domenica 29 dicembre 2024

Dal calendario giuliano al gregoriano...

        Palermo - “Trenta giorni ha novembre, con aprile, giugno e settembre; di ventotto ce n’è uno, tutti gli altri ne ha trentuno”: l’arcinota filastrocca ricorda ai bambini quanti giorni hanno i dodici mesi. Però che nel 1582 il mese di ottobre è durato solo ventuno giorni e in Svezia, nel 1753, febbraio solo diciassette. Perché? 
     Facciamo un salto nel passato: sino al 1581 nella vecchia Europa era in vigore il calendario giuliano, chiamato così perché introdotto da Giulio Cesare nel 46 a.C. Tale calendario, che si basava su quello egizio, stabiliva il susseguirsi di un ciclo di quattro anni, formato da tre anni che duravano 365 giorni, e il quarto, bisestile, di 366 giorni, con l’aggiunta di un giorno a febbraio. L’anno solare medio era dunque di 365 giorni e 6 ore. 
    Come sappiamo oggi, in realtà l’anno astronomico dura un po’ meno: se n’era già accorto nel XIII secolo l’astronomo e matematico scozzese Giovanni Sacrobosco, che aveva notato già un anticipo dei solstizi e degli equinozi rispetto alle date previste dal calendario. Nel 1252, gli astronomi a servizio del re spagnolo Alfonso di Castiglia avevano addirittura sancito che l’anno astronomico durava dieci minuti e 44 secondi in meno rispetto a quello del calendario. 
papa Gregorio XIII

     La difformità fra la durata dell’anno ‘giuliano’ e quello astronomico fu considerata insostenibile quando alcuni astronomi verificarono che ormai l’equinozio di primavera avveniva dieci giorni prima; era dunque problematica anche la celebrazione della Pasqua, fissata la domenica successiva alla prima luna piena dopo l’equinozio.
       Papa Gregorio XIII (pontefice dal 1572 al 1585) decise allora di creare una ‘Commissione del calendario’, di cui faceva parte, tra gli altri, il medico e studioso calabrese Luigi Lilio, autore della proposta di calendario che poi fu accolta. Il nuovo calendario fu ‘promulgato’ dal papa nel 1581 con la bolla Inter gravissima, ma la sua applicazione fu rimandata al mese di ottobre dell’anno seguente. 
      Così, la sera del 4 ottobre 1582, gli abitanti di Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Belgio, Paesi Bassi e Polonia-Lituania andarono a dormire per svegliarsi svegliarsi il 15 ottobre: infatti, per riportare la data dell'equinozio al 21 marzo, equinozio che ormai si era spostato al giorno 11 marzo, si stabilì di sopprimere dieci giorni nell’ottobre di quell’anno.
   La transizione tra i due calendari causò situazioni assai particolari: chi morì il 4 o 5 ottobre, attese, sulla carta, dieci giorni per essere sepolto; gli inviti ufficiali da tutti quei Paesi che non avevano ancora adottato il cambio, dovevano specificare a che calendario si riferivano per evitare equivoci. Inconvenienti si verificarono anche per le scadenze relative a processi e pagamenti, che furono rimandate di dieci giorni.
  Il nuovo calendario, detto appunto ‘gregoriano’ perché voluto da papa Gregorio XIII, mantenne gli anni bisestili, con l'aggiunta di un giorno sempre nel mese di febbraio. Per essere più precisi, si stabilì però di diminuire il numero di anni bisestili all'interno di un ciclo di 400 anni, considerando come non bisestili gli anni multipli di 100, ma non di 400 (quindi gli anni 1700, 1800 e 1900 non sarebbero stati bisestili, mentre il 1600 e il 2000 sì).
   La riforma del calendario voluta da Gregorio XIII, negli anni seguenti fu adottata in Europa dagli altri Paesi cattolici. Gli stati protestanti vi si uniformarono invece solo in epoche successive: quelli luterani e calvinisti nel 1700, gli anglicani nel 1752, quelli ortodossi ancora più tardi. 
   In Svezia però successe un gran pasticcio. Nel 1699, il paese decise di passare al calendario gregoriano, ma, per ‘riprendere’ i fatidici 10 giorni, decretò di eliminare tutti gli anni bisestili dal 1700 al 1740, recuperando così un giorno ogni 4 anni: così dal 1º marzo 1740 il calendario svedese sarebbe stato coincidente con il gregoriano. Venne quindi eliminato il 29 febbraio 1700. Però, negli anni successivi, ci si dimenticò di applicare il piano, perché Carlo XII era impegnato nella guerra con la Russia e non furono date disposizioni al riguardo: così sia il 1704 sia il 1708 furono bisestili. Riconosciuta la dimenticanza, si decise di tornare al calendario giuliano. 
   Per recuperare il giorno saltato nel 1700 si stabilì quindi che nel 1712 venisse aggiunto a febbraio un secondo giorno, oltre a quello dovuto perché quell'anno era bisestile: fu così che, nel calendario svedese del 1712, febbraio ebbe 30 giorni!
   Poi, nel 1753, anche la Svezia adottò il calendario gregoriano, togliendo undici giorni a febbraio (dal 18 al 28) perché nel frattempo la differenza tra il vigente calendario giuliano e quello gregoriano era aumentata di un giorno.
   Fuori dall’Europa, in Giappone il calendario gregoriano fu adottato nel 1873, in Egitto nel 1875, in Cina nel 1912 e in Turchia nel 1924. La Russia adottò il calendario gregoriano solo nel 1940, per cui la rivoluzione d’ottobre, avvenuta secondo i libri di Storia il 25 e 26 ottobre 2017, se ci si attiene al calendario gregoriano è accaduta invece il 7 e 8 novembre. 
   Anche oggi, le Chiese ortodosse russa, serba e di Gerusalemme continuano a seguire il calendario giuliano: questo spiega la differenza di 13 giorni tra le festività ortodosse e quelle delle altre confessioni cristiane. 
   Il gregoriano è ormai il calendario ufficiale adottato da quasi tutti i paesi del mondo. Esso stabilisce che l’anno solare dura 365 giorni, cinque ore, quarantotto minuti e quarantacinque secondi. Tale misurazione è considerata abbastanza affidabile, anche se le variazioni nella velocità di rotazione della Terra creano una differenza infinitesimale di circa un giorno ogni 3300 anni, che si potrà risolvere eliminando un giorno da un anno bisestile. 
    Ma è un problema che ci si porrà tra circa 3.000 anni. Ora ci sono ben altre faccende a cui pensare…

Maria D'Asaro, 29.12.24, il Punto Quotidiano

venerdì 27 dicembre 2024

Fra le righe: sotto l'icerbeg...

      "Il famoso principio dell’iceberg non è un’invenzione di Hemingway, ma una verità universale che si applica al processo della scrittura così come a quello della traduzione. A lui, tuttavia, va il merito di averlo nominato e trascritto. Parlando di The old man and the Sea in una famosa intervista rilasciata a George Plimpton per la «Paris Review», Hemingway affermava: Io cerco sempre di scrivere secondo il principio dell’iceberg. I sette ottavi di ogni parte visibile sono sempre sommersi. Tutto quel che conosco è materiale che posso eliminare, lasciare sott’acqua, così il mio iceberg sarà sempre più solido. L’importante è quel che non si vede. Ma se uno scrittore omette qualcosa perché ne è all’oscuro, allora le lacune si noteranno.
Nella stessa intervista Hemingway spiegava che quel breve romanzo avrebbe potuto essere lungo più di mille pagine. Con tutto il materiale che aveva a disposizione, infatti, avrebbe potuto descrivere uno per uno gli abitanti del villaggio, raccontare come sbarcavano il lunario, come erano nati, se avevano studiato, avuto figli, eccetera. Ma queste cose erano state fatte benissimo da altri, e nella scrittura si è sempre limitati da ciò che altri hanno già fatto in modo soddisfacente prima di noi.
Per questo lui aveva cercato di fare qualcosa di nuovo, cominciando con l’eliminare tutto ciò che non serviva a comunicare un’esperienza diretta al lettore. Le cose che aveva visto – l’accoppiamento dei marlin, i branchi di capodogli – e sentito narrare – le storie dei pescatori – erano rimaste fuori dal racconto, ma solo in apparenza: in realtà erano andate a formare la parte sommersa dell’iceberg.
È facile vedere come questo principio si applichi alla scrittura in generale, ma anche al mestiere della traduzione: quello che arriva sulla pagina è solo un ottavo dell’iceberg, la parte che affiora in superficie, mentre i sette ottavi rappresentati dagli studi, dalle ricerche, dai dubbi e dai ripensamenti avvenuti in corso d’opera rimangono nascosti sotto il testo, pur essendo indispensabili alla sua esistenza. Con un autore come Hemingway, che nasconde tanto sotto la superficie della sua narrazione, questo processo diventa ancora più evidente". 

Silvia Pareschi Fra le righe il piacere di tradurre Laterza, 2024 pp. 85, 86, 87

Fra le righe è un testo intrigante sulla scrittura, sulle traduzioni e su tanto altro. 
Conto di recensirlo appena possibile.
Silvia Pareschi è autrice, tra l'altro, del libro I jeans di Bruce Springsteen (recensito qui
Ernest Hemingway

Silvia Pareschi, traduttrice




domenica 22 dicembre 2024

Ma è davvero così magico il Natale?

     Palermo – Di cosa è capace una grande scrittrice come Natalia Ginzburg? Secondo Domenico Scarpa, critico letterario che conosce a fondo le sue opere “del prodigio per cui, partendo da una verità che sapevano tutti, si arriva a una verità che sa solo lei, anzi, che solo lei sa dire: perché difatti un istante dopo che l’ha detta lei, ognuno si accorge che la sapeva da sempre, che la sapeva ma che non sarebbe mai stato capace di dirla così”.
       Pubblicato dalla Ginzburg su La Stampa nel lontano dicembre 1971 (e riprodotto nella raccolta Vita immaginaria), ecco una sintesi del suo scritto dal titolo Magico Natale, straordinariamente vivo ed attuale.
Avendo io avuto pochi giocattoli nell’infanzia ed essendo cresciuta in una famiglia dove si dava poca importanza alle feste e alle tradizioni, ho custodito in me a lungo l’idea di un Natale prezioso, celebrato e felice, idea ogni anno, nell’infanzia, delusa e distrutta; che forse per questo ogni anno a Natale mi butto a comprare giocattoli e regali splendendo moltissimi soldi e sentendomi subito in colpa. 
Inoltre mi chiedo: cosa diavolo inventeranno nei prossimi Natali quelli che fanno i giocattoli dato che hanno l’aria di non sapere più cosa inventare e cosa vendere e la fantasia di chi inventa giocattoli è sempre più monotona e povera; se sono io sola a trovare le feste fosche e faticose per la mia vecchiaia, pessimismo e malinconia o se sono fosche e faticose per tutti.
Penso però che devono essere fosche e faticose per tutti dato che tutti usano lamentarsene, lamentarsi delle feste è diventato ormai un luogo comune. Forse il Natale andrebbe celebrato da chi è religioso semplicemente andando in chiesa ma non facendo nessuna delle cose che tutti, religiosi e non religiosi, ci sentiamo inesplicabilmente costretti a fare.
Intanto ronzano e cantano nelle nostre orecchie parole che abbiamo sentito alla televisione, «magico Natale», esse ronzano dentro di noi con voce virile, sospirosa e misteriosa e noi troviamo che il nostro Natale non è affatto magico. 
Noi usciamo nella città a comprare dei regali per alcuni amati bambini. Ogni anno ci eravamo proposti di provvedere a questo a novembre, ma ogni anno ci riduciamo a farlo nei giorni intorno a Natale quando la città è invasa da fiumane di gente che si è prefissa di comprare giocattoli. Simile operazione che potrebbe essere in sé innocente e potrebbe essere lieta diventa nelle feste natalizie un’operazione elefantesca e affannosa. (…)
Mentre camminiamo per la città con le braccia ingombre dei nostri errori, con i polsi segati dallo spago, abbiamo la sensazione che la gente che riempie le strade sia oppressa dalla stessa identica coscienza: di portare a casa un carico di inutili e costosi errori e che il pessimismo sia il contenuto reale di tutti i nostri pacchi. Abbiamo la sensazione che ognuno provi una repulsione profonda per i negozi, le vetrine e le strade e più ancora profonda per gli oggetti che porta a casa con sé. (…)
Ricordando oggi i Natali della mia infanzia, penso però che esistesse allora nell’universo un’idea della felicità universale, che cioè la gente allora potesse immaginare la felicità, mentre oggi la felicità è diventata inimmaginabile.
Per questo allora aveva un senso celebrare le feste, perché celebrando le feste si pensava a una felicità possibile anche se remota da tutti e non situata in nessun luogo. Oggi la felicità universale noi ci sentiamo totalmente incapaci di rispecchiarla nel nostro pensiero. Quello che abbiamo perduto non è il paradiso sulla terra, che non esiste e non c’è mai stato, ma un’immagine di felicità dai contorni chiari, alla quale la gente si riferiva nelle sue speranze e che le feste sembravano evocare e far fluttuare al di sopra di noi.”
     Qual è la differenza con l’oggi, cara Natalia? Certo, ora la ressa per l’acquisto è magari on line, le strade sono intasate di corrieri, e i nostri polsi non sono così segati dallo spago, ma i nostri polpastrelli sono sfiniti per rispondere alla marea di auguri su WhatsApp
   Però anche noi siamo qui a cercare, forse più di ieri e più disperati che mai visto l’andazzo generale, un’idea della felicità universale, un’immagine di felicità dai contorni chiari, che includa e contempli pace, giustizia e dignità sociale per tutti. Invece assistiamo, sconfitti e impotenti, a conflitti armati che fanno morire centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini; mentre in Italia – è l’ultima rilevazione Istat ad affermarlo - nell’ultimo anno la povertà assoluta ha coinvolto il 9,7% della popolazione italiana, circa cinque milioni e 700.000 persone, e oltre un milione di bambini soffrono di gravi privazioni economiche. 
     Ipotizzare e magari sognare anche solo una pallida e tremula idea di felicità universale è oggi davvero difficile, quasi impossibile. 
     Nessuna magia, cara Natalia. Anche se, ieri come oggi, ne avremmo un disperato bisogno.

Maria D'Asaro, il Punto Quotidiano, 22.12.24

giovedì 19 dicembre 2024

Ascolta, mia cara...

                “Ascolta mia cara,
   non sottovalutare mai la resistenza di una vecchia saggia. La vita può dilaniarla o trattarla ingiustamente, ma lei possiede un’altra anima, un’anima primaria, fulgida e incorruttibile sotto l’anima assediata, un’anima luminosa che rimane sempre intatta. 
    Sotto il soprabito certamente nasconde ali lunghe sei metri, e nella sua grande tasca una foresta ripiegata. Sotto il letto potrebbe tenere pantofole delle sette leghe in lamé dorato. E, attraverso le lenti dei suoi occhiali, vedrà quasi tutto ciò che può essere visto. Il tappetino davanti al fuoco potrebbe davvero spiccare il volo da un momento all’altro. 
    E il suo scialle, una volta aperto, potrebbe adunare i segugi dell’inferno o accendere la più stellata delle notti.
    Ridacchia solcando le onde dei cieli nella metà di guscio del suo cuore infranto. Le piume sollevate, perché ogni giorno impara l’amore. È rapita da qualunque alito di musica. Si prodiga per proteggere l’anima di qualsiasi cosa. Gli uccelli canori le raccontano storie segrete; così ha «l’occhio magico che vede oltre e dietro il presente» (…)

Clarissa Pinkola Estés La danza delle grandi madri Frassinelli pp. 1,2

martedì 17 dicembre 2024

Buon Natale da Alina

     Tra le fortune della sottoscritta c’è quella di avere un’amica speciale, dalle mani d’oro: sa lavorare ai ferri, all’uncinetto, ricama (mezzo punto, punto croce, macramè… non saprei elencare tutte le meraviglie di cui è capace) disegna, decora, crea bellezza dal nulla, sa cucinare: i suoi dolci sono una delizia per la vista e per il palato.  
     Si chiama Alina e non è una casalinga: è una donna dalla solida cultura scientifica (laureata brillantemente in Chimica), già docente di Scienze e Matematica, mia preziosa collega.  E poi Alina è premurosa in ogni suo ruolo (come moglie, come madre di due splendidi ragazzi londinesi d’adozione, come sorella, cognata, cugina, amica... )
    Last but non least: è appassionata di calcio (non si perde una partita del Palermo e della nazionale, segue il campionato inglese e tifa per l’Arsenal), va in palestra tre, quattro volte a settimana. 
Buon Natale con le sue creazioni natalizie.











domenica 15 dicembre 2024

Palermo festeggia i 50 anni della Vucciria di Guttuso

       Palermo – Ballarò, Borgo vecchio, il Capo, la Vucciria: questi i nomi dei più importanti mercati storici di Palermo. La Vucciria, ubicato lungo la via Argenteria, nel centro storico della città, è stato rappresentato in uno dei più celebri quadri del pittore siciliano Renato Guttuso (Bagheria, 1911- Roma, 1987), la cui arte, legata all’espressionismo, ma comunque realistica, fu caratterizzata anche dalla presenza ispiratrice di un forte impegno sociale. Guttuso, tra l’altro, fu eletto per due legislature senatore nelle fila del Partito comunista italiano. 
    La Vucciria di Palermo (questo il titolo del quadro) è un’imponente tela quadrata di tre metri per tre dipinta con colori ad olio: rappresenta uno scorcio dell’omonimo mercato in cui, con una magistrale ricchezza di forme e colori, le figure umane dei venditori e dei passanti si fondono con le ceste di pesce, di frutta, di ortaggi, di uova. Lo spazio a destra è è occupato dalla carcassa appesa di un bovino da cui un macellaio stacca pezzi di carne per la vendita, mentre a sinistra un pescivendolo mostra un grosso pescespada. A livello cromatico, nella parte alta del quadro sono predominanti i rossi e gli arancioni della carne, degli insaccati e della frutta esposta all’interno delle cassette. Nella parte centrale e inferiore i colori diventano più chiari: a sinistra, verso il basso si notano i grigi, il bianco e l’azzurro del pesce pescato. Spicca poi il bianco dell’abito della donna vista di spalle e quello delle uova esposte in una cesta. In basso a destra c’è un tripudio di giallo e verde chiaro di vari ortaggi.
  Nell’insieme, la tela ha una struttura compositiva originale e complessa: lo spazio del dipinto sembra proiettarsi in primo piano e quasi appiattirsi sulla superficie bidimensionale, anche se il senso di una certa profondità è dato dalla presenza delle figure centrali in evidenza. 
La composizione pittorica si stratifica poi attraverso le successioni dei contenitori dei prodotti disposti su fasce verticali verso l’alto, suggerendo il senso del movimento e di una confusione ordinata che rende perfettamente l’atmosfera del mercato palermitano. La Vucciria, dipinta da Guttuso nel 1974, con la sua vivacità cromatica e la potente forza espressiva ‘parla’ davvero della città e della Sicilia.
   Anni fa il dipinto è stato donato al palazzo palermitano Chiaramonte-Steri, che si trova a piazza Marina. Chiamato dai palermitani semplicemente ‘lo Steri’, è uno dei tanti splendidi palazzi storici del capoluogo siciliano: sede dell’Inquisizione dal 1600 al 1782, fu restaurato negli anni ’50 del secolo scorso e dal 1958 è sede del Rettorato dell’Università di Palermo.
   Per rendere omaggio ai 50 anni del capolavoro di Guttuso, l’Università di Palermo ha predisposto una serie di iniziative che, come ha ribadito il rettore Massimo Midiri, vogliono essere anche un’occasione per far conoscere a palermitani e turisti la presenza a Palermo dell’assai ricco e diffuso sistema museale dell’Ateneo, che comprende opere di grande valore. 
In particolare, dal 19 al 22 dicembre prossimo, a Palazzo Steri nella sala Vucciria ci saranno visite d’autore e alcuni eventi, con artisti quali Salvo Piparo, Roy Paci, Donatella Finocchiaro.
   In tale occasione, in collaborazione con il comune di Bagheria - città natale dell’artista distante una dozzina di km. da Palermo - è stato istituito un biglietto unico che consentirà di visitare sia Palazzo Steri che il Museo Guttuso di Bagheria, dove si trovano tante importanti opere del pittore. 
Ma che significa Vucciria? Il termine deriva dal francese ‘boucherie’ che in italiano vuol dire macelleria: il mercato della ‘Bucceria’ nel 1400 era infatti destinato al macello e alla vendita delle carni. Successivamente il macello venne chiuso e la Bucceria divenne mercato per la vendita del pesce, della frutta e della verdura. 
La Bucceria, poi diventata Vucciria, è ormai la parola double-face che designa sia il luogo fisico del mercato sia l’atmosfera che vi regna al suo interno, anche per il gran vociare che si fa solitamente: e quindi baccano, grande confusione, ma anche caos creativo e pieno di energia vitale. Perfetta metafora di un modo di essere siciliani…
 
Maria D'Asaro,  il Punto Quotidiano, 15.12.24




venerdì 13 dicembre 2024

Forse tutto questo

Forse tutto questo
Avviene in un laboratorio?
Sotto una sola lampada di giorno
e miliardi di lampade di notte?

Forse siamo generazioni sperimentali?
Travasati da un recipiente all'altro,
scossi in alambicchi,
osservati non soltanto da occhi,
e infine presi a uno a uno
con le pinzette?



O forse è altrimenti:
nessun intervento?
I cambiamenti avvengono da sé
in conformità al piano?
L'ago del diagramma traccia a poco a poco
gli zigzag previsti?

Forse finora non siamo di grande interesse?
I monitor di controllo sono accesi di rado?
Solo in caso di guerre, meglio se grandi,
di voli al di sopra della nostra zolla di Terra,
o di migrazioni rilevanti tra i punti A e B?

O forse è il contrario:
là piacciono solo le piccole cose?
Ecco: una ragazzina su un grande schermo
Si cuce un bottone sulla manica.

I sensori fischiano,
il personale accorre.
Ah, guarda che creaturina
con un cuoricino che batte dentro!
Quale incantevole serietà
nell'infilare l'ago!
Qualcuno grida rapito:
Avvertite il Capo,
che venga a vedere di persona!

Wislawa Szymborska, La gioia di scrivere, tutte le poesie (1945-2009), 
traduzione a cura di Pietro Marchesani, pag. 543, Adelphi, Milano


mercoledì 11 dicembre 2024

Buon compleanno, Daniela

        Nostra signora non utilizza certo il suo blog per fare gli auguri a destra e a manca, tranne che non si tratti di eventi per lei assai cari quali compleanni o ricorrenze particolari dei suoi gioielli, parafrasando la celebre Cornelia, o di amici davvero unici, come Augusto
        Oggi però gli auguri di buon compleanno vanno a una donna speciale, che nostra signora si dispiace avere conosciuto solo da pochi anni. Una donna lucida, intelligente, colta, determinata. Che sa di cosa parla quando discute di femminismo, di pace, di nonviolenza, di politica, di diritti.  Palermo e la Sicilia dovrebbero essere grate a donne come lei: raggio di luce nel buio dell’indifferenza  per le guerre e le ingiustizie che feriscono l’umanità. Grazie allora a Daniela Dioguardi che, con lungimiranza e resilienza,  ripete che la guerra è frutto della società patriarcale e violenta.  E va bandita dalla Storia.
 Auguri di cuore, cara Daniela.





(Ho parlato di suoi scritti o iniziative anche qui:









Qui il suo magistrale intervento durante la III marcia mondiale per la Pace, il 24/11/24, a Palermo:


martedì 10 dicembre 2024

La danza delle grandi madri

J.Sorolla: Donne che ballano il flamenco al Cafè Novedades di Siviglia - 1919
     "Il compito fondamentale della grande madre non è che questo: vivere la vita nella sua pienezza. Non a metà. Non a tre quarti. Non un giorno da pecora e il giorno dopo da leone. Ma piena vita, ogni giorno. Non secondo la pienezza di un altro. Ma secondo la pienezza determinata dal proprio destino e dalla spontanea volontà che dona la vita e non la affievolisce. (…)
    Una delle mie grandi madri, Viktoria, aveva un cagnolino con la mascella inferiore sporgente che lo faceva sembrare un terribile Cerbero in miniatura ma, in realtà, era dolcissimo.     Mia nonna aveva anche un gattino nero che saltava sui rosari appesi alle maniglie delle porte di tutta la casa… «per quando ho molta fretta di pregare per qualcuno». Parlava al cane e al gatto come fossero persone… «Le creature hanno un’anima, sai» mi ripeteva.
    Quando tutto a un tratto il cane scattava sulle zampe per fiutare una nuova scia nell’aria, pure il gatto prendeva improvvisamente a scorrazzare per la stanza. Allo stesso modo, quando il gatto saltava dall’alto della vecchia radio di celluloide sullo schienale della sedia di mia nonna orlato di centrini, avanti e indietro, il cane lo osservava e si metteva a saltare come un pazzo anche lui, tutto allegro. In quelle occasioni mia nonna diceva che non potevamo non partecipare alla danza. Mi afferrava le manine e compievamo piccoli balzi e saltelli a tempo, secondo il ritmo scandito dalla danza felino-canina. 
    E lei ripeteva: «Quando una vive pienamente, così fanno anche gli altri». E tutti gli animali, noi compresi, tornavamo selvaggi, per pochi semplici attimi. Lei voleva dire che quando una persona decide di vivere la vita il più pienamente possibile, anche i molti altri che le sono accanto «prenderanno fuoco». Nonostante le barriere, le restrizioni e persino le sofferenze, se una persona le supera e vive davvero, anche gli altri vivranno più pienamente, compresi i bambini, i compagni, gli amici, i colleghi, gli estranei, le creature e i fiori. «Quando una vive pienamente, così fanno anche gli altri». 
   È questo l’imperativo principale della donna saggia: vivere in modo tale da ispirare anche gli altri.

Clarissa Pinkola Estés La danza delle grandi madri Frassinelli pp. XIII, XIV, XV

domenica 8 dicembre 2024

Cambiamenti climatici: difficile non crederci

     Palermo – Gli scienziati ce lo ripetono: il riscaldamento globale, dovuto all’enorme aumento dei gas serra in atmosfera, in particolare dell’anidride carbonica, è purtroppo già in atto. Nel marzo 2023, lo ha ribadito anche il sesto rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), l’organismo istituito nel 1988 dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) e dall’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM) per fornire ai leader politici valutazioni scientifiche periodiche sui cambiamenti climatici. La comunità scientifica concorda quindi sul fatto che il cambiamento climatico, causato dalle attività umane, sia purtroppo una realtà. Eppure in tanti continuano ancora a negarne o a minimizzarne l’esistenza e sono ostili a qualsiasi azione che voglia contrastarlo.
    Al Festival della Scienza di Malnisio, in provincia di Pordenone, a fine novembre scorso, la giornalista Greta Durante e il ricercatore Lorenzo Gagliardi hanno comunicato cosa accade nella mente dei negazionisti, sulla base di un progetto di ricerca e divulgazione scientifica realizzato all’Università di Padova presso il Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione. Il progetto, denominato Non è la Zebra, si occupa di scienze del comportamento e di processi decisionali, ed evidenzia le trappole del pensiero che influenzano i giudizi e le previsioni. 
     “Il negazionismo climatico, anche se non è un fenomeno così diffuso, come altri sistemi di credenze anomale, o meglio antiscientifiche, arruola però al suo interno tanti scettici o indecisi, persone dubbiose alle quali bisogna saper comunicare perché possano approcciarsi alla ‘verità’ scientifica – queste le parole di Lorenzo Gagliardi, intervistato da Natascia Gargano per il TG scientifico Leonardo.
    “In particolare – ha proseguito poi lo studioso - sono due le modalità di pensiero che albergano nella mente dei negazionisti: i ragionamenti ‘di pancia’, intuitivi, per cui la persona che si sveglia d’inverno e vede la neve e sente freddo, pensa che d’inverno ha sempre fatto freddo e quindi forse alla fine il surriscaldamento globale non c’è veramente… Quindi c’è una percezione empirica della realtà del momento, che si scontra con quello che invece ci dice la scienza per il futuro. Ci sono poi i pensieri motivati, le posizioni ideologiche che ci spingono a rifiutare l’esistenza del cambiamento climatico perché in un certo senso metterebbe in crisi il nostro sistema di credenze o valori.”
  “Ma quelli che accadono all’interno della mente dei negazionisti sono dei veri e propri errori sistematici di ragionamento, quelli che definiamo con termine tecnico bias cognitivi, i più diffusi dei quali sono i bias di conferma e i bias della disponibilità - sottolinea poi Greta Durante - Quest’ultimo ci porta a formulare giudizi sulla realtà attuale sulla base degli esempi e delle informazioni a noi più facilmente disponibili, perché molto presenti e salienti all’interno della nostra mente. Ad esempio, una persona che sa che negli anni ’50 si sono superati i 40 gradi, se anche adesso accade la stessa cosa, ne deduce che niente è cambiato, che il surriscaldamento globale non c’è perché il caldo è qualcosa che c’è da sempre”. 
    “È molto importante comunque – conclude la studiosa – cercare di non ‘allontanare’ troppo le persone negazioniste, altrimenti si polarizzano sempre di più sulle loro credenze, che per quanto possano sembrare assurde, in realtà sono piuttosto diffuse”.
   Sulla pervasività dello ‘scetticismo’ riguardo ai cambiamenti climatici insiste anche un ampio studio internazionale documentato su Open Science Framework, secondo il quale in 43 Paesi, sui 68 presi in esame, emergerebbe una fiducia minore nei confronti dei ricercatori climatici rispetto a scienziati che si occupano di altro.
    La ricerca sottolinea che tale sfiducia potrebbe indebolire il sostegno alle azioni intraprese dai governi per evitare una catastrofe climatica. Anche in questo caso la comunicazione è fondamentale: in particolare è importante che per diffondere temi legati alla criticità del clima vengano utilizzati divulgatori di cui le persone si fidano, perché percepite come persone che hanno veramente a cuore gli interessi del pianeta.
     E dell’umanità…
Maria D'Asaro, 8.12.24, il Punto Quotidiano

giovedì 5 dicembre 2024

Arrivederci, professore Borgna: grazie di esserci (stato)

      "La fragilità è il nostro destino, certo, ma essa nasce, si svolge e si articola in una stretta correlazione con l'ambiente in cui viviamo, e cioè con gli altri da noi.
     La coscienza della nostra fragilità ... rende difficili e talora impossibili le relazioni umane: siamo condizionati dal timore di non essere accettati, e di non essere riconosciuti nelle nostre insicurezze e nel nostro bisogno di ascolto, e di aiuto.
     La nostra fragilità è radicalmente ferita dalle relazioni che non siano gentili e umane, ma fredde e glaciali, o anche solo indifferenti e noncuranti. Non siamo monadi chiuse, assediate, ma siamo invece, vorremmo disperatamene essere, monadi aperte alle parole e ai gesti di accoglienza degli altri; e, quando questo non avviene, le dinamiche relazionali si fanno oscure e arrischiate: dilatando fatalmente le nostre fragilità e le nostre ferite, le nostre insicurezze e le nostre debolezze, le nostre vulnerabilità."

Eugenio Borgna, La fragilità che è in noi

(Grazie di cuore a Lucia Contessa, dal cui profilo FB ho ripreso il testo che precede)

Ho avuto modo di ascoltare alcune volte il professore Borgna durante collegamenti on line: 
ad esempio durante la presentazione del saggio del prof.Salonia su san Francesco

Eugenio Borgna (Borgomanero, 22 luglio 1930 – Borgomanero, 4 dicembre 2024) è stato uno psichiatra e saggista italiano.
    Come primario di servizi psichiatrici ospedalieri, fin dai primi anni '60 ha adottato metodi di cura che, esorbitando dalla comune prassi clinica, si sono incentrati sul dialogo reciproco e l'ascolto empatico del paziente psichiatrico, non soggetto ad alcuna forma di coercizione, contenzione o imposizione, sperimentando così, per la prima volta in Italia, una nuova maniera di accostarsi alla malattia psichiatrica, più umana, rispettosa e comprensiva del dolore del paziente

    Fu tra i primi, in Italia, che agli inizi degli anni '60 applicano i principi teorici dell'antropoanalisi e della psicopatologia fenomenologica allo studio della malattia mentale. Fra i principali e più significativi esponenti della psichiatria fenomenologica e della psicologia esistenziale in Italia, che pongono al centro della loro attenzione non la malattia in sé stessa ma il paziente, contesta, rigettando ogni forma di riduzionismo biologico, l'interpretazione naturalistica delle patologie mentali che ne ricerca le cause nel malfunzionamento dei centri cerebrali e la sua cura solo attraverso interventi biologici, quali farmaci e terapia elettroconvulsivante. Egli – similmente a quanto asserito da parte di alcuni esponenti della cosiddetta antipsichiatria – riteneva che le malattie mentali, nel senso proprio del termine, non esistono, poiché «non si possono dimostrare».
     Strenuo sostenitore di una "psichiatria dell'interiorità", capace di individuare o cercare di scorgere quella dimensione profonda e soggettiva del disagio psichico, attraverso una prospettiva interdisciplinare che coinvolge discipline e campi eterogenei, quali la letteratura, la filosofia e l'arte, nel tentativo di evidenziarne la dimensione plurima e complessa restituendo così un significato condiviso alla dimensione esistenziale del dolore, condusse interessanti e innovativi studi sulla malinconia, la depressione e la schizofrenia, nonché sui fondamenti epistemologici e metodologici della psichiatria.
     Fu autore di numerosi saggi, nei quali alternò una produzione più specialistica a libri maggiormente divulgativi, uno dei quali ispirato nel titolo da uno dei poeti prediletti, Clemente Rebora (Apro l'anima e gli occhi. Coscienza interiore e comunicazione, Interlinea).
     Sulla sua opera, con interviste, testimonianze e saggi, è uscito in occasione dei novant'anni un numero della rivista "Microprovincia": Eugenio Borgna. Curare con la parola. (da Wikipedia)

(E qui, dalla Pagina FB Centro Veneto di Psicoanalisi, grazie a Anna G. e a Maria Gabriella G.)

"La parola, in psichiatria, può salvare una persona, o può perderla. 
Quasi al di là dei suoi contenuti, sono i modi, con cui la parola è comunicata (i gesti e il silenzio, lo sguardo e le espressioni del volto), a definirne la dimensione terapeutica, o quella antiterapeutica. La parola è esposta a rischi molto alti: è una parola sempre arrischiata; e chiunque sia sommerso, o anche solo sfiorato, da una esperienza umana, che trascini con sé angoscia e tristezza, dissociazione e smarrimento, rivive in sé antenne sensibilissime nel cogliere il senso nascosto delle parole; e ogni parola può essere, di volta in volta, quella decisiva: la parola che crea fiducia, e stabilisce un contatto emozionale (la parola che incrina le solitudini e libera gli aquiloni della speranza nei vortici storditi del vento); ma la parola, anche, che accresce nella sua indifferenza, o nelle sue dissonanze, l'isolamento e la introversione, il dolore e la fuga dal reale." ("Le intermittenze del cuore,2008, p.45)
Eugenio Borgna mancherà a tutti coloro che considerano la clinica come un incontro profondamente umano.  Lo ricorderemo sempre con affetto.  

https://m.youtube.com/playlist...

Su POL.it Psychiatry on line ITALIA è disponibile una lunga playlist di interviste a questo grande maestro della fenomenologia.


martedì 3 dicembre 2024

La dittatura del presente: noi, i nuovi Sumeri

     "Noi viviamo in un eterno presente. Frattalmente, dalla dimensione più ampia e collettiva (l’impossibilità di capire il passato del mondo, si pensi alla cancel culture, o di immaginare il futuro come qualcosa di diverso e non come un presente potenziato) fino alla dimensione personale e corporea (il lifting, i vestiti tutti uguali dai sedici agli ottant’anni, la rimozione della morte) si mostra non la fine della storia (…) ma più radicalmente della nostra possibilità di concepire la stessa storicità delle cose. (…)
    E non si pensi che tutto ciò riguardi un argomento più che un altro, oppure che riguardi soltanto la cultura umanistica, il canone occidentale, la cultura alta. È solo che questi argomenti fanno, ancora per poco, più impressione di altri. Quando Nuccio Ordine scrive «in alcune facoltà o in alcuni dipartimenti, sono addirittura a rischio discipline come la filologia e la paleografia. Questo significa che nel giro di pochi decenni – quando saranno andati in pensione gli ultimi paleografi e gli ultimi studiosi delle lingue del passato – bisognerà chiudere biblioteche e musei e rinunciare, perfino, a scavi archeologici e alla ricostruzione di testi e di documenti» si sente il cigolio di una macchina millenaria che si ferma. Ma se ciò accade è perché è il passato e l’idea di una temporalità più distesa a svanire ormai nelle nostre menti.
    Un piccolo test personalmente condotto. Ho chiesto a dei ragazzi appassionati di calcio, in possesso di una conoscenza dettagliata di formazioni, carriere scolastiche, risultati e trofei, se conoscessero alcuni calciatori. Ho scelto i calciatori tra quelli in attività nel decennio immediatamente precedente alla nascita dei ragazzi, comunque giocatori da nazionale e di squadre di vertice (…). I ragazzi (sedicenni) non ne conoscevano neanche uno. Alcuni di loro volevano diventare calciatori (si può supporre anche per la fama) e non si accorgevano di segare l’albero alla radice.
    Si sia onesti, la contrazione del tempo è semplicemente il tempo del rinnovo e del consumo delle merci che si è fatto totalità della realtà che siamo in grado di percepire. Ci sentiamo dire dal libraio che il libro uscito tre anni fa è vecchio e non può più procurarlo perché il libraio si limita ad applicare al suo ambito la concezione del rinnovo delle merci e del succedersi delle mode che servono a smerciarle. Il sistema economico ha corroso tutte le altre possibili angolazioni di sguardo e pensiero, tutte le altre tradizioni. Sta per restare unico. Essere colti oggi significa riuscire a contrastare concettualmente, almeno per se stessi, la morsa della contrazione del presente”.
    In caso contrario è come se tutti ci stessimo preparando a pensare di essere i primi e gli ultimi uomini. Tutti Sumeri: il popolo che secondo il sumerologo Kramer «considerava gli eventi storici come affacciantisi belli e pronti sulla scena del mondo. Credeva, per esempio, che il proprio paese, questo paese che egli vedeva pieno di città e di Stati prosperi, disseminato di villaggi e di fattorie, ricco già di tutto un sistema perfezionato di tecniche e di istituzioni politiche, religiose ed economiche, fosse sempre lo stesso, dall’origine dei tempi». 
Tutti Sumeri, con qualche giustificazione in meno rispetto a loro",

 Davide Miccione La congiura degli ignoranti Valore italiano, editore Roma 2024, pp.73,74,75

domenica 1 dicembre 2024

La magica Siviglia, capitale dell'Andalusia

      Palermo – Scoperta l’anno scorso la Spagna, grazie a due viaggi a Valencia e a Madrid (qui l’articolo sulla capitale spagnola), per la scrivente è stato subito amore a prima vista. Così a metà ottobre, due settimane prima della disastrosa alluvione che avrebbe colpito la regione valenciana, si è ritagliata alcuni giorni in Andalusia, con prima tappa nella capitale Siviglia.
Sebbene a 12 km dalla città ci sia l’aeroporto San Pablo, in mancanza di un volo diretto da Palermo, chi scrive ha preferito atterrare a Madrid e poi, dalla stazione di Atocha, continuare in treno per Siviglia. Treno che ha rischiato di perdere, perché lei e i familiari sono arrivati due minuti prima della partenza al binario, dove due addette ai controlli dicendo Cerrado, cerrado (chiuso, chiuso) spiegavano che l’accesso ai treni dell’alta velocità va fatto almeno cinque minuti prima della partenza programmata. 
     Sarà stata l’espressione mortificata e contrita della turista italiana, sarà stato il buon cuore delle lavoratrici, fatto sta che comunque le due signore hanno chiamato il capotreno che, non proprio volentieri, ha riaperto le porte e ha permesso al gruppo di partire. La buona sorte, incarnata nella compassione delle addette al controllo, non aveva abbandonato i turisti italiani. 
    "No me ha dejado" ("Non mi ha abbandonato") è proprio la frase che risolve il rebus/logotipo della bandiera del capoluogo andaluso, dove, a caratteri gialli  su fondo rosso, c’è una matassa di filo (in castigliano madeja), simile al numero otto, preceduta da "NO" e seguita da "DO":  appunto NO8DO,  cioè "NO-MADEJA-DO". La frase è tradizionalmente riferita al re Alfonso X, che aveva trovato protezione a Siviglia quando nel 1282 il suo regno era rimasto coinvolto in una guerra dinastica. Nel 1283, il re avrebbe permesso ai sivigliani di inserire questo motto nello stemma cittadino. 
Siviglia non ha deluso le aspettative. 
     Intanto ci sono state belle giornate (primavera e autunno sono le stagioni ideali per visitarla, visto che d’estate fa piuttosto caldo), inoltre, poiché è una città grande ma non grandissima (684.000 abitanti, 1.500.000 con l’hinterland, quarta città spagnola dopo Madrid, Barcelona e Valencia) se si è abituati a camminare,  è assai piacevole visitarla a piedi, specie se si ha un punto d’appoggio centrale, come è stato per la scrivente, che ha soggiornato in una struttura ricettiva nel Barrio de san Bartolomè (quartiere di san Bartolomeo), proprio nel centro storico di Siviglia.
Dove è da visitare la Casa de Pilatos, forse uno dei più bei palazzi della città. L'edificio,  completato all’inizio del XVI secolo da Fadrique Enriquez de Ribera, deve il nome a un suo pellegrinaggio nel 1519 a Gerusalemme. Si narra che, al suo ritorno, il marchese scoprì che la distanza tra la sua abitazione e la chiesa collocata fuori dalle mura era uguale a quella tra le rovine della residenza di Ponzio Pilato e il monte Calvario. 
     Sorpreso dalla coincidenza, il marchese stabilì lungo il percorso le quattordici stazioni della Via Crucis, di cui la prima, la sua casa, corrispondeva alla Casa di Pilato. Questo il motivo per cui si è creduto che la residenza fosse una copia della casa del governatore Ponzio Pilato. All’interno della residenza rinascimentale, c’è un tipico patio andaluso con pareti in stile mudéjar (stile ibrido con decorazione a stucco cesellata policroma e in ceramica azulejos), con 24 arcate recanti busti di imperatori romani e di personaggi del mondo latino. Ci sono poi due giardini, mentre le eleganti sale interne sono decorate ad azulejos, con soffitti decorati. 
   Il Barrio de san Bartolomè, come parte del vicino Barrio de Santa Cruz, erano detti “la Juderia” perché abitati soprattutto da ebrei. Nel Barrio de Santa Cruz si può visitare la chiesa barocca di Santa Maria la Blanca, sinagoga riconvertita nel XVI secolo in chiesa cristiana. Decorata con stucchi barocchi e marmo rosso, conserva al suo interno un’Ultima Cena di Murillo. Vicino al Barrio de Santa Cruz si trovano i Giardini di Murillo, prima facenti parte degli orti dei Reales Alcázares, nel 1911 donati alla città.
  Non lontani dal Barrio de san Bartolomè ci sono i monumenti più significativi di Siviglia: la Cattedrale, la torre della Giralda, l'Alcázar e l'Archivio delle Indie, nel 1987 dichiarati dall’UNESCO patrimonio dell'umanità.
   La cattedrale di Santa Maria de la Sede de Sevilla è la più grande cattedrale della Spagna e una delle più grandi chiese gotiche del mondo occidentale: terminata all’inizio del XVI secolo, fu costruita sull'antica moschea degli Almohadi, di cui rimangono solo la Giralda e il Patio de los Naranios (Cortile degli aranci). 
La visita dell’interno è davvero suggestiva, anche per l’immensità degli spazi. Nella navata centrale dietro il coro spicca la Cappella Maggiore, chiusa da una magnifica inferriata in ferro dorato, all'interno della quale si trova l'immenso retablo della Virgen de la Sede. Dentro la cattedrale si trova l’imponente mausoleo funebre di Cristoforo Colombo, osannato dappertutto in terra spagnola.
  La Giralda, alta 103 metri, è l'antico minareto della moschea divenuto poi torre campanaria della cattedrale. Ora è il monumento simbolo di Siviglia, visibile da ogni angolo della città. La Giralda, iniziata a costruire nel 1171 e terminata nel 1198, nel tempo ha subito varie modifiche: oggi rappresenta uno dei migliori esempi dello stile mudéjar. La sottoscritta ce l’ha fatta a salire in cima, da dove si ammira una magnifica vista della città. 
  Chi scrive deve confessare però un fallimento: le è stato impossibile visitare l’Alcazar, la fortezza reale di Siviglia: purtroppo era necessario prenotare on line parecchio tempo prima e in loco non c’era un solo biglietto a disposizione e così si è persa una meraviglia. Ha recuperato, si fa per dire, qualche giorno dopo con la visita all’Alhambra a Granada (quella sì prenotata per tempo on line, visita che conta di raccontare). 
     A Plaza del Triunfo, a due passi dalla Giralda e dalla Cattedrale, di grande fascino è stata la visita all’Archivo Generale de Indias, l’imponente edificio in stile rinascimentale a due piani, con un patio centrale e portici suggestivi. Costruito inizialmente per ospitare la Borsa dei Commercianti, nel 1785 fu convertito in sede dell'Archivio delle Indie per raccogliere i documenti legati ai possedimenti spagnoli d'oltremare. Tale biblioteca ha perciò un ruolo fondamentale per la ricostruzione della storia delle Americhe, dall'arrivo degli Europei alla fine del colonialismo: con la sua infinità di documenti preziosi -  tra cui la copia de Il Milione di Marco Polo appartenuta a Cristoforo Colombo e da lui annotata a margine - rappresenta oggi uno degli archivi più importanti del mondo.
   D’obbligo anche la visita a Plaza de España, una piazza davvero grande a forma di semicerchio: nella sua retorica trionfale, rappresenta l'abbraccio della Spagna e delle sue antiche colonie. La piazza guarda verso il fiume Guadalquivir e simboleggia la strada da seguire per l'America. Le sue architetture, tra cui le due torri imponenti, furono realizzate nel 1929 in occasione dell’Esposizione iberoamericana. Tutti gli edifici sono decorati in mattoni a vista, marmo e ceramica. Al centro della spianata c'è un canale navigabile, e la piazza è circondata da portici sormontati da balaustre al di sotto delle quali ci sono delle panchine decorate con maioliche che raffigurano le 54 provincie spagnole.
    L'ampiezza e la sua particolare disposizione la rendono una delle piazze più caratteristiche della città. Plaza de España si trova all’interno del Parco di Maria Luisa, il più grande giardino pubblico di Siviglia.
    In una delle sere sivigliane, non è mancata una passeggiata a Plaza de la Encarnaciòn, dove si apprezza il Metropol Parasol o Setas de Sevilla, una particolarissima struttura architettonica a forma di pergola, realizzata nel 2011 dall'architetto tedesco Jürgen Mayer: alta circa 26 metri e lunga circa m.150 è la struttura in legno (con supporto di cemento) forse più grande del mondo. 
Siviglia rimane nel cuore: città accogliente, pulita, dove – come altrove in Spagna – si mangia bene a prezzi assai ragionevoli. Città dove è bello anche solo passeggiare per i viali alberati sulle sponde del Guadalquivir, magari vicino alla Torre de Oro, un’antica torre di sorveglianza, il cui nome pare derivi dal fatto che un tempo era ricoperta di maioliche dorate. 
   E il Guadalquivir, tanto carico di storia, ha riportato a chi scrive i versi di Cristoforo Colombo, di Francesco Guccini, canzone che canticchiava durante il soggiorno spagnolo: 
È già stanco di vagabondare sotto un cielo sfibrato/Per quel regno affacciato sul mare che dai Mori è insidiato/E di terra ne ha avuta abbastanza, non di vele e di prua/Perché ha trovato una strada di stelle nel cielo dell'anima sua/ Se lo sente, non può più fallire, scoprirà un nuovo mondo/Quell'attesa lo lascia impaurito di toccare già il fondo/Non gli manca il coraggio o la forza per vivere quella follia/E anche senza equipaggio, anche fosse un miraggio ormai salperà via/E la Spagna di spada e di croce riconquista Granata/Con chitarre gitane e flamenco fa suonare ogni strada/Isabella è la grande regina del Guadalquivir/Ma come lui è una donna convinta che il mondo non può finir lì/(…) E naviga, naviga via/Verso un mondo impensabile ancora da ogni teoria/Naviga, naviga via/Nel suo cuore la Niña, la Pinta e la Santa Maria…
    Allora, in Spagna o in Italia, viaggiatori nomadi o stanziali inquieti, l’augurio è che ciascuno, come Colombo, trovi la strada di stelle nel cielo dell'anima sua… 

Maria D'Asaro, 1.12.24, il Punto Quotidiano












sabato 30 novembre 2024

La gioia di scrivere: i 16 anni del blog



Oggi il blog compie sedici anni.


 
Scrivere è un piacere per nostra signora dei... mari da solcare: il blog è un respiro dell’anima, uno spazio di espressione creativa.






Alcuni pezzi su il Punto Quotidiano, il giornale in cui scrive:

- Matematica, niente Nobel? C’è il premio Abel
- Sofia, Daniel, Tarteel e Aisfa, uniti per la Pace

Qui, la sua prima volta in Rai, per la presentazione del libro Una sedia nell'aldilà

Qui un pezzo della sua lettera all'amatissimo Alex Langer


Qui la recensione del testo La logica della guerra nella Grecia antica

Qui si parla di Natalia Ginzburg, scrittrice assai amata

Nell'etichetta Mari di poesia, tanto spazio alla magnifica Wislawa e ai petit onze