Un tipo molto diverso da Marco: mite, attento - almeno per buona educazione - disciplinato. Ma anni luce lontano dal pianeta scuola. Vuoi perché di scuole, nella sua vita, ne aveva cambiate ben sette, vuoi perché, tra elementare e media, era già stato bocciato tre volte, vuoi perché la sua era una vita a zig-zag.
Sospesa tra indirizzi diversi di case e di scuole; sospesa tra una rapida infanzia e una precoce maturità: mamma e papà da tempo lo consideravano adulto, impegnati com’erano a crescere altri tre figli più piccoli e a barcamenarsi tra mille, improvvisati mestieri; sospesa tra strada e lavoro, che gli offrivano spazi e linguaggi nei quali Francesco si muoveva in modo più disinvolto che non nell’aula di scuola. Francesco, comunque, non era un ragazzo di strada: aveva un suo dignitoso contegno, una sua disciplina, una sua calma tranquilla. Alle mie sollecitazioni didattiche, rispondeva con un sorriso.
Si sforzava in modo pazzesco di apprendere una qualche nozione. Non perché gliene importasse qualcosa: sentivo che pensava alla strada, che lo aspettava dopo il suono della campana. Al negozietto del padre. Alla lambretta piena di pane, che la domenica vendeva, per strada.
E, comunque, qualcosa sulle leve e sui vulcani riuscì a imparare; come pure il resoconto sintetico della seconda guerra mondiale e qualcosa sulla geografia di Stati Uniti e Giappone. Il suo Consiglio di classe, alla fine, lo ammise agli esami. E così quell’anno, ai genitori, fu restituito, quasi diciassettenne, il primo figlio provvisto di licenza media.
Adesso, lo vedo ogni domenica mattina.[1] Mentre io vado a messa, lui vende il pane, in una stradina vicino la Stazione Centrale.
I nostri sguardi si incontrano e, puntualmente, ci doniamo un aperto e cordiale sorriso. Se non ci sono il padre o altri conoscenti vicini – che lo imbarazzano un po’– Francesco mi si avvicina e mi dona persino un abbraccio e un castissimo bacio sulla guancia.
Adesso, lo vedo ogni domenica mattina.[1] Mentre io vado a messa, lui vende il pane, in una stradina vicino la Stazione Centrale.
I nostri sguardi si incontrano e, puntualmente, ci doniamo un aperto e cordiale sorriso. Se non ci sono il padre o altri conoscenti vicini – che lo imbarazzano un po’– Francesco mi si avvicina e mi dona persino un abbraccio e un castissimo bacio sulla guancia.
A cosa gli sia utile la licenza media, non lo so davvero. Se ha aumentato di un grammo la sua dignità umana, il suo senso civico, non posso saperlo. Certo lo spero. Ma non ne sono sicura. Mi rimane il suo sguardo: ancora pulito, fresco, buono. Come il pane.
[1] (Ho raccontato, in estrema sintesi, la sua vicenda sul settimanale regionale“Centonove” il 19.03.2010, nella rubrica da me curata: “Palermo in 150 parole)
«E' uno dei più belli della serie, molto poetico».
RispondiElimina@Dr.Peter: grazie della tua costante attenzione e del tuo generoso apprezzamento. Buona giornata.
RispondiEliminaQuesto ragazzo si merita tanto, tutto, perché ha la volontà e la bontà d'animo e non sono qualità che si trovanpo spesso unite in una persona sola
RispondiElimina@la stanza: Si, F. merita tutto. Come tutti i ragazzi del mondo, peraltro. Grazie dell'attenzione.
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