lunedì 23 maggio 2022

Palermo, 23 maggio 1992/2022: caro dottor Falcone...

    Palermo – Egregio dottor Falcone, ogni siciliano adulto ricorda bene dove era e cosa facesse sabato pomeriggio 23 maggio 1992: io ero con la mia famiglia nella borgata marina di Mondello, a cercare una casa in affitto per l’estate.
 La notizia del tritolo che, alle 17,58, nell’autostrada vicino Capaci, fece esplodere la sua Fiat Croma e quella degli agenti di scorta, si diffuse in un baleno. Tornata a Palermo, come tutti, rimasi incollata ai TG, sperando nell’impossibile.    Purtroppo, dal Policlinico di Palermo giungevano via via notizie disperate: morti immediatamente i tre agenti di scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani, era purtroppo deceduto quasi subito anche Lei e, dopo qualche ora, anche la sua amatissima moglie Francesca Morvillo…
    Caro dottor Falcone, il suo sacrificio – e, meno di due mesi dopo, quello del giudici Paolo Borsellino e degli agenti Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cusina, Claudio Traina - ha cambiato a Palermo e in Italia la lotta alla mafia.
     Non che prima non avessimo avuto decine e decine di vittime illustri: è sufficiente ricordare, per tutti, il Presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella, il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, il deputato regionale Pio La Torre, il medico Paolo Giaccone, il magistrato Rocco Chinnici, l’imprenditore Libero Grassi? 
    Ma Lei, per noi palermitani, se possibile, era qualcosa ancora di più. Era  uno di noi, un palermitano doc, nato nel quartiere popolare della Kalsa, come il suo carissimo amico Paolo Borsellino. Era il magistrato competente, integerrimo, acuto e intelligente, l’uomo giusto nel quale la società civile onesta aveva riposto la speranza di potere sconfiggere la criminalità mafiosa che attanagliava la città. 
Lei i mafiosi li aveva capiti, ancora prima di combatterli. I pentiti come Tommaso Buscetta che, con le loro ammissioni e confessioni, hanno contribuito a svelare e scardinare il sistema di Cosa nostra, si sono fidati di Lei, della sua correttezza, dei programmi di protezione. Ha scritto un collega, filosofo e giornalista: “Se tanti soggetti (...) si sono decisi ad aprirsi a questi due magistrati sino a collaborare con la giurisdizione istituzionale non è avvenuto solo per auto-difesa, per calcolo di convenienza, per mancanza di alternative migliori, ma perché – come hanno  ribadito, da  Tommaso Buscetta a tanti altri – non sono stati trattati riduttivamente come parti malate, da isolare e rendere inoffensive, di un organismo sano (che sarebbe l’intera società attuale!): si sono visti riconoscere un nucleo irriducibile di dignità che sarebbe potuto emergere allo scoperto solo se aiutati a liberarsi dai ceppi relazionali di una vita immersa nella melma.”
    Così, nel gennaio 1992, per la prima volta nella storia giudiziaria del paese, gli appartenenti al vertice della mafia siciliana sono stati condannato all’ergastolo, in regime di carcere duro. 
In Cose di Cosa Nostra, il libro/ intervista scritto con la giornalista francese Marcelle Padovani - testo che, dopo la sua morte, è diventato una sorta di testamento umano e civile – Lei ha fornito, senza mezzi termini, una visione lucida e completa della criminalità mafiosa: «Il problema mafia è stato sottovalutato nella nostra storia anche recente. La virulenza attuale di Cosa Nostra è in parte il frutto di questa sottovalutazione e di quest’ignoranza. La mafia si caratterizza per la sua rapidità nell’adeguare valori arcaici alle esigenze del presente, per la sua abilità nel confondersi con la società civile, per l’uso dell’intimidazione e della violenza, per il numero e la statura criminale dei suoi adepti, per la sua capacità ad essere sempre diversa e sempre uguale a se stessa».
  E ancora: «La mafia non è un cancro proliferato per caso su un tessuto sano. Vive in perfetta simbiosi con la miriade di protettori, complici, informatori....gente intimidita o ricattata che appartiene a tutti gli strati della società. Questo è il terreno di coltura di Cosa nostra con tutto quello che comporta di implicazioni dirette o indirette, consapevoli o no, volontarie o obbligate, che spesso godono del consenso della popolazione»
A trent’anni dalla sua morte, dibattiti, analisi, commemorazioni si sprecheranno e si farà l’ennesimo bilancio sulla lotta alla mafia. Quello che si può dire è che finalmente, dopo il suo assassinio, la maggior parte dei palermitani ha scelto di stare dalla parte della giustizia. Quel cambiamento da Lei tanto auspicato è finalmente avvenuto: oggi ci si vergogna di parteggiare o appoggiare i mafiosi. Lei ha contribuito a segnare il punto di svolta etico-culturale senza il quale la lotta a Cosa Nostra non si poteva vincere. 
E noi palermitani siamo orgogliosi che l’aeroporto di Palermo porti il suo nome e quello dell’amico e collega Borsellino.
Non ci stancheremo di ringraziarla e di onorare la sua memoria di martire laico. Emblematiche, a questo proposito, le ultime parole del suo libro: «In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere».






Maria D'Asaro, 22.5.2022, il Punto Quotidiano

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