giovedì 29 febbraio 2024

Allènati

Claude Monet: Nuvole (1923/26)


Costellazione

Di lutti

La vita, spietata

Allenati allora alle morti

Coraggio…









lunedì 26 febbraio 2024

Assenza

Assenza,
più acuta presenza.

Vago pensiero di te
vaghi ricordi
turbano l’ora calma
e il dolce sole.

Dolente il petto
ti porta,
come una pietra
leggera.

                                                                                                                             Attilio Bertolucci


Sally, memoria di un compleanno mancato




domenica 25 febbraio 2024

"10 minuti", guida rapida al cambiamento possibile

         Palermo – È quasi tutto al femminile 10 minuti, uscito nelle sale il 25 gennaio scorso. Infatti, sono donne la regista Maria Sole Tognazzi, la co-sceneggiatrice Francesca Archibugi, le protagoniste principali: Bianca con la sorella minore Jasmine (impersonate rispettivamente da Barbara Ronchi e Fotinì Peluso), e la dottoressa Braibanti (interpretata da Margherita Buy). Donna anche la scrittrice da cui è tratta la storia: Chiara Gamberale, autrice nel 2013 del quasi omonimo romanzo di successo Per 10 minuti.
       Innanzitutto, qualche curiosità sulle differenze tra il libro e il film: In un articolo di Elsa Ungari, nel giornale on line Io donna, si legge: “Io e Francesca Archibugi abbiamo lavorato benissimo insieme – ha dichiarato la regista Maria Sole Tognazzi - Siamo rimaste fedeli al testo mantenendo l’idea centrale, ma poi ci siamo divertite ad inventare nuovi personaggi”. 
   Infatti, nel romanzo di Chiara Gamberale non esiste il personaggio della sorella della protagonista, personaggio che le due co-sceneggiatrici hanno deciso di inserire a partire da un episodio successo realmente in casa Tognazzi. A questo proposito, scrive ancora Elsa Ungari: “Come ha raccontato la regista alla Archibugi, da piccola Maria Sole non sapeva di avere un fratello: scoprì la sua esistenza quando era già grandina e papà Ugo tornò in Italia con un bambino biondissimo che veniva dalla Norvegia. E dopo qualche giorno, rivelò ai figli che si trattava del loro fratellino, Thomas, avuto dall’attrice Margarete Robsahm”.
    Ecco cosa racconta il film: lasciata dal marito (l’attore Alessandro Tedeschi) dopo 18 anni di matrimonio, e nel frattempo licenziata, Bianca cade in una disperata crisi depressiva. Viene allora presa in cura da una psichiatra che lavora in una struttura pubblica, la dottoressa Brabanti, che, con un approccio terapeutico brusco ma efficace, tra le altre cure, prescrive alla paziente di fare ogni settimana qualcosa di completamente nuovo. 
    Inizialmente perplessa e abbattuta, Bianca viene ‘presa per mano’ da Jasmine, decisa e combattiva sorella minore e segue il consiglio della psichiatra/psicoterapeuta. Rivede così i suoi atteggiamenti, uscendo dal suo egocentrismo e conquistando un approccio più adeguato alla vita, approccio che le permette di guardare se stessa e gli altri con occhi diversi, più partecipi e attenti.
    Qualcuno potrebbe obiettare: tutto qui? Si, tutto qui. Si tratta, infatti, di una pellicola senza grandi pretese, a metà tra dramma e commedia: un film che, a parere della scrivente, nonostante qualche incertezza e incoerenza alla fine (quando la dottoressa Braibanti si trasforma quasi da terapeuta ad amica) racconta la rinascita di Bianca con garbo, riuscendo, in alcuni momenti, a commuovere, divertire e far riflettere.
   Infatti, 10 minuti ci invita a guardare gli altri in modo più articolato e complesso: utilizzando la metafora del ‘pelare la cipolla’, uno dei fondatori della terapia della Gestalt, Fritz Perls, affermava che, se vogliamo davvero conoscere noi stessi e gli altri, dobbiamo osare l’ingresso in territori sconosciuti, senza avere paura di guardarci dentro e di prendere consapevolezza dei nostri sentimenti e delle nostre reazioni emotive. Solo così si può davvero andare avanti e trovare un equilibrio esistenziale…
   Allora, a chi interessa, buona visione di 10 minuti, che lascia alla fine un ‘retrogusto’ gradevole. E riserva ai palermitani come la sottoscritta una sorpresina finale… 

Maria D'Asaro, il Punto Quotidiano, 25.2.2024

sabato 24 febbraio 2024

Roma, Congresso del Movimento nonviolento

       Il titolo del Congresso e': “Obiezione alla guerra, oggi! Priorita' della nonviolenza", una formula che indica gia' obiettivi e strumenti, mezzi e fini. "Priorita' della nonviolenza" ha un doppio significato:
- indicare quali sono le priorita' che la nonviolenza chiede per la realta' di oggi;
- assumere la nonviolenza come priorita' per la nostra vita personale e politica.
     Il XXVII Congresso nazionale del Movimento Nonviolento si svolgera' a Roma (Spazio Pubblico – FP Cgil, via di Porta Maggiore 52, zona Termini) nei giorni 23, 24, 25 febbraio 2024.
    Il Congresso si aprira' il venerdi' 23 febbraio alle ore 17 con la registrazione dei partecipanti (aperto a tutti, ma votano solo gli iscritti), cui seguira' alle 18 il dibattito pubblico "Elezioni Europee e l'aggiunta nonviolenta", su Europa disarmata, l'Europa e la Nato, i Corpi civili europei di pace, le guerre ai confini d'Europa, Europa dei ponti o dei muri?
    Il sabato 24 febbraio, dopo la relazione di apertura sulle attivita' svolte e le prospettive di lavoro, gli interventi dei Centri territoriali, i saluti degli ospiti, seguira' il dibattito che si concludera' con la votazione della Mozione e degli organi statutari.
     Al Congresso parteciperanno anche i rappresentanti delle Reti di cui il Movimento Nonviolento fa parte (Rete italiana Pace e Disarmo, Conferenza nazionale Enti di Servizio Civile, Beoc - Ufficio Europeo Obiezione di Coscienza, War Resisters International, ecc.), delle Campagna "Obiezione alla guerra", "Un'altra difesa e' possibile", "La via Maestra per la Costituzione", e delle Associazioni con cui collabora (da Un Ponte per ad Archivio Disarmo, da Cgil a Fondazione Langer, da Acli a Fondazione Capitini, ecc.).
     Sara' questa la nostra partecipazione attiva alla giornata di mobilitazione nazionale del 24 febbraio "Fermiamo la criminale follia della guerra" lanciata da Europe for Peace e Assisi Pace Giusta.
    Tra gli ospiti del nostro Congresso ci sara' anche Olga Karatch (premio Langer 2023), testimone bielorussa della Campagna di Obiezione alla guerra a difesa dei diritti umani di chi rifiuta la mobilitazione militare e la coscrizione obbligatoria. Ci saranno anche collegamenti con obiettori di coscienza alla guerra in Ucraina e in Palestina.
    Il Congresso si concludera' domenica 25 febbraio con la partecipazione collettiva all'Angelus in Piazza San Pietro, nell'ambito della campagna contro tutte le guerra e contro le armi che le rendono possibili di Papa Francesco.
     I giornalisti sono invitati.   
                                                            Mao Valpiana, Presidente
Roma, 23 - 24 - 25 febbraio 2024

mercoledì 21 febbraio 2024

Caro generale,

P.Picasso: Colomba blu (1961)

stanotte ho fatto un sogno:
lei, folgorato sulla via di Damasco,
su un carrarmato di Kiev o in un tunnel a Gaza,
aveva un ripensamento…

E deva ordini diversi a suoi sottoposti:
mettete dei fiori nei vostri cannoni
fate salire sui Falcon i bambini spauriti 
perché guardino estasiati le nuvole;
caricate con bolle di sapone i fucili...




Caro generale, lei in sogno stanotte ha capito:
la guerra è un’idiozia,
una stronzata, stupida e insensata.
Domani l'alloro profumato
non servirà più per le corone ai militi ignoti,
ma a condire lenticchie e verdure.


Maria D’Asaro
Dillo con parole tue

Vaneggiamenti simili già scritti qui e qui.

Qui, qui e qui invece, a cura rispettivamente del dott. Giorgio Giorgi, del professore Giovanni Salonia e della professoressa Agata Pisana, riflessioni più articolate e significative

Qui, infine, l'immensa Wislawa

domenica 18 febbraio 2024

Punto di Partenza: aiuto per le persone con disagio psichico

     Palermo – Alcuni anni fa Laura Marsala, una signora dagli occhi nocciola e dallo sguardo sereno, sempre sorridente, era per la sottoscritta solo la mamma di Gabriele, compagno ‘speciale’ di suo figlio Riccardo negli anni della scuola media: Riccardo e Gabriele condividevano allora, oltre alle lezioni scolastiche, feste di compleanno e partite di pallavolo. Poi le strade dei ragazzi si erano divise. Ma con Laura, grazie ai social e alla frequentazione della stessa stazione della metropolitana, non ci si è perse di vista.      
      Da quasi un decennio, a Palermo, Laura Marsala è Presidente di Punto di Partenza: un’associazione che si occupa, in collaborazione con gli operatori del Settore Salute Mentale, della promozione della salute e della tutela delle persone con disagio psichico, perseguendone la riabilitazione e l'inclusione socio lavorativa.

Ecco come Laura ci presenta la sua significativa esperienza:

Quali percorsi l’hanno portata all’associazione Punto di Partenza? 

“Gabriele, uno dei miei tre figli, è un ragazzo autistico. Finché ha frequentato la scuola media e l’Istituto d’arte, ha potuto fruire di stimoli, opportunità formative e di incontro. Ma quando i ragazzi come lui diventano grandi ed escono dal circuito scolastico c’è il vuoto… Gabriele, dopo la scuola superiore, per qualche anno, ha avuto l’opportunità di frequentare un centro diurno, ubicato all’interno del Policlinico ‘Paolo Giaccone’ di Palermo, centro voluto fortemente dallo psichiatra professore Antonio Francomano. Poi, quando il Professore Francomano è andato in pensione, nessuno ha raccolto la sua eredità e il centro è stato chiuso. 
E, purtroppo, attualmente per le persone maggiorenni con sindrome autistica, a Palermo e provincia non esiste alcun servizio. C’era il progetto ‘Autismo 02’, avviato nel 2017, che prevedeva attività individuali e di gruppo, ma si è interrotto a settembre del 2022. Questo è un dramma, specie per le famiglie meno abbienti che non possono permettersi di pagare terapisti e/o centri privati. 
L’associazione ‘Punto di Partenza’ colma un vuoto. Intanto, quando si scopre che il proprio figlio ha una disabilità psichica, ci si sente soli e si sente l'esigenza di condividere paure e preoccupazioni, oltre che con i propri familiari, anche con chi sta vivendo la tua stessa esperienza. Ti senti compresa, ascoltata e chi è più avanti nel percorso riabilitativo può consigliarti. L’esigenza di ascolto e di aiuto cresce quando il proprio figlio con disagio psichico diventa adulto”.

Ci presenta l’associazione che lei presiede da dieci anni?

“Nata nel gennaio 1996, Punto di Partenza è la più antica associazione palermitana di genitori con figli con disagio psichico. Attualmente ha circa trenta soci, e quindi una trentina di famiglie che gravitano al suo interno. 
L’associazione fa parte della Consulta Dipartimentale per la Salute Mentale dell’ASP 6 e del Coordinamento regionale per la Salute Mentale. Mio marito e io ne facciamo parte da oltre un decennio. 
Lo scopo fondamentale dell’associazione è quello di sostenere le famiglie che hanno familiari con disagio psichico: in particolare, assumerne la tutela sociale qualora subiscano la violazione di un proprio diritto; chiedere poi la piena attuazione della legislazione vigente e costruire le condizioni che consentano anche ai soggetti ‘fragili’ di consolidare la propria personalità e di compiere in autonomia alcuni percorsi sociali; promuovere infine una cultura della salute basata sulla creazione di spazi sociali per rimuovere gli ostacoli che emarginano le persone con disagio psichico. 
Da Presidente dell’Associazione – lo sono diventata nel 2014 quasi per caso - ho cercato di portare avanti questi obiettivi, lottando spesso contro mulini a vento e cercando di tenere dentro di me lo scoraggiamento e il senso di impotenza che a volte mi affliggono, per evitare di ‘contagiarli’ agli altri genitori. Spero che a fine anno, quando scadrà il mio secondo mandato, qualche genitore di buona volontà raccoglierà il testimone… 

Quali, dunque i punti di forza e, eventualmente, quelli da migliorare?

 I punti di forza sono proprio le famiglie che si sostengono a vicenda. Se un giorno in una famiglia, c'è un momento di crisi, c'è sempre qualcuno pronto a intervenire.  E i ragazzi sanno essere meravigliosi, perché sinceri, accoglienti, solidali e privi di qualsiasi sentimento negativo
I punti da migliorare sono quelli di credere realmente che l'unione fa la forza e che non bisogna mai smettere di lottare per i diritti dei ragazzi. C'è molta rassegnazione e a volte sconforto, specialmente quando, accanto ad un adulto con disagio psichico, è rimasto solo un genitore, magari anziano, a supportarlo…

C’è qualche esperienza particolare che va raccontata?

“Ce ne sarebbero tante: tante passeggiate, tanti pranzi fatti assieme… Persino delle vacanze organizzate con successo tra i ‘ragazzi’ (adulti in verità) autistici, schizofrenici o borderline e i loro familiari. Voglio accennare, in particolare, a un supporto dato a tre nuclei familiari dove è presente un solo genitore, che si trovano a gestire figli che manifestano il loro disagio soprattutto a casa, mentre riescono a calmarsi e rilassarsi se trascorrono del tempo con altre famiglie dell’associazione e così anche i genitori di questi ragazzi, possono concedersi un momento di respiro.
Inoltre, come Presidente dell’associazione ricevo tante richieste di chiarimenti e di aiuti: recentemente mi ha chiamato da un paesino siciliano dell’interno una persona che soffre di depressione cronica: nella sua Asp di riferimento lo psicologo è stato rimpiazzato dopo tre anni e può vedere i pazienti solo a distanza di parecchi mesi tra una seduta all’altra. E purtroppo questa persona non può permettersi uno psicologo a pagamento: gli ho indicato la possibilità di ricorrere a un professionista on line, con tariffe più contenute. Così questa persona ha potuto essere seguita. 

Quali legami ha Punto di Partenza con altre associazioni cittadine?

“Da qualche anno le associazioni di familiari si sono messe in rete creando un'associazione denominata ‘Famiglie in rete’, a cui aderiscono le associazioni di familiari di persone con disagio psichico. L'idea è partita dall’iniziativa della Presidente di un'associazione siciliana, ma ora ‘Famiglie in rete’ ha varcato i confini della Sicilia e ne fanno parte associazioni o singoli soci di 16 regioni.
Inoltre l'associazione fa parte dell’associazione di II livello “Si può fare”, che include associazioni di familiari, utenti, operatori sanitari in pensione e cooperative che operano nel campo della salute mentale
Questo ci rende più forti nelle nostre battaglie per difendere i diritti dei nostri familiari nella società e davanti alle Istituzioni.

E i legami con l’ASP e gli operatori della salute mentale a Palermo?

“Per quanto riguarda l’ASP, nonostante sia prevista dal Piano Strategico per la Salute mentale del 2012, solo da qualche anno è stata ricostituita la Consulta Dipartimentale per la salute mentale, attraverso la quale le associazioni impegnate in questo ambito, tra cui la nostra, cercano un confronto collaborativo e costruttivo con gli operatori dell’ASP. 
Come si sa, i familiari delle persone con disagio psichico nella Consulta hanno solo un ruolo consultivo, possono dare indicazioni e pareri che non sono vincolanti per l’ASP. Ma è sempre importante esserci e avviare un confronto e un dialogo. 

Cosa chiede, infine, come Presidente di Punto di Partenza, alla politica locale e nazionale?

“Chiediamo che ci sia maggiore attenzione per i problemi della salute mentale. I nostri ragazzi hanno bisogno di servizi efficienti: in particolare di visite mediche in tempi adeguati, sedute di psicoterapia con frequenze ravvicinate, senza dover rimanere in lista d’attesa per mesi e mesi, attività socio-sanitarie che favoriscano il reinserimento nella società, comprese attività lavorative per coloro che hanno capacità lavorativa residuale.
Chiediamo inoltre che vengano coperti al più presto i posti che si sono resi vacanti nei Dipartimenti di salute mentale a seguito dei numerosi pensionamenti. C’è forte carenza di personale. Mancano figure come medici, psicologi, assistenti sociali e terapisti della riabilitazione psichiatrica, un’importante figura di collegamento tra lo psichiatra e l’utente.
Un altro problema che crea grosso disagio alle famiglie è la carenza dei Centri diurni. Molti sono stati chiusi e quei pochi che rimangono, funzionano con grande difficoltà e per poche ore alla settimana. 
Nonostante gli slogan, si fa ancora poco per l’integrazione e l’inclusione nella società delle persone con disagio psichico. Davvero pochissimo per dare loro autonomia e, nei casi in cui è possibile, anche un lavoro. Le persone, con patologie psichiatriche, sono davvero felici, quando possono lavorare e la loro salute mentale ne beneficia.

Grazie di cuore a Laura per il suo resoconto, puntuale e accorato. Ci si augura che le Istituzioni sanitarie e politiche raccolgano le richieste dell’associazione Punto di Partenza e mettano in campo le risorse necessarie per l’integrazione e il benessere delle persone con disagio psichico.


Maria D'Asaro, 18.2.24, il Punto Quotidiano







venerdì 16 febbraio 2024

La compassione ci salverà...

Caravaggio: Le sette opere di misericordia corporale (part.)
     "La ricerca emergente dal laboratorio di neuroscienze sociali di Tania Singer del Max Planck Institute for Human Cognitive and Brain Sciences, in Germania, mostra che la fatica della compassione (compassion fatigue) è un termine improprio e che è l’empatia che affatica gli assistenti, non la compassione. 
   Tenendo conto delle ricerche delle neuroscienze riguardanti la diversa collocazione delle aree cerebrali relative alla compassione rispetto all’empatia, il mio pensiero è che l’utilizzo del termine ‘compassion fatigue’ dovrebbe essere sostituito da ‘empathy fatigue’.
    La neurofisiologia dell’empatia dimostra, infatti, che gli effetti dell’empatia riguardano il sentire ciò che l’altro sente, e nel tempo possono diventare negativi, perché cumulativi di ripetute esperienze dolorose, se non condivise. Queste situazioni trovano una possibile risoluzione nelle supervisioni di equipe come condivisione narrata del dolore vissuto.
    La compassione, invece, riguarda un sentimento di cura, amore altruistico e desiderio umanitario di aiutare gli altri che appartiene al soggetto a prescindere dalle emozioni percepite empaticamente dall’altro. Ha connotazioni sociologiche e personali di scelta di vita che si collocano in un’area cerebrale diversa dalle zone di attivazione empatica, precedentemente identificate come correlate al dolore attraverso il neuroimaging
     Ad esempio: se si osserva una persona soffrire, in caso di empatia nel nostro cervello entrano in funzione le medesime sfere cerebrali (neuroni specchio). Nel caso della compassione accade, invece, che in chi ascolta non si attivano le stesse aree cerebrali deputate al dolore, come nella persona che sta male, ma quelle dell’affiliazione prosociale, che indicano che si ha a cuore il benessere di quella persona di fronte a noi e si desidera attivarsi in una relazione d’aiuto.
     L’azione compassionevole, seppur prolungata nel tempo, nutre sempre più la nostra esistenza e può persino illuminare lati oscuri della mente, come afferma Erminio Gius. L’insigne professore, che ha saputo coniugare rigore scientifico e saggezza accademica con la profonda umanità e spiritualità della vocazione religiosa francescana, individua nella compassione la possibilità di una carta etica ideale mondiale che regoli i rapporti interpersonali e teorizza la compassione intesa come terapia o come aiuto terapeutico.
    È mio radicato pensiero ormai che la compassione sia costitutiva dell’essere umano in relazione, come comportamento emergente evolutivo-esistenziale, che connota l’identità personale e sociale in una dimensione pro-sociale, nella sacralità e responsabilità ‘condivisa’ del prendersi cura".

Paola Argentino: La spiritualità è cura: la forza dell’amore nel dolore
 Mondadori, Milano, 2023 (pag. 51,52,53)
(a breve la recensione)

mercoledì 14 febbraio 2024

A/R: Andata e Racconto... Prossima fermata, si sceglie

(continua da qui e qui)    

"Seduta di fronte a Giorgio finalmente aveva trovato uno spazio per sé stessa: poteva parlare del proprio dolore e riflettere sulla sua condizione con una persona intelligente ed empatica. Aveva imparato, a poco a poco, a dare un nome ai suoi sentimenti e alle sue emozioni, senza paura e senza vergogna. Il primo passo per riprendere a camminare da sola.
     A settembre aveva deciso: avrebbe utilizzato la sua laurea in Giurisprudenza per insegnare Diritto. Sperimentarsi come docente era stata talvolta una possibilità che le era balenata, ma non era mai stata presa troppo sul serio. Ora si era informata e aveva saputo che c’erano cattedre vuote, perché con la sua laurea non si faceva la fila per fare il docente a scuola, mestiere senza gloria e con uno stipendio appena passabile. Daniele, l’ex compagno di liceo a cui lei passava le traduzioni in latino, ora responsabile di un Caf., l’aveva aiutata a preparare i documenti da presentare.  Così a fine ottobre, era arrivato l’incarico: supplente di Diritto al triennio di un Istituto per Geometri. La scuola era ubicata però nella zona opposta alla sua nuova casa. 
      Fu allora che venne ‘scoperta’ la metro: c’era una fermata a seicento metri dal suo appartamento e una a un chilometro circa dalla scuola. Certo, doveva alzarsi prestino. E non farsi influenzare da eventuali intemperie. Ma si poteva fare. Anzi si doveva e si voleva fare. Il ritmo tranquillo del treno alimentava la ripresa serena della sua vita. La sua auto vecchiotta venne usata sempre meno. Solo di sera o la domenica, quando – ahimè – la sua metro si riposava e passava ogni ora. Muoversi in metro le aveva permesso di riscoprire con entusiasmo la città: angoli nascosti, viuzze, odori, percorsi artistici, sfumature di colore nei giardini. 
    E gli alberi, soprattutto. Li guardava anche prima, intuendo in loro quasi una misteriosa paziente saggezza, ma il suo sguardo rimaneva distratto. Un giorno d’autunno una foglia palmata di forma triangolare, con i margini dentellati e di un verde ormai spento, si posò sul suo zaino. Si chiese a che albero appartenesse. Scoprì che era la foglia di un platano, maestoso in primavera ed estate, quasi spettrale in inverno, con la nudità assoluta dei rami che si ergevano sopra i tronchi imponenti, grigi e biancastri.
    Fu presa dall’urgenza e dal desiderio di conoscere gli alberi per nome e cognome. Rifletté che in fondo quello che vale per le persone vale pure per le piante e gli animali: senza un nome, un volto, un cagnolino, un albero rimangono estranei e lontani, confusi nella folla indifferenziata dei loro simili. 
    Nella sua vita precedente, Giulia conosceva a memoria solo codici legislativi, sentenze della Cassazione e tutta la normativa relativa agli immobili e ai canoni di locazione e di vendita. Ora scoprì il piacere di familiarizzare con gli alberi cittadini: oltre ai già noti pini e cipressi, imparò a distinguere i vari tipi di ficus e di palme, a individuare  tigli e ligustri, aceri, carpini e olmi… Si divertì persino a imparare alcuni nomi nella classificazione in latino: ad esempio, il cercis siliquastrum o albero di Giuda, con la sua magnifica fioritura rosa e lilla in primavera, il grande melia azedarach o albero dei rosari, il celtis australis o bagolaro, con la sua fitta chioma.
    Prese tanta confidenza con gli alberi da salutarne alcuni, quando passava loro accanto. Un giorno fu quasi sgamata da un suo alunno: - Professoressa, ma con chi sta parlando?! – le chiese sorridendo. Giulia rispose prontamente che aveva appena chiuso una chiamata al cellulare. Il berretto che le copriva le orecchie impedì ad Enrico di vedere che non c’era alcun auricolare col quale potesse ascoltare alcunché.
    Intanto le era tornata la voglia di fare progetti per il futuro. 
Di viaggiare, ad esempio. Per luglio programmò con Silvia un viaggio in treno a Lisbona, viaggio che sarebbe durato circa due giorni. Non sarebbe partita di notte, come il professore Gregorius, il docente svizzero di lingue antiche, protagonista del romanzo che l’aveva commossa e l’aveva invogliata a scegliere Lisbona come meta di viaggio, dopo la sua ‘ripartenza’. Ma il treno sì, la scelta del mezzo l’avrebbe accomunata al professore del romanzo. E in treno avrebbe ammirato i paesaggi che separavano la sua Italia dall’Atlantico.
     Silvia era entusiasta della meta! Giulia si era già innamorata dei nomi delle quattro linee della metropolitana della capitale portoghese: la lihna Azul (linea blu), chiamata anche linea del Gabbiano, la gialla, verde e rossa, note rispettivamente come linee del Girasole, della Caravella e dell’Oriente.
    Intanto anche quell’anno scolastico aveva imboccato il secondo quadrimestre, subito dopo gli scrutini di febbraio. Giulia, come gli alunni, contava le settimane mancanti per le vacanze. In metro, durante il tragitto casa-lavoro, rivedeva qualche dettaglio delle lezioni, leggeva, guardava cielo e case, quando il trenino emergeva dal ventre della città. E spesso si divertiva a scrutare i suoi simili, osservando soprattutto scarpe e calzini, giocando a interpretare il loro carattere da come rivestivano i loro piedi.
Una mattina, mentre era concentrata nel contemplare gli stivali di una sua coetanea – come farà a camminare velocemente con quei tacchi e a non perdere la metro? –  una voce gentile interruppe il filo dei suoi pensieri:
- Ma noi ci conosciamo… dove ci siamo già visti?
La voce proveniva da uomo che indossava scarpe da ginnastica anonime e scure, jeans e un giaccone color grigio topo. Giulia lo squadrò rapidamente: quarantenne o poco più, forse un po’ più basso del suo metro e settantadue, occhi castani sorridenti dietro un paio di occhiali metallici, tanta barba, a compensare i non folti capelli. Le mani erano appoggiate su una bici.
- In effetti, anche a me pare di averti già visto…
- Borsa di studio all’Università?
- Acqua, acqua… - rispose Giulia, che ormai stava al gioco
- Eppure sono certo di conoscerti e credo che ci siamo visti anche più di una volta – riprese l’uomo, con tono convinto
- Magari siamo andati anche cena insieme, e non ce lo ricordiamo! - gli fece eco lei, sorridendo. Il tono divertito di Giulia non scalfì la determinazione dell’indagine conoscitiva dello sconosciuto.
- Mi chiamo Leonardo… quindi niente Università, ma forse sei una collega…
- Da un paio d’anni sono supplente in una scuola. Prima però ho lavorato in un’agenzia immobiliare…
- Ecco dove ti ho vista! Sei la tizia che qualche anno fa ho incontrato all’agenzia in viale Francia! Quella che cercava di farmi capire che l’acquisto del trivani nel centro storico non sarebbe stato proprio un affare, perché c’erano l’impianto idrico e i pavimenti da rifare – esclamò con un largo sorriso Leonardo. Che continuò: - Il tuo collega, allora, forse non la prese benissimo…
    Giulia si ricordò di botto la scena: Leonardo era il potenziale cliente a cui lei aveva esposto con estrema onestà le condizioni precarie di un immobile in vendita a un prezzo stracciato. Allora Mattia e i colleghi le avevano fatto capire che aveva un po’ esagerato, con la cosiddetta deontologia professionale.
- Io sono Giulia: dopo averti dato la dritta sulle magagne di quella casa mi hanno licenziata – disse ridendo di cuore e raccogliendo lo zaino – Ora insegno Diritto all’Istituto Tecnico per Geometri… scenderò alla prossima.
- Allora saremo colleghi nella stessa scuola! – esclamò Leonardo piacevolmente sorpreso – Forse l’anno prossimo riuscirò a insegnare Musica al Conservatorio, ma intanto da oggi mi accontento di una supplenza come docente di Lettere dagli aspiranti geometri! - 
- Possiamo fare strada assieme! – soggiunse davvero contento, mentre toglieva la bici dagli appositi paletti di sostegno.  
     Chissà se potremo fare altre strade insieme – pensava intanto Giulia tra sé, con un’inattesa folata di speranzosa allegria…
     Nel cielo, prima gonfio di nuvole grigie, occhieggiavano ora squarci inattesi di azzurro".

Maria D'Asaro

martedì 13 febbraio 2024

A/R: Andata e Racconto...

(continua da qui

(...) Un paio di settimane dopo, la discussione sulla crociera era stata ripresa durante l’apericena in compagnia di Chiara, cugina e amicona di Mattia, e di Andrea, il suo fidanzato. Si era parlato di ferie e di progetti per le vacanze e Mattia era tornato alla carica con l’idea della crociera, che aveva provocato gridolini di consenso da parte di Chiara: - La crociera di lusso! Grande! Una vacanza con i fiocchi! – Giulia si era sentita accerchiata. Aveva comunque espresso debolmente il suo punto di vista, dicendo che avrebbe preferito una vacanza diversa, magari in treno alla volta di Madrid o Lisbona.
- E perché non a piedi? Una sorta di pellegrinaggio! – aveva incalzato Andrea, sorridendo. 
- O in autostop, come una volta - aveva continuato Chiara. Mattia si era unito al coro e Giulia era rimasta all’angolo, dipinta a metà tra una ecologista dura e pura o una figlia dei fiori fuori target.
     La discussione sulla vacanza futura fu il primo scricchiolio del loro quasi decennale legame. E dire che un anno prima avevano persino pensato di sposarsi e fare un figlio… La crociera fu comunque prenotata, senza troppo entusiasmo reciproco.
     Ma il colpo di grazia alla loro convivenza arrivò pochi mesi dopo, quando Chiara, in un assolato pomeriggio di fine giugno, passò a salutare Giulia all’agenzia immobiliare, dove lei lavorava con Mattia e altri colleghi. 
-  Mattia non c’è?
-  No. È andato a mostrare a dei clienti un appartamento in via Cavour.
- Con Simona? – aggiunse Chiara con un lampo nello sguardo. 
- Sì... Simona abita lì vicino, così poi torna a casa senza ripassare dall’ufficio
- Certo, certo… - 
   Chiara abbassò il tono per non farsi sentire da Roberto e Michela, i due che lavoravano in ufficio con Giulia. E soggiunse, con un sorrisetto malizioso e una punta di compassione: - Al tuo posto farei più attenzione alle missioni congiunte di Simona e Mattia… -
Nelle settimane successive, Giulia capì che l’insinuazione di Chiara non era infondata. Mattia ammise senza remore e sensi di colpa che Simona era diventata per lui qualcosa di più di una collega affiatata. Si lasciò andare anche a un’inutile e non richiesta prolusione sul logoramento della loro relazione e sul fatto che aveva bisogno di nuovi stimoli…
A settembre ovviamente niente crociera. La mancata partecipazione costò lacrime, rimpianti e una penale salata. A ottobre Giulia fu costretta a fare i bagagli, perché la bella casa in centro era di proprietà di Mattia. Aveva trovato comunque un appartamento decente in periferia, al penultimo piano, con una bella vista su un piccolo parco cittadino.
    Dopo Natale, un’altra importante decisione: lasciare il lavoro, che comunque non l’aveva mai entusiasmata. Ormai la convivenza in ufficio con Mattia e la sua nuova compagna era impossibile da sostenere. Giulia si trovò ad affrontare tristezza e sconforto per il fallimento della relazione, con il fardello di una solitudine non scelta, insieme all’incognita di un nuovo lavoro tutto da inventare. 
   Come se non fosse bastato, al solito sua madre non la incoraggiava. Continuava a ripeterle che aveva sbagliato, anni fa, a non sposare Mattia: – Non eri pronta… Ma pronta a che, se stavate insieme da anni? Se ti fossi sposata, avresti ora diritto agli alimenti e alla casa… invece eccoti in questa condizione precaria… -
   Ma non era l’incognita della momentanea mancanza di lavoro a far soffrire Giulia: con i suoi risparmi poteva cavarsela per un po’ di tempo. Il suo vero problema era il senso di vuoto, che le impediva spesso di dormire… Gli amici, prima condivisi con Mattia, ormai li frequentava assai poco. Non aveva fratelli; c’era solo Silvia, l’amica del cuore che l’ascoltava in silenzio, l’abbracciava con affetto e si inventava ogni tipo di battuta per farla sorridere. Ma non poteva bastare. Giulia sentiva il peso del suo fallimento esistenziale. Era dura continuare senza un abbraccio, senza un progetto, senza lavoro. 
   l’ennesima notte in bianco, si rese conto che aveva bisogno di aiuto. Chiese a Silvia il numero dello psicoterapeuta che avevano visto insieme alla presentazione di un libro, un professionista che allora gli era sembrato umile, garbato, con uno sguardo buono e accogliente. Lo chiamò e prese un appuntamento. Intanto, aveva una parcella abbordabile…
(II puntata. continua qui..)

Racconto proposto dalla scrivente al concorso:  A/R Andata e …Racconto, Edizione 2023 ideata da Ferrovie dello Stato Italiane  e dal Salone Internazionale del Libro di Torino)

domenica 11 febbraio 2024

"L'ex ILVA continua ad uccidere"

         Palermo – Mentre il Governo nazionale è in cerca di soluzioni per il futuro dell’ex ILVA di Taranto, la più grande acciaieria d’Europa, il 17 gennaio scorso medici tarantini di varie specializzazioni hanno inviato una lettera/appello alla premier Giorgia Meloni: “La fabbrica – hanno scritto i medici - lascia dietro di sé una scia di morti a causa dell’inquinamento di suolo, aria ed acqua. Gli ultimi studi epidemiologici (tra cui lo studio "Sentieri", da poco aggiornato), in questi decenni hanno messo insieme migliaia di dati su mortalità e ospedalizzazioni. Taranto ha morti in eccesso per tutti i tumori maligni, del fegato, respiratori. E anche nei tumori infantili.”
    I medici, dunque, si appellano al governo nazionale perché, oltre e prima dell’eventuale rilancio industriale dell’acciaieria, si pensi innanzitutto allo stato di salute dei cittadini. 
A Taranto si verificano inoltre Disturbi del neuro-sviluppo in eccesso rispetto alla media e, secondo uno studio dell'Istituto Superiore di Sanità condotto con le ASL locali, anche un abbassamento di 14 punti del Quoziente Intellettivo. Rispetto ad altri territori, ci sono poi maggiori diagnosi anche di malformazioni alla nascita, e un maggior numero di ospedalizzazioni, che aumentano con l'avvicinarsi delle abitazioni e delle scuole alla fabbrica.
    Ecco cosa ha dichiarato a tal proposito, in un’intervista al TG scientifico Leonardo, la dottoressa Maria Grazia Serra, dell’Associazione Medici per l’Ambiente: “C’è un aumento dei linfomi e delle leucemie e l’età in cui si verificano è sempre più bassa. É un dato veramente preoccupante. Ma soprattutto la cosa importante è che c’è un aumento dei disturbi dello spettro autistico e questo ci preoccupa molto”.
    I medici hanno evidenziato inoltre il problema dei limiti tollerati di tossicità per i metalli pesanti o le emissioni inquinanti come l'anidride solforosa, limiti che sono tarati su adulti maschi di 80 chili, non su neonati di neanche quattro... 
    “Non esiste un limite al di sotto del quale un inquinante non sia tossico. Ma che questo debba essere uguale per bambini e individui adulti è inaccettabile. – ha ribadito la dottoressa Serra - Dal 1998, come scritto allora persino nella Gazzetta Ufficiale, Taranto era stato dichiarato sito di bonifiche urgenti. Invece queste bonifiche non le abbiamo mai viste, abbiamo visto soltanto aumentare le malattie e, purtroppo, abbiamo visto aumentare le problematiche di salute nell’infanzia.
     Noi medici siamo il termometro della salute a Taranto ed è un dovere del governo ascoltare quello che noi abbiamo da riferire. Poi il problema deve essere risolto tecnicamente, su questo non ci sono dubbi, però non si può prescindere assolutamente dallo stato di salute dei cittadini. I medici hanno una responsabilità deontologica sulla salute dei cittadini: per questo chiediamo di essere ascoltati.”
    A sostegno dell’appello dei medici, si ricorda, infine, che persino le Nazioni Unite hanno classificato la città di Taranto come ‘zona di sacrificio’ per i livelli altissimi di inquinamento. 
All’inizio degli anni ’90, un’associazione italiana tentava di coinvolgere gruppi e famiglie in scelte etiche sostenibili con lo slogan “Quando l’economia uccide, bisogna cambiare”. Che questa innegabile verità, a partire dall’appello dei medici, possa farsi strada nelle Istituzioni politiche affinché sia restituito ai tarantini il diritto alla salute. 

Maria D'Asaro, il Punto Quotidiano, 11.2.24

venerdì 9 febbraio 2024

A/R: Andata e Racconto

     "Uno, due, tre, quattro, cinque… trentotto, trentanove, quaranta.  
     Giulia li aveva contati: nella stazione più vicina a casa sua, erano quaranta gli scalini che portavano ai binari della metro. 
   Metro non sarebbe stata però la parola appropriata. Più che di una metropolitana, si trattava infatti di un treno che, ogni trenta minuti, collegava la stazione centrale all’aeroporto: in tutto diciotto fermate, una dozzina in città e quattro o cinque fuori. 
     Ma per Giulia quella era la Metro: sto prendendo la metro… arrivo tra cinque minuti con la metro… ormai preferisco muovermi in metro…Si esprimeva così, con colleghi e amici. E mentre pronunciava la frase, per una frazione di secondo indugiava sulla parola ‘metro’ per scandirne meglio il suono e assaporare una sorta di compiacimento privato, misto a contentezza ed orgoglio.
     Perché ormai, per muoversi in città, Giulia prendeva la metro ogni giorno. La considerava quasi il suo mezzo di trasporto personale.  Da qualche tempo si era convinta che non aveva il diritto di viaggiare in auto da sola e si sentiva a posto con sé stessa se, per i suoi spostamenti, non immetteva anidride carbonica nell’aria. Non aveva ancora quarant’anni, era una buona camminatrice, con un po’ di buona volontà poteva conciliare il trenino anche con i suoi orari di lavoro. Certo, sarebbe stato davvero perfetto se le corse fossero state magari ogni venti minuti. Era comunque una gran comodità non rimanere intrappolata nel caos del traffico cittadino e non dovere cercare posteggio.
    E poi, mentre percorreva le scale in entrata o in uscita, oppure mentre sul treno ascoltava la voce registrata che informava in italiano e in inglese destinazione e fermate, volava spesso con l’immaginazione e sognava di essere in una metro vera, in viaggio verso le agognate Parigi e Lisbona, o di nuovo a Mosca, Amsterdam, Londra, Vienna, Berlino… città conosciute ed amate. 
    Restava allora, per lunghi istanti, avvolta nella meravigliosa sensazione di essere ancora in una città straniera, partecipe appassionata di un pezzo di Storia che si offriva al suo sguardo. Magari a Berlino, al Checkpoint Charlie, nei pressi del Muro, accanto ai volti di quelli che erano morti nel vano tentativo di scappare…  Ripensava, ad esempio, alla storia incredibile di Winfried Freudenberg, l’ingegnere trentaduenne che, nove mesi prima della caduta del muro, aveva tentato la fuga da Berlino est con una mongolfiera costruita con le sue mani… 
    Rivedeva la grande Russia, dove tutto era smisurato, come l’oro che ricopre le cupole delle chiese ortodosse, con il cielo pieno di bagliori dorati; smisurato come l’odio di Pietro il Grande per la sorella Sofia; infinito come il territorio interno costellato da tante betulle; immenso come il valore dei capolavori racchiusi all’interno dell’Ermitage, a san Pietroburgo… 
    Giulia amava viaggiare. Soprattutto in treno, il mezzo che le permetteva di cogliere meglio un pezzo di anima dei luoghi che visitava.
   Certo, quando pensava alle sue scelte ambientaliste, sentiva ancora un’impercettibile fitta al cuore: la fine della sua storia con Mattia, lo ricordava bene, era cominciata circa quattro anni fa, la sera di un marzo piovoso, proprio con un battibecco sulla tutela dell’ambiente.
    - Giulia, sto prenotando una crociera per le vacanze: Mediterraneo e tanto Egitto, va bene? –  esordì Mattia all’improvviso. 
Silenzio.
- Cosa è che non va? – aveva chiesto Mattia, contrariato dalla mancata immediata esultanza alla sua proposta.
- Sai bene che preferisco l’Europa del nord, le grandi città. E poi – soggiunse abbassando un poco il tono di voce - mi sono documentata sull’impatto ambientale di una crociera… preferirei soluzioni alternative.
- Non starai per caso diventando un’illusa come quelli che pensano di salvare il mondo con le proprie insignificanti scelte personali… – l’aveva canzonata Mattia, non prendendola troppo sul serio. 
    Per quella sera la discussione era finita: la vacanza andava programmata per settembre, c’era ancora tempo per parlarne.
      Mattia non l’aveva presa troppo sul serio, ma Giulia, spinta dalle argomentazioni accorate dell’ormai celebre ragazzina svedese, si era documentata per conto suo e, giorno dopo giorno, aveva preso a cuore la questione ambientale, tanto da decidere di fare la sua parte. Il suo compagno non si era fatto coinvolgere più di tanto; la invitava anzi a non complicarsi troppo la vita, quando lei gli aveva detto che adesso cercava di fare la spesa in modo diverso: preferiva prodotti di stagione e a chilometro zero, prestava attenzione alle etichette e al volume degli imballaggi; si era anche impegnata a ridurre il consumo di carne e di pesce."

                                            (I parte. Continua qui e qui ...)

Racconto proposto dalla scrivente al concorso:  A/R Andata e …Racconto, Edizione 2023 ideata da Ferrovie dello Stato Italiane  e dal Salone Internazionale del Libro di Torino)

mercoledì 7 febbraio 2024

Alex e Petra, il peso di 'portare' la speranza...

       Giovedì 8 febbraio 2024, dalle ore 18.30 alle 20, alla Casa dell’Equità e della Bellezza, a Palermo in via Garzilli 43/a, la scrivente proporrà un momento di meditazione condivisa a partire dalla sua lettera ad Alex Langer pubblicata nel testo “Una sedia nell’aldilà” (Diogene Multimedia, Bologna, 2023) 
     Si rifletterà insieme, in particolare, su "Il peso (e la necessità) di essere, ieri come oggi, Hoffnungsträger, portatori di speranze".

E' possibile essere oggi portatori di speranza senza una ontologia certa, in mezzo a guerre, violenze inaudite, baratro ecologico, evanescenza dell’etica e dei legami umani?

Si propone intanto lo stralcio di un articolo di Alex Langer, dedicato a Petra Kelly: 

Petra Kelly
      “A Petra Kelly più che a chiunque altro spettava anche individualmente l’appellativo col quale i «Grünen» nel loro insieme spesso erano stati caratterizzati: «Hoffnungsträger», portatori di speranze collettive. La giovane e minuta ex funzionaria socialdemocratica della Comunità europea (…) con foga quasi religiosa e con enfasi profetica aveva proclamato alcune verità semplici, ma difficili da tradursi in politica: che la pace si fa togliendo di mezzo le armi e gli apparati militari, che i diritti umani e di tutti gli esseri viventi non possono sottostare ad alcuna ragione di stato ed hanno carattere assoluto, che l’umanità deve optare se accelerare la corsa al suicidio (ed eco-cidio) o se preferisce un profondo cambiamento di rotta, magari doloroso per qualche rinuncia nel breve periodo, ma anticipatore di una nuova e più ricca qualità della vita. (…)
    Forse è troppo arduo essere individualmente degli «Hoffnungsträger», dei portatori di speranze: troppe le attese che ci si sente addosso, troppe le inadempienze e le delusioni che inevitabilmente si accumulano, troppe le invidie e le gelosie di cui si diventa oggetto, troppo grande il carico di amore per l’umanità e di amori umani che si intrecciano e non si risolvono, troppa la distanza tra ciò che si proclama e ciò che si riesce a compiere. (…)
                                                                              
   Alex Langer (da “Il Manifesto”, 21/10/1992)


domenica 4 febbraio 2024

Perfect days: il film perfetto di Wenders?

     Palermo – Perfect days, l’ultima pellicola di Wim Wenders nelle sale italiane dal 4 gennaio scorso, è entrata nella prestigiosa cinquina dei film stranieri candidati all’Oscar, insieme a Io Capitano di Matteo Garrone, al britannico Zone of Interest, allo spagnolo La società della neve e al tedesco The Teachers' Lounge
      Perfect days sta riscuotendo un grande successo di pubblico, incantato dalla vita semplice del protagonista Hirayama, che compie piccoli gesti quotidiani: alzarsi presto, guardare il cielo, vestirsi, annaffiare alcune piantine, bere un caffè… prima di andare a pulire i bagni pubblici di Tokyo. 
     Hirayama appare sereno, persino lieto nello svolgere con cura il suo lavoro, durante il quale presta comunque attenzione alle persone che gli passano accanto: riconsegna alla madre un bambino che si era smarrito in un bagno, saluta una ragazza triste che fa lo spuntino di mezzogiorno accanto a lui, è generoso verso il collega che gli rivela i suoi sentimenti e desideri, accoglie per qualche giorno nel suo minuscolo appartamento la nipote in fuga dal mondo.
         A cosa deve Hirayama la sua condizione di serenità? 
     Il protagonista non è uno dei tanti poveri senza nome del pianeta, non è un perdente: la sua vita umile ed essenziale è frutto di una scelta personale, non uno scherzo del destino. Da alcune scene del film, si capisce infatti che ha deciso di lasciarsi alle spalle una famiglia ricca, come un novello san Francesco d’oriente…
    Inoltre, nello scorrere uguale dei gesti e delle giornate, Hirayama ha una sua centratura e un ricco mondo interiore: ama la musica delle vecchie musicassette, colonna sonora degli spostamenti quotidiani col furgoncino dalla casa in periferia al centro della capitale giapponese; con una vecchia macchina fotografica, ama fotografare gli alberi e la luce cangiante che filtra dai rami; ama leggere buoni libri la sera, prima di dormire.
Se infine si sottolinea la sceneggiatura assai suggestiva e che Koji Yakusho, l’attore che interpreta il protagonista, ha una recitazione inappuntabile - non a caso è stato premiato a Cannes - si potrebbe concludere che si tratta quindi di un film ‘perfetto’… 
     Un’informazione, appresa da Wikipedia, ha indotto però chi scrive a considerare Perfect days in modo un po’ diverso: commissionato al regista nel 2018 dal quartiere di Shibuya, uno dei 23 di Tokyo, il film doveva essere in origine solo un documentario sui bagni pubblici della capitale giapponese. L’amministrazione di Shibuya aveva infatti l’obiettivo sia di screditare l'immaginario collettivo secondo cui i bagni pubblici sono luoghi brutti e sporchi sia quello di pubblicizzare l’iniziativa della Fondazione Nippon (organizzazione benefica che in Giappone si occupa anche di welfare) per la Tokyo Toilet Project: il progetto di creare una serie di spazi per tutti in una delle aree più frequentate della capitale.
A partire dal documentario, Wenders ha poi invece realizzato una bella pellicola cinematografica, operando una sorta di ‘spostamento gestaltico’ del punto di vista: i bagni pubblici, da ‘figura’ sono diventati ‘sfondo’, sfondo comunque ben visibile della narrazione, con il protagonista Hirayama che diviene invece ‘figura’ in primo piano.
   La trasformazione da documentario a film spiegherebbe però l’eccessiva ripetizione delle inquadrature, un certo ‘formalismo’ estetizzante, una trama quasi inesistente. 
Wenders realizza comunque un film ‘poetico’, che vuole comunicare agli spettatori un messaggio preciso: una filosofia esistenziale minimalista, alternativa allo sconquasso consumista e alla ricerca a ogni costo di ricchezza e potere. Se ci si pensa, niente di nuovo: Wenders, partendo dal design dei cessi di Tokyo, con il suo film di successo, ci ricorda una verità che Gesù Cristo, san Francesco e ancora prima i buddisti, ci raccomandano da tempo: beati i poveri in spirito, beati i miti, beati i misericordiosi… 
    Senza illuderci troppo però: come scrive nel suo blog Franco Battaglia, da competente cinefilo, la gentilezza tanto osannata da Wenders ci può mettere su una buona strada, “ma non si sa quanto riesca a contagiarci davvero, se essa non siede già accanto a noi, ospite fissa”.

Maria D'Asaro, il Punto Quotidiano, 4.2.24

venerdì 2 febbraio 2024

Ora


Si muore

Senza amore

Senza sguardi

Di compassione, di cura

Ora