Dal tesoro di libro di Giovanni Salonia: Il Signore mi condusse,Cinisello Balsamo (Milano), Ed. San Paolo, 2022) pp.43-47 (a breve, la recensione)
«Ci sono due tratti della personalità di Francesco, del suo modo di essere, che sorprendono e affascinano chiunque volga lo sguardo alla sua figura. Se nel cuore del suo pensiero c’è la fraternità, al centro della sua vita appaiono, in forme inedite, la sapienza e l’amore. Come se in Francesco si coniugassero, in una maniera sconosciuta, i due orizzonti dell’esistenza autentica e matura: l’essere sapienti e l’essere amanti. (…)
Francesco opera una grande distinzione tra sapere multum e sapere multa. Non è sapendo ‘molte cose’ che si vive meglio, bensì sapendo ‘molto’. I nuovi paradigmi del sapere ci ricordano che la cultura non è data dalla molteplicità di dati che una persona possiede (…), ma dalla capacità di saper entrare in relazione con gli altri. Goleman ha sostenuto che la vera intelligenza è la capacità di comprendere e usare le proprie e le altrui emozioni per migliorare la qualità della vita (‘intelligenza emotiva’). A me è sempre piaciuto parlare di ‘intelligenza relazionale’, della capacità, cioè, di vivere in modo significativo e nutriente le relazioni interpersonali. Ѐ questo il multum da apprendere al di là dei multa. (…)
Con grande intuito, Francesco chiede alla semplicità di ‘proteggere’ (di ‘autenticare’) la sapienza. Sapienza e semplicità sono per lui così intimamente connesse che la definizione dell’una deve includere l’altra: occorre parlare di una sapienza semplice e di una semplicità sapiente.
La sapienza semplice è leggera, di quella leggerezza che – come dice Calvino – rende vitale ogni sapere. La semplicità sapiente acquista il peso della concretezza che la riscatta da ogni fuga nel vago. In definitiva, è un ossimoro a svelarci il senso profondo di una sapienza non astratta e di una semplicità non banale: l’ossimoro come coesistenza dinamica degli opposti e come icona di una personalità capace di coniugare dentro di sé la dignità della cultura e il rispetto della vita come essa è, nella sua immediatezza, nella sua realtà di relazioni e di incontri.
Ragusa, 22.8.22: presentazione del testo (dal periodico ibleo: L Opinione) |
La sua chiave è l’esperienza, ovvero l’apertura a far nascere ogni parola, ogni conoscenza, ogni atto vitale dal confronto vivo con il mondo e con l’altro. D’altronde, per esperienza parlano i bambini e i folli, i “custodi dell’essere”, che avvertono immediatamente, in maniera per noi spietata e imbarazzante, tutta l’inadeguatezza delle parole svuotate dalle mode e dalle abitudini. (…)
Maestro di sapienza ‘illetterata’, Francesco ci ricorda in definitiva che non è ‘ingoiando’ libri e nozioni che si diventa sapienti, ma per la via della ricerca dell’interiorità, dell’essenzialità, della creatività, della relazione, dell’umile mettersi in discussione. Francesco, maestro di una sapienza "folle", ci ricorda l’inutilità di una saggezza impaurita e la necessità dell’audacia, frutto dell’essere in contatto con la propria ispirazione e con l’Altro, unica protezione dalle seduzioni dell’applauso e del consenso degli opinion-leaders.
La semplicità francescana non è semplicioneria o ignoranza della complessità dell’esistenza, bensì capacità ascetica di purificarsi del superfluo, faticosa ricerca dell’essenziale, ascolto attento del proprio cuore e di quello del fratello.»
Tra gli altri, ho recensito questi testi del prof. Salonia:
Francesco è l'uomo che imita Gesù.
RispondiElimina@Gus: proprio così... buona giornata.
Elimina@Valeria: ottimo approccio di relazione, cara Valeria. Grazie della visita e del commento.
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