara la sua partita, ai tempi supplementari, l’ha vinta alla grande.

domenica 20 febbraio 2011

DUE MAROCCHINI


dal quotidiano on line: LiveSicilia
(l'articolo è del mio amico Francesco Palazzo. Io lo avrei scritto più o meno così)
Due marocchini
Una ventenne giovane marocchina, abitante in Sicilia, può finire miracolosamente alla corte del lusso più sfrenato. Può anche capitarle di venire liberata alla velocità della luce da una questura dopo essere stata fermata per un furto. Un ventenne giovane marocchino, abitante in Sicilia, pur non avendo commesso alcun reato, essendo anzi in regola con la licenza di venditore ambulante, va al rogo. Boccette pregiate di profumo date in mano con troppa facilità alla prima, una volgare bottiglia di plastica piena di benzina per il secondo. Che nessuno ha potuto, o forse voluto, come dicono i parenti, togliergli dalle mani. Il potere dà e il potere toglie. Niente di più, niente di meno. Non ha importanza se hai rispettato le leggi o se sei un delinquente. Sapete come si dice. Per gli amici, o le amiche, le leggi si interpretano, per i nemici si applicano senza sconti. Poi i processi e le indagini ci diranno delle responsabilità dei singoli. Intanto, sui due giovani, sul loro destino diverso e parallelo, questo possiamo dire. E lo diciamo.
(Francesco Palazzo, domenica 20 febbraio 2011)

FERMO IMMAGINE


Mi piace camminare per strada.

Se non sono assicutata dal tempo, mi piace guardare le facce dei palermitani, sentirne le frasi, indovinarne gli umori, tra spizzichi di conversazioni.

La signora al marito, guardando la figlia colpevole di chissà quale misfatto: - Appena a vidi me matri, ci duna muzzicuna. La ragazza all’amica: Avevo un rotolino in pancia, proprio qui.

Una donna, alla fermata dell’autobus, canticchia una vecchia canzone. Un uomo, con una lunga coda e una pesante valigia, incrocia il mio sguardo e mi guarda distratto e annoiato. Un ragazzo stralunato e gentile aiuta una vecchietta a salire sull’autobus.
Sto andando al negozio a comprare gli assorbenti, che sono finiti – dice una giovane donna al citofono. Mi guarda. Sorrido. Esclama:
Mi scusi, ho il vizio di parlare un po’ troppo forte, al citofono, mi sto vergognando…
Vergogna, signora? E di che?! C’è ben altro di cui vergognarsi, in questa città…
Maria D’Asaro (pubblicato su “Centonove” il 18-2-2011)

sabato 19 febbraio 2011

L'AMACA - 19.2.2011



(Mi sono commossa, ascoltando Benigni, a Sanremo.
Io mi sento italiana, molto più che siciliana o palermitana. Sarà l'amore per la lingua della mia nazione, per Dante Alighieri, il fatto che di questa terra amo Firenze come Ostuni, Vicenza come Napoli, Capri come il lago di Garda, Agrigento come Aquileia.
Amo Primo Levi come Luigi Pirandello, Natalia Ginzburg come Carlo Cassola, Dacia Maraini come Italo Calvino, Alex Langer e Peppino Impastato, Vittorio Bachelet e Giovanni Falcone....)



Ieri le telefonate a Radio Padania schiumavano rabbia e indignazione per lo show tricolore di Benigni a Sanremo. Era prevedibile, ed è comprensibile. In vent´anni di irresistibile ascesa, la Lega non ha incontrato sul suo cammino anti-nazionale che sparute, timide resistenze. I suoi capi e i suoi militanti si erano trovati nella fortunata (ma ingannevole) condizione di chi guida contromano senza incontrare nessuno nella corsia opposta, fino a convincersi che non esista flusso contrario.
Grazie alla quasi fortuita circostanza del centocinquantenario (anche il Caso è motore della Storia), la Lega si trova di fronte, senza aspettarselo, un muro. E per giunta un muro di popolo (65 per cento l´audience di Benigni!) che non è liquidabile con il tradizionale spregio per i «salotti», i «comunisti», gli intellettuali.
Esiste l´Italia e soprattutto esistono gli italiani, questo il sorprendente contrattempo che, a caldo, fa imbufalire la gente del Carroccio. A freddo, se è vero come dicono che Bossi è un capo saggio e navigato, sarà interessante capire se e quanto la Lega sarà capace di prendere atto di una realtà nuova, che la ricolloca (anche al Nord) nel suo naturale e legittimo ruolo di minoranza politica e soprattutto di minoranza identitaria: la stragrande maggioranza degli italiani si sente italiana. Prima ne prenderanno atto, meglio sarà per tutti.
M. Serra

Oggi






Oggi
Risorge, abbagliante,
La solitudine nera.
Nel suo immenso splendore...
Spietato.

SOLCA


Solca
Sentieri scoscesi
Il viandante solitario.
Nessun approdo è sicuro.
Quaggiù.

venerdì 18 febbraio 2011

VOI SIETE IL SALE... 6.2.2011 - 5° t.o.


Voi siete, ci dice Gesù, il sale della terra, Voi siete la luce del mondo”: così continua il Discorso di Gesù sulla Montagna. Le Beatitudini che diventano anche gusto della vita, sapore e splendore della nostra esistenza.

Il sale ha molti usi, lo sappiamo, ne abbiamo bisogno per tante cose, per condire … ma, a quanto pare, il sale era anche uno strumento importante nel patto di alleanza che veniva fatto: proprio veniva poi versato del sale perché è nella natura del sale non perdere il suo essere sale. E quindi voleva evocare l’eternità, la definitività di un patto. Così anche la luce: la permanenza dello splendore.
Vedete, care sorelle e fratelli, quello che ci viene oggi indicato dal Vangelo è qualcosa di diverso che noi invece tendiamo a sostituire. Anziché mostrare, noi ci siamo dirottati per dimostrare, per argomentare. Anziché accendere la luce, abbiamo preferito organizzare, rendere qualcosa mastodontico, grandioso…
Mentre il Vangelo ci dà un’indicazione che rischia la banalità: l’amore non si dimostra, l’amore si mostra. Il gusto autentico delle cose, non si dimostra, si realizza. La luce non va dimostrata: la luce va accesa. Può essere tutt’al più mostrata. Quando non c’è questa capacità di mostrare il vero gusto della realtà e l’evidenza, ricorriamo a tutti gli altri strumenti: dell’argomentazione, della dimostrazione, dell’organizzazione …
Quando il Vangelo ci dice: volete parlare di Dio? Non parlate di Dio, non argomentate su di Lui, non dimostrate niente. Fate qualcosa di concreto, ma di talmente bello, gustoso da gustare. Evidente da guardare, cosicchè, in quello che noi facciamo, venga spontaneo dire: ma è bello che il Signore opera in te e attraverso di te …
Così Dio si vuole presentare in punta di piedi tra di noi, attraverso noi stessi. Ma attraverso questa gestualità, cioè gesti e cose concrete, con cui noi tentiamo di dare gusto alle cose ed evidenza alla realtà, a ciò che merita di essere riconosciuto come autentico. Ci rendiamo conto però che, tante volte, quello che facciamo allontana da Dio. Noi diciamo: ci allontana dalla Chiesa. Ma questo sarebbe il minor male. Tante volte, invece, più radicalmente, diciamo, “Ma se Dio è questo me ne scappo” …. Abbiamo dato una falsa testimonianza, abbiamo contraddetto il Vangelo.
Mentre il Vangelo ci invita a un atteggiamento molto più semplice, più lineare, più garbato…quello del … che cosa? Non tanto quello di inseguire le morali, non tanto quello di inseguire gli ordinamenti, ma quello di dire e di fare ogni volta quella cosa giusta rispetto alla quale ci viene da dire: “Ma deve essere così … Non può non essere così…”

E in quest’avvenimento intravediamo qualcosa della bellezza, della bontà, della verità di Dio … In quello che facciamo.
Quindi non è compito del credente ribadire i Comandamenti, questi sono iscritti nella coscienza di ogni uomo, dicevamo la scorsa volta. Il credente ha bisogno di accogliere Dio come beatitudine. E tradurre questa presenza come beatitudine in gesti concreti che ci lasciano senza parole, perché non c’è bisogno di commentarli.

Che ci lasciano senza argomenti, perché non vanno costruiti, rendono evidente qualcosa che ci fa avvertire la presenza stessa del Padre nostro. “Cosi guardando le vostre opere buone, glorificano, rendono gloria al Padre buono che è nei Cieli. Ma è sulla terra attraverso di noi, oltre che con noi.
Tutto il resto, è un modo per occultare l’unico procedimento che il Vangelo ci propone che è quello della evidenza: fare cose che rendano evidente, evidentemente gustabile …. Se è così la vita ha un senso, ha un sapore, ha un gusto, vale la pena di viverla, se è così … Così, anche la dottrina, non tanto da organizzare, è da sperimentare come la possibilità di rendere evidente la comunione, l’amore, che è contenuto originario di ciò che il Vangelo ci vuole proporre: il Padre, principio di amore e di comunione che ci raccoglie nel suo amore, che istituisce la sua alleanza con la nostra umanità …
E allora anche l’esperienza piccola dei gesti di amore e di servizio quotidiano, ci diceva la prima lettura, ci libera dal peccato. Siamo troppo abituati a pensare che la Confessione sia l’unico modo per liberarci dal peccato … No, no: il primo modo per essere liberati dal peccato è, quando c’è oscurità, accendere una luce. Ci dice Isaia: “Quando tu porgi un pezzo di pane a chi ha bisogno, quando tu apri la tua porta, la luce di Dio risplende in te. Quindi, se c’era qualcosa di sbagliato, già non c’è più.
Il primo cammino di conversione è accendere luce, portare luce dentro di noi. Quindi questo è il modo per allontanare le esperienze negative che abbiamo vissuto. Poi c’è anche un modo sacramentale … di questo parleremo durante la Quaresima. Rinviamo. Ne parleremo dopo. Ma intanto la parola di Dio ci dice: “Appena accendiamo la luce, non c’è più il buio.”
Avete seguito queste frasi, molto scultoree: “Spezza il tuo pane con l’affamato, introduci i miseri a casa tua, vesti chi è nudo, allora la tua luce sorgerà come l’aurora …. La tua ferita si rimarginerà presto…” Abbiamo una medicina che può risanare le nostre ferite: dare spazio alla passione per gli altri. O alla compassione per gli altri.

(Il testo non è stato rivisto dall'autore, don Cosimo Scordato: pertanto eventuali errori o omissioni sono della scrivente Maria D’Asaro, che si assume pertanto la responsabilità delle eventuali imprecisioni e manchevolezze nella trascrizione dell’omelia)

I Giusti...


Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire. Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Chi scopre con piacere una etimologia.
Due impiegati che in un caffè del Sud giocano in silenzio agli scacchi.
Il ceramista che intuisce un colore e una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.
Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.


Jorge Luis Borges

La cifra, traduzione dallo spagnolo di Domenico Porzio,collana Lo Specchio editore Mondadori 1982)

giovedì 17 febbraio 2011

NOSTRA SIGNORA DI OGNI COSA PERDUTA


La Signora aveva un potere speciale.

Far trovare, per incanto, gli oggetti smarriti. Dai quattro venti, a lei ricorrevano i figli confusi: “Deh, Madre: ti prego, ritrova la patente perduta…. E la felpa nascosta… Il mio libro d’inglese… Dolce mamma, ascolta la mia invocazione: che io recuperi le mie chiavi di casa….E anche quelle del box e del motore… Il mio dolcevita, quello nero, però. I miei 20 euro, poggiati sul mio comò…"
A lei, si rivolgeva sovente anche l’uomo grande di casa: “O Maria…trova la pratica della campagna …. Il codice a barre dell’Inps …. I calzini marrone … I documenti di Katinka …. Una camicia con le righine … La carta di credito … ”
Le sue grazie speciali erano conosciute persino nel tempo che fu. Anche da antichi bancari. Da un Funzionario, persino. Che le chiedeva, speranzoso e tremante: “La prego, Vergine nostra: mi faccia trovare la delibera del mutuo alla Fincantieri….” E, poiché era anche devoto, le chiedeva un verso preciso della lettera ai Galati.
E lei, i cui occhi allora davvero brillavano di una luce celeste, gli faceva la grazia.
E, per miracolo, la delibera scomparsa riappariva in tutto il suo orrendo squallore, chi l’avrebbe mai detto, nel cassetto degli estratti legali … E il versetto evangelico, cui il Capo tanto teneva, veniva trovato all’istante. A quella sua Maria Vergine, il Funzionario di banca rivolgeva un sorriso. E la chiamava: “Stellina, stellina !”
Adesso, la invocavano gli insegnanti perché ritrovasse ragazzi sperduti, barche nel bosco.
“Maria, Maria …. Marco s’è perso. Trovalo tu.” Nostra Signora gettava il suo amo: un’esca di attenzione, sorrisi, un problema risolto, una sobria e pudica carezza di carne. Alcuni ragazzi ritornavano a valle.
Una volta, era stata chiamata mentre vegliava una donna morente: “Maria: la mia tessera … e il certificato elettorale…” Nostra Signora aveva lasciato un momento la mano di quella creatura straziata. E anche allora aveva fatto la grazia.
Nel suo Santuario, però nessun ex voto. Non che la Madonna volesse compensi terreni, si sa. Le sarebbe bastato un sorriso, un grazie, magari solo accennato.
Ma, lo sappiamo, Nostra Signora si invoca solo al bisogno. E poi la si lascia sola dov’è, nel suo gelido Empireo azzurrino.
Non sapendo che, alla fine, è di carne, anche lei.
E che ha un infinito bisogno di coccole. Celestiali, magari.

lunedì 14 febbraio 2011

Beati..... Omelia del 30.1.2011 Discorso della Montagna


A mio avviso, una riflessione sulle Beatitudini particolarmente ispirata.
Questa è la pagina più bella del Vangelo che appartiene in qualche modo, che può riguardare tutta l’umanità.
E io vorrei prendere spunto da una parolina che noi usiamo in lingua italiana: il termine magari, che usiamo quando desideriamo qualche cosa, quando ci aspettiamo qualche cosa, quando speriamo qualche cosa.
Magari… In greco la parola macarios è proprio il termine “beato”. E’ il termine con cui Gesù ci propone questa esperienza del Padre in termini di beatitudine. Non un’esperienza col Padre lontana dalla nostra vita, ma impastata della nostra vita: che prende corpo nel nostro cuore, nei nostri pensieri, nei nostri gesti, nelle nostre azioni.
Come Mosè che era salito sul monte, Gesù sale sul monte: questa volta non soltanto per presentarci i comandamenti che pure ci vogliono, che sono le condizioni minime della vivibilità tra gli uomini, le condizioni minime appunto, tutte al negativo però: non fare questo, non fare quello, non… non… non…
Gesù ci propone al positivo - senza negare i comandamenti - ci propone al positivo questa possibilità di gioia compiuta, serena, incarnata nella nostra vita, che è appunto la prospettiva della beatitudine. La condizione perché ciò avvenga è che sia Dio l’unico nostro re. Che non riconosciamo altra regalità se non quella di Dio. Il che significa che crollano tutte le altre pretese di regalità che, nell’arco della storia, sono state sempre avanzate e che si propongono puntualmente. Perché: “Di loro è il Regno di Dio” significa che Dio che è il nostro re. Ed è solo la sua regalità d’amore che ci interessa: per noi, nei nostri rapporti, per la costruzione della nostra società. Non abbiamo altri re, non abbiamo padroni, non abbiamo autorità su di noi: nessuno è su di noi.
E lo stesso Dio, che riconosciamo nella sua regalità, ci viene incontro nel segno del servizio.

Quindi è una poesia della vita che ci viene annunziata con le beatitudini: di questa presenza di Dio che, dall’interno, vuole trasformare la nostra vita, le nostre relazioni: beati i poveri, quelli che scelgono di essere poveri, quelli che decidono di esseri poveri, quelli che decidono di vivere del necessario, del pane quotidiano … perché beati?

Perché non dovranno rincorrere chissà che cosa, si sanno accontentare … sanno affermare la propria sovranità sulle cose, che vanno utilizzate come mezzi. Non la ricchezza, che distorce i rapporti tra le persone, le inquina, le compromette, scatena spesso le peggiori passioni; non la ricchezza quindi, ma la semplicità di essere appagati di ciò che ci vuole, di ciò che è necessario per andare avanti …

Beati i poveri, ci rendiamo conto che c’è un’indiretta critica radicale a tutte le forme di possesso, di accaparramento, di dominio, che sono ateismo concreto. Perché non si può sperimentare la bellezza di Dio se facciamo dipendere sempre tutto dal possedere. Dal possedere anche le persone, dal possedere, dall’accumulare.
Quindi le beatitudini, una dietro l’altra ci fanno rincorrere questo bellissimo sogno, che è per una poesia, che è un pensare, un agire nuovo, diverso, che è veramente la messa in crisi radicale di ogni assetto: politico e religioso.

E’ il motivo ispiratore che dovrebbe mettere in movimento la presenza del credente, del vangelo all’interno della società. Vedete, non ci sono programmi, non ci sono organizzazioni, intellettualizzazioni, no … ci sono stati d’animo, atteggiamenti che nascono dall’interno. Per esempio: beati i misericordiosi: ad esempio, anche in tedesco c’è la stessa parola che ha a che fare col cuore: misericordiosi, col cuore … Prima dobbiamo avere cuore nelle cose, cioè consapevolezza, partecipazione, capire la sofferenza dell’altro, essere accanto a lui…

E se c’è questo inevitabilmente poi opereremo di conseguenza, perché non si sopporta la sofferenza dell’altro, nel senso che non si assiste indifferenti alla sofferenza dell’altro. Ma è quello che fa Dio con noi: non sopporta la nostra sofferenza, perché Dio ci vuole vedere beati, ma per davvero beati! Questo termine, che non so bene come si possa dire diversamente, non è un termine che preveda chissà quali momenti di esaltazione, quali picchi di felicità o quali picchi di euforia …

No, no la beatitudine è qualcosa che trasforma il tempo e lo rende vivibile, lo rende coesteso con la propria persona, con quello che uno pensa, con quello che uno fa … La beatitudine si comunica agli altri: nasce dall’interno e crea l’atmosfera. L’atmosfera giusta perché l’incontro avvenga, la beatitudine è questa sospensione di tutti i conflitti: interiori, esterni … per rimettere al centro la gioia di veder gioire gli altri, di non sentirsi mai totalmente appagati, finché non c’è anche questa condivisione del gioire insieme perché si condivide tutto, pur mantenendo anche le profonde differenze che ciascuno ha.
E le differenze non vengono vissute come una minaccia: ma come una nuova possibilità che Dio apre dinanzi a noi.

La Beatitudine è al di sopra delle morali, non è neppure riconducibile a tutta una serie di prescrizioni. La beatitudine è Dio stesso in noi. Alla fine, questo discorso sulla montagna: “Padre nostro che sei nei cieli” …. Il regno dei cieli ci viene avvicinato: Dio così si fa sperimentare, come fonte di questa beatitudine, di Lui che è in noi, di Lui che è tra di noi, di Lui che è per noi. E che rimodula gli equilibri, ri-armonizza tutto: pensieri, gesti, atteggiamenti, azioni …
E tante altre cose che ognuno di voi mi auguro voglia approfondire e personalizzare nell’ascolto di questa pagina del Vangelo che ci è particolarmente cara. Quello che ogni volta si riesce a dire è il meno, il meno …
Ognuno di voi poi torni a rimuginare, a masticare, a farla diventare sostanza della propria vita.

(Il testo non è stato rivisto dall'autore, don Cosimo Scordato: pertanto eventuali errori o omissioni sono della scrivente Maria D’Asaro, che si assume pertanto la responsabilità delle eventuali imprecisioni e manchevolezze nella trascrizione dell’omelia)

I ragazzi che si amano ...


I ragazzi che si amano si baciano in piedi
Contro le porte della notte
E i passanti che passano li segnano a dito
Ma i ragazzi che si amano
Non ci sono per nessuno
Ed è la loro ombra soltanto
Che trema nella notte
Stimolando la rabbia dei passanti
La loro rabbia il loro disprezzo le risa la loro invidia
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
Essi sono altrove molto più lontano della notte
Molto più in alto del giorno
Nell'abbagliante splendore del loro primo amore.


Jacques Prévert

sabato 12 febbraio 2011

Pianta un albero !

Un video ben confezionato, dedicato a me e alle mie pulsioni ecologiste!

Lentamente muore

Questa poesia potrebbe avere un titolo positivo:
Allegramente vive,
colui/colei che fa il contrario.

Dedicata a tutti coloro che, responsabilmente e lucidamente, osano.

Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi e' infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.

Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicita'.
(Pablo Neruda)

AL ROGO ALBERI E DEMOCRAZIA

Ormai sono passati alcuni anni.

Un giorno ci siamo svegliati e abbiamo costatato lo scempio: in via Paratore, vicino via Oreto nuova, un centinaio di aranci e mandarini, estrema propaggine della “conca d’oro”, erano stati bruciati.

Denunce accorate e vibranti della Preside della “Cesareo”, indignazione dei cittadini, il pezzo di un giornalista su un quotidiano.
Ora, al posto degli alberi, ci sono dei camion. E un cancello. E l’asfalto per terra. Eppure quell’area, secondo un piano regolatore mai sconfessato dal Comune, doveva essere utilizzata per un parco pubblico e per la costruzione della parrocchia. Oggi, con l’aria che tira, quel progetto voluto dalla scuola e dal quartiere, appare un’utopia velleitaria. E la lotta per l’uso democratico del territorio un sogno lontano. E si capisce perché, a pochi chilometri, padre Puglisi sia stato ammazzato: un uomo, un prete con la schiena diritta. Purtroppo a Palermo, non ce ne sono tanti così.

Maria D’Asaro (pubblicato su “Centonove” l’11-2-2011)

mercoledì 9 febbraio 2011

Il più grande spettacolo dopo il Big Bang ...

    Altro che il premier.... altro che che le sue cento escort; altro che Bossi e tutte le sue grandi sparate; altro che il football e le sue pallonate.
Quale miracolo (e spettacolo) più grande di due esseri che si amano?
Oggi mi getto sul romantico. Ringraziando Lorenzo.

A tutti i miei... leggenti (così includo donne e uomini) che ci credono.
All'amore, in greco Eros, che, figlio di Poros (Ricchezza) e Penia (Povertà), cerca sempre un compimento più ampio.
Ok, ok, non è ancora san Valentino.
Ma, se hanno fatto i bombardamenti preventivi, un'orrenda (quanto inutile) guerra preventiva, mi sento libera di pubblicare un ...video preventivo alla ricorrenza del 14 febbraio.

martedì 8 febbraio 2011

PRONTO SOCCORSO (4): Uno sguardo buono come il pane…

Non molto alto e neppure robusto, Francesco, l’altro ragazzo “salvato” aveva già sedici anni e mezzo.

Un tipo molto diverso da Marco: mite, attento - almeno per buona educazione - disciplinato. Ma anni luce lontano dal pianeta scuola. Vuoi perché di scuole, nella sua vita, ne aveva cambiate ben sette, vuoi perché, tra elementare e media, era già stato bocciato tre volte, vuoi perché la sua era una vita a zig-zag.
Sospesa tra indirizzi diversi di case e di scuole; sospesa tra una rapida infanzia e una precoce maturità: mamma e papà da tempo lo consideravano adulto, impegnati com’erano a crescere altri tre figli più piccoli e a barcamenarsi tra mille, improvvisati mestieri; sospesa tra strada e lavoro, che gli offrivano spazi e linguaggi nei quali Francesco si muoveva in modo più disinvolto che non nell’aula di scuola.

Francesco, comunque, non era un ragazzo di strada: aveva un suo dignitoso contegno, una sua disciplina, una sua calma tranquilla. Alle mie sollecitazioni didattiche, rispondeva con un sorriso.
Si sforzava in modo pazzesco di apprendere una qualche nozione. Non perché gliene importasse qualcosa: sentivo che pensava alla strada, che lo aspettava dopo il suono della campana. Al negozietto del padre. Alla lambretta piena di pane, che la domenica vendeva, per strada.


E, comunque, qualcosa sulle leve e sui vulcani riuscì a imparare; come pure il resoconto sintetico della seconda guerra mondiale e qualcosa sulla geografia di Stati Uniti e Giappone. Il suo Consiglio di classe, alla fine, lo ammise agli esami. E così quell’anno, ai genitori, fu restituito, quasi diciassettenne, il primo figlio provvisto di licenza media.

Adesso, lo vedo ogni domenica mattina.
[1] Mentre io vado a messa, lui vende il pane, in una stradina vicino la Stazione Centrale.
I nostri sguardi si incontrano e, puntualmente, ci doniamo un aperto e cordiale sorriso. Se non ci sono il padre o altri conoscenti vicini – che lo imbarazzano un po’– Francesco mi si avvicina e mi dona persino un abbraccio e un castissimo bacio sulla guancia.

A cosa gli sia utile la licenza media, non lo so davvero. Se ha aumentato di un grammo la sua dignità umana, il suo senso civico, non posso saperlo. Certo lo spero. Ma non ne sono sicura. Mi rimane il suo sguardo: ancora pulito, fresco, buono. Come il pane.

[1] (Ho raccontato, in estrema sintesi, la sua vicenda sul settimanale regionale“Centonove” il 19.03.2010, nella rubrica da me curata: “Palermo in 150 parole)

SE NON ORA, QUANDO? APPELLO ALLE DONNE ITALIANE A PARTECIPARE A UNA GIORNATA DI MOBILITAZIONE IL 13 FEBBRAIO


In Italia la maggioranza delle donne lavora fuori o dentro casa, crea ricchezza, cerca un lavoro (e una su due non ci riesce), studia, si sacrifica per affermarsi nella professione che si e' scelta, si prende cura delle relazioni affettive e familiari, occupandosi di figli, mariti, genitori anziani.

Tante sono impegnate nella vita pubblica, in tutti i partiti, nei sindacati, nelle imprese, nelle associazioni e nel volontariato allo scopo di rendere piu' civile, piu' ricca e accogliente la societa' in cui vivono. Hanno considerazione e rispetto di se', della liberta' e della dignita' femminile ottenute con il contributo di tante generazioni di donne che - va ricordato nel 150esimo dell'unita' d'Italia - hanno costruito la nazione democratica.
Questa ricca e varia esperienza di vita e' cancellata dalla ripetuta, indecente, ostentata rappresentazione delle donne come nudo oggetto di scambio sessuale, offerta da giornali, televisioni, pubblicita'. E cio' non e' piu' tollerabile.
Una cultura diffusa propone alle giovani generazioni di raggiungere mete scintillanti e facili guadagni offrendo bellezza e intelligenza al potente di turno, disposto a sua volta a scambiarle con risorse e ruoli pubblici.
Questa mentalita' e i comportamenti che ne derivano stanno inquinando la convivenza sociale e l'immagine in cui dovrebbe rispecchiarsi la coscienza civile, etica e religiosa della nazione. Cosi', senza quasi rendercene conto, abbiamo superato la soglia della decenza.
Il modello di relazione tra donne e uomini, ostentato da una delle massime cariche dello Stato, incide profondamente negli stili di vita e nella cultura nazionale, legittimando comportamenti lesivi della dignita' delle donne e delle istituzioni. Chi vuole continuare a tacere, sostenere, giustificare, ridurre a vicende private il presente stato di cose, lo faccia assumendosene la pesante responsabilita', anche di fronte alla comunita' internazionale.
Noi chiediamo a tutte le donne, senza alcuna distinzione, di difendere il valore della loro, della nostra dignita' e diciamo agli uomini: se non ora, quando? e' il tempo di dimostrare amicizia verso le donne.
L'appuntamento e' per il 13 febbraio in ogni grande citta' italiana.
*
Prime firmatarie: Rosellina Archinto, Gae Aulenti, Silvia Avallone, Maria Bonafede, Suor Eugenia Bonetti, Giulia Bongiorno, Margherita Buy, Susanna Camusso, Licia Colo', Cristina Comencini, Silvia Costa, Titti Di Salvo, Emma Fattorini, Tiziana Ferrario, Angela Finocchiaro, Inge Feltrinelli, Anna Finocchiaro, Donata Francescato, Rosetta Loy, Laura Morante, Claudia Mori, Michela Murgia, Flavia Nardelli, Valeria Parrella, Flavia Perina, Marinella Perrone, Amanda Sandrelli, Lunetta Savino, Clara Sereni, Gabriella Stramaccione, Patrizia Toja, Livia Turco, Lorella Zanardo, Natalia Aspesi, Letizia Battaglia, Associazione Dinuovo...
*
Per adesioni e informazioni: e-mail: mobilitazione.nazionale.donne@gmail.com ; sito: http://senonoraquando13febbraio2011.wordpress.com/


sabato 5 febbraio 2011

LA TV AND ME

Uno schermo nero. Sempre, la mattina. Quando si faceva colazione senza cartoni animati. Magari con mamma e papà.
Uno schermo nero, a pranzo. Ancora nel 1960.
Uno schermo che si illuminava dopo un asfissiante, sempiterno fermo immagine.
Poi, mentre scorreva una rete, si udivano le note del Guglielmo Tell di Gioacchino Rossini.



E la magia, per lei, bimbetta di tre, quattro anni, iniziava. Carosello, Il Corsaro nero, Rintintin.
Anche se spesso le trasmissioni erano interrotte.
No, non dalla nauseabonda pubblicità. Dalle pecorelle, che le facevano compagnia nelle numerose, ma molto più soft, interruzioni tecniche.



(Pare che il brano sia stato eseguito all'arpa da Anna Palomba Contadino. L'arpa era una "Erard" originale, che di recente è stata interessata da un restauro conservativo.La musica è tratta dalla Passacaglia della Suite n. 7 per clavicembalo di George Frideric Haendel)

La bambina ricordava persino il discorso di papa Giovanni XXIII: portate una carezza ai vostri bambini…
Suo padre non si perdeva un TG (l’unico che c’era, allora. Senza Emilio Fede, per fortuna). E lei lo vedeva con lui. Anche se era un po’ piccolina, allora, per un TG. Ma lei, piccola e grande insieme, lo era stata da sempre.



E poi c’erano i Forte di Forte Coraggio, l’Almanacco del Giorno dopo. E la magia di una Tv che cresceva, come cresceva quella bambina curiosa nata quasi con la TV. Si sa, ogni inizio porta con sé una speranza, una promessa, un po’ di magia. Lei, forse, aveva assorbito qualcosa di quella vaga speranza, di quella stranezza del parto comune con la TV.

Uno dei pochi vantaggi dell’essere oggi una blogger adulta. Al quadrato.

venerdì 4 febbraio 2011

MA COS’E’ QUESTA MUSICA…

Capita spesso la domenica mattina.

Quando il cielo è sereno e promette una bella giornata di sole. E succede a Palermo, nel mio quartiere lontano dal centro e dai mille rumori. Il mio affaccendarsi ai fornelli, o il sostare un po’ pigra sotto la doccia, si tinge del suono improvviso e festoso di una fisarmonica.

Vestito in modo approssimato, con pantaloni color cachi e uno strano berretto verde, l’autore di questo regalo è spesso un ragazzo, forse straniero. Che offre la sua musica allegra e inusuale alla gente appena svegliata, in cambio di qualche moneta.
Lo ascolto in pigiama, da una finestra dell’ottavo piano. Purtroppo non possiedo un paniere con una corda infinita per donargli un soldino …


Ma qualcosa, sicuro, posso dargliela anch’io: un pensiero, un sorriso nascosto e un augurio sincero di buona fortuna.

Che la vita, con lui, sia clemente. E che suoni per lui note liete.


Maria D’Asaro (pubblicato su “Centonove” il 4-2-2011)

mercoledì 2 febbraio 2011

C'è un tempo ...

Forse un pò lenta, un pò malinconica, ma ...appropriata. Bella la chiusa finale.

martedì 1 febbraio 2011

AMELIE AND ME.

Inauguro febbraio con una citazione da un film da Oscar.

(Tranne quello di far rimbalzare i sassi sul canale Saint Martin, perché era una schiappa e perché da lei non c’era il canale, ma solo un piccolo fiume, senza sassolini a portata di mani per esercitarsi)
Lei, condivideva molti piaceri di Amelie. Le piaceva tantissimo guardare le facce: non solo al cinema, ma anche per strada. Le scrutava spesso, con delicato e intenso pudore, cercando di capire quale anima tentasse di partorire, a fatica o con gioia, quel volto.
Un tempo, camminando per strada o affacciandosi dal suo terrazzino, pensava invece una cosa un pò triste : “Chissà quante persone stanno morendo, in questo momento”… e pronunciava magari una breve preghiera per il moribondo.
Ora, continuava ad avere un pensiero per chi se ne andava, in quel preciso momento. Ma le piaceva pensare anche a chi, proprio allora, stava nascendo. E, come Amelie, anche a chi, proprio adesso, faceva l’amore.



E allora viste che le attività di nascere, morire e, nel bel mezzo, di fare l’amore – insieme a cucinare, stirare, riporre i calzini, parlare coi cani, stringere mani, far spesso finta di essere qualcosa, guardare il tramonto, arrivare in ritardo, fare dei figli, sognare dei sogni, fare castelli di sabbia sul bagnasciuga, infilare perle di vetro nelle collane, progettare una fuga - sono tutte già un po’ impegnative, non capiva perché perder tempo, ad esempio, a fare la guerra. O a litigare in giardino per un posteggio rubato, o a lavorare da matti per dodici ore per costruire qualcosa che non serve a niente. Tipo armi, ridicole borsette firmate, automobili da corsa per camminare in città a dieci all’ora.
Continuando a violentare la terra, oltre che già se stessi. Che assurdo, il perdere tempo con cose, tutto sommato, così inessenziali e dannose. Nascere, vivere, morire, con tutto quello che c’è nel bel mezzo, è già così impegnativo … Lei e Amelie sono decisamente d’accordo.
[1] Ringrazio Lorenzo Cherubini, per la splendida canzone L’elemento umano , dal suo nuovo album Ora. Ringrazio di cuore anche chi mi ha fatto conoscere questa canzone.