"Seduta di fronte a Giorgio finalmente aveva trovato uno spazio per sé stessa: poteva parlare del proprio dolore e riflettere sulla sua condizione con una persona intelligente ed empatica. Aveva imparato, a poco a poco, a dare un nome ai suoi sentimenti e alle sue emozioni, senza paura e senza vergogna. Il primo passo per riprendere a camminare da sola.
A settembre aveva deciso: avrebbe utilizzato la sua laurea in Giurisprudenza per insegnare Diritto. Sperimentarsi come docente era stata talvolta una possibilità che le era balenata, ma non era mai stata presa troppo sul serio. Ora si era informata e aveva saputo che c’erano cattedre vuote, perché con la sua laurea non si faceva la fila per fare il docente a scuola, mestiere senza gloria e con uno stipendio appena passabile. Daniele, l’ex compagno di liceo a cui lei passava le traduzioni in latino, ora responsabile di un Caf., l’aveva aiutata a preparare i documenti da presentare. Così a fine ottobre, era arrivato l’incarico: supplente di Diritto al triennio di un Istituto per Geometri. La scuola era ubicata però nella zona opposta alla sua nuova casa.
Fu allora che venne ‘scoperta’ la metro: c’era una fermata a seicento metri dal suo appartamento e una a un chilometro circa dalla scuola. Certo, doveva alzarsi prestino. E non farsi influenzare da eventuali intemperie. Ma si poteva fare. Anzi si doveva e si voleva fare. Il ritmo tranquillo del treno alimentava la ripresa serena della sua vita. La sua auto vecchiotta venne usata sempre meno. Solo di sera o la domenica, quando – ahimè – la sua metro si riposava e passava ogni ora. Muoversi in metro le aveva permesso di riscoprire con entusiasmo la città: angoli nascosti, viuzze, odori, percorsi artistici, sfumature di colore nei giardini.
E gli alberi, soprattutto. Li guardava anche prima, intuendo in loro quasi una misteriosa paziente saggezza, ma il suo sguardo rimaneva distratto. Un giorno d’autunno una foglia palmata di forma triangolare, con i margini dentellati e di un verde ormai spento, si posò sul suo zaino. Si chiese a che albero appartenesse. Scoprì che era la foglia di un platano, maestoso in primavera ed estate, quasi spettrale in inverno, con la nudità assoluta dei rami che si ergevano sopra i tronchi imponenti, grigi e biancastri.
Fu presa dall’urgenza e dal desiderio di conoscere gli alberi per nome e cognome. Rifletté che in fondo quello che vale per le persone vale pure per le piante e gli animali: senza un nome, un volto, un cagnolino, un albero rimangono estranei e lontani, confusi nella folla indifferenziata dei loro simili.
Nella sua vita precedente, Giulia conosceva a memoria solo codici legislativi, sentenze della Cassazione e tutta la normativa relativa agli immobili e ai canoni di locazione e di vendita. Ora scoprì il piacere di familiarizzare con gli alberi cittadini: oltre ai già noti pini e cipressi, imparò a distinguere i vari tipi di ficus e di palme, a individuare tigli e ligustri, aceri, carpini e olmi… Si divertì persino a imparare alcuni nomi nella classificazione in latino: ad esempio, il cercis siliquastrum o albero di Giuda, con la sua magnifica fioritura rosa e lilla in primavera, il grande melia azedarach o albero dei rosari, il celtis australis o bagolaro, con la sua fitta chioma.
Prese tanta confidenza con gli alberi da salutarne alcuni, quando passava loro accanto. Un giorno fu quasi sgamata da un suo alunno: - Professoressa, ma con chi sta parlando?! – le chiese sorridendo. Giulia rispose prontamente che aveva appena chiuso una chiamata al cellulare. Il berretto che le copriva le orecchie impedì ad Enrico di vedere che non c’era alcun auricolare col quale potesse ascoltare alcunché.
Intanto le era tornata la voglia di fare progetti per il futuro.
Di viaggiare, ad esempio. Per luglio programmò con Silvia un viaggio in treno a Lisbona, viaggio che sarebbe durato circa due giorni. Non sarebbe partita di notte, come il professore Gregorius, il docente svizzero di lingue antiche, protagonista del romanzo che l’aveva commossa e l’aveva invogliata a scegliere Lisbona come meta di viaggio, dopo la sua ‘ripartenza’. Ma il treno sì, la scelta del mezzo l’avrebbe accomunata al professore del romanzo. E in treno avrebbe ammirato i paesaggi che separavano la sua Italia dall’Atlantico.
Silvia era entusiasta della meta! Giulia si era già innamorata dei nomi delle quattro linee della metropolitana della capitale portoghese: la lihna Azul (linea blu), chiamata anche linea del Gabbiano, la gialla, verde e rossa, note rispettivamente come linee del Girasole, della Caravella e dell’Oriente.
Intanto anche quell’anno scolastico aveva imboccato il secondo quadrimestre, subito dopo gli scrutini di febbraio. Giulia, come gli alunni, contava le settimane mancanti per le vacanze. In metro, durante il tragitto casa-lavoro, rivedeva qualche dettaglio delle lezioni, leggeva, guardava cielo e case, quando il trenino emergeva dal ventre della città. E spesso si divertiva a scrutare i suoi simili, osservando soprattutto scarpe e calzini, giocando a interpretare il loro carattere da come rivestivano i loro piedi.
Una mattina, mentre era concentrata nel contemplare gli stivali di una sua coetanea – come farà a camminare velocemente con quei tacchi e a non perdere la metro? – una voce gentile interruppe il filo dei suoi pensieri:
- Ma noi ci conosciamo… dove ci siamo già visti?
La voce proveniva da uomo che indossava scarpe da ginnastica anonime e scure, jeans e un giaccone color grigio topo. Giulia lo squadrò rapidamente: quarantenne o poco più, forse un po’ più basso del suo metro e settantadue, occhi castani sorridenti dietro un paio di occhiali metallici, tanta barba, a compensare i non folti capelli. Le mani erano appoggiate su una bici.
- In effetti, anche a me pare di averti già visto…
- Borsa di studio all’Università?
- Acqua, acqua… - rispose Giulia, che ormai stava al gioco
- Eppure sono certo di conoscerti e credo che ci siamo visti anche più di una volta – riprese l’uomo, con tono convinto
- Magari siamo andati anche cena insieme, e non ce lo ricordiamo! - gli fece eco lei, sorridendo. Il tono divertito di Giulia non scalfì la determinazione dell’indagine conoscitiva dello sconosciuto.
- Mi chiamo Leonardo… quindi niente Università, ma forse sei una collega…
- Da un paio d’anni sono supplente in una scuola. Prima però ho lavorato in un’agenzia immobiliare…
- Ecco dove ti ho vista! Sei la tizia che qualche anno fa ho incontrato all’agenzia in viale Francia! Quella che cercava di farmi capire che l’acquisto del trivani nel centro storico non sarebbe stato proprio un affare, perché c’erano l’impianto idrico e i pavimenti da rifare – esclamò con un largo sorriso Leonardo. Che continuò: - Il tuo collega, allora, forse non la prese benissimo…
Giulia si ricordò di botto la scena: Leonardo era il potenziale cliente a cui lei aveva esposto con estrema onestà le condizioni precarie di un immobile in vendita a un prezzo stracciato. Allora Mattia e i colleghi le avevano fatto capire che aveva un po’ esagerato, con la cosiddetta deontologia professionale.
- Io sono Giulia: dopo averti dato la dritta sulle magagne di quella casa mi hanno licenziata – disse ridendo di cuore e raccogliendo lo zaino – Ora insegno Diritto all’Istituto Tecnico per Geometri… scenderò alla prossima.
- Allora saremo colleghi nella stessa scuola! – esclamò Leonardo piacevolmente sorpreso – Forse l’anno prossimo riuscirò a insegnare Musica al Conservatorio, ma intanto da oggi mi accontento di una supplenza come docente di Lettere dagli aspiranti geometri! -
- Possiamo fare strada assieme! – soggiunse davvero contento, mentre toglieva la bici dagli appositi paletti di sostegno.
Chissà se potremo fare altre strade insieme – pensava intanto Giulia tra sé, con un’inattesa folata di speranzosa allegria…
Nel cielo, prima gonfio di nuvole grigie, occhieggiavano ora squarci inattesi di azzurro".
Maria D'Asaro