"Veniva spesso a camminare lungo il molo. Un tipo di aspetto mediterraneo, dagli occhi grandi, i capelli ricci e la malinconia dipinta sul volto scarno. Noi piante di strada lo guardavamo stupite: era il solo che camminava tra noi tenendo dei fogli che leggeva in modo assorto, insensibile al vociare e al frastuono quotidiano del porto di Amsterdam.
Non ci ha mai calpestato, ne siamo certe, perché il suo cammino non era mai lineare quanto invece lo era il suo pensiero, mentre la nostra presenza era un ostacolo che rispettava infinitamente più dei pregiudizi contro i quali si batteva.
Questo l’abbiamo capito poi, dopo aver raccolto le mille voci che su di lui correvano di bocca in bocca tra i mercanti del porto. Le voci dicevano che era un giudeo portoghese, un grande pensatore, già aspirante rabbino della comunità sefardita, un figlio di marrani, cristiani convertiti a forza, che solo nella città olandese avevano ritrovato la forza di professare la fede dei padri. Talora veniva alle prime luci dell’alba, quando ancora il molo non brulicava di uomini e merci: leggeva e commentava ad alta voce. Più d’una di noi dice di averlo colto nell’atto di fissarla intensamente mentre mormorava più volte, quasi una litania nella lingua dei dotti e con la commozione che gli brillava negli occhi:“Deus sive natura! Dio ovvero la natura!”
Lo diceva con forza serena. Ci guardava con gli occhi lucidi e non ci calpestava. Le più sapienti di noi conoscevano il senso di una di quelle parole. Dicevano che la “natura” eravamo anche noi, con tutti gli animali e anche gli uomini, le stelle e il Sole, le montagne e le pianure, i laghi e i mari, il vento e il fuoco. Insomma tutto.
Ma “Dio” cos’era? Questo proprio non lo sapeva nessuna di noi. Allora l’abbiamo chiesto all’Albero della conoscenza del bene e del male, che da millenni sta in un giardino abbandonato dagli uomini, dove alcune di noi vivono felici, perché non conoscono né falce né aratro. “E’ un paradiso in terra!”, dicono estasiate. Noi comunichiamo così: bisbigliamo l’una all’altra le nostre parole ed esse corrono sulla superficie verde del pianeta, come onde in un campo di grano battuto dal vento o, meglio!; come quelle provocate in un lago in bonaccia da una goccia di pioggia. E ognuna che parla crea un’onda che si propaga in cerchio in ogni direzione, affinché tutte sentano e dicano poi la loro.
E tutte parliamo, cosicché miriadi di onde increspano le praterie e le foreste, le torbiere e i macereti, onde che si rifrangono e si riflettono, si sommano e si sottraggono, giungono lontano e da lontano portano spesso ancora solo la nostra domanda, ancor più carica di attese. Talora arriva qualche risposta, magari solo in frammenti, come in questo caso. L’Albero della conoscenza ha sussurrato: “E’ tutto ciò che è esistito, esiste ed esisterà”… e dopo un po’: “E’ il conosciuto e l’ignoto insieme…. la causa e l’effetto…..l’uno e il molteplice…. L’Essere e gli esseri… Nella sua Ethica Baruch scrive: “Per Dio intendo un Ente assolutamente infinito…. Ogni cosa, dico, è in Dio, e tutto ciò che accade, accade soltanto per le leggi dell’infinita natura di Dio”. Il che significa che tutto è in lui, che lui è il tutto che esiste. Insomma: Dio è la natura”.
Baruch dice poi che le immagini di Dio delle Sacre Scritture sono metafore e che i fatti che vi sono narrati sono miti e che chi prende alla lettera quei racconti è un superstizioso. Altrove aggiunge che Dio non può né amare né odiare, ma semplicemente essere ciò che tutto è; e conclude che non esiste nessun popolo eletto, perché tutti i popoli sono eletti in lui! E tutte le creature, aggiungo io!”
Ora sì comprendiamo perché quel giorno, seduto tra di noi, lesse con grande tristezza quel foglio che gli avevano portato: parole solenni, terribili, pesanti come piombo. I suoi fratelli di fede lo maledicevano con un cherèm, un anatema che proclamava: “Con l’aiuto del giudizio dei santi e degli angeli, con il consenso di tutta la santa comunità e al cospetto di tutti i nostri Sacri Testi e dei 613 comandamenti che vi sono contenuti, escludiamo, espelliamo, malediciamo ed esecriamo Baruch Spinoza. Pronunciamo questo cherèm nel modo in cui Giosuè lo pronunciò contro Gerico. Lo malediciamo nel modo in cui Eliseo ha maledetto i ragazzi e con tutte le maledizioni che si trovano nella Legge. Che sia maledetto di giorno e di notte, mentre dorme e quando veglia, quando entra e quando esce. Che l’Eterno non lo perdoni mai. Che l’Eterno accenda contro quest’uomo la sua collera e riversi su di lui tutti i mali menzionati nel libro della Legge, che il suo nome sia per sempre cancellato da questo mondo e che piaccia a Dio di separarlo da tutte le tribù di Israele affliggendolo con tutte le maledizioni contenute nel Libro della Legge. E quanto a voi che restate devoti all’Eterno, vostro Dio, che Egli vi conservi in vita. Sappiate che non dovete avere con Spinoza alcun rapporto né scritto né orale. Che non gli sia reso alcun servizio e che nessuno si avvicini a lui più di quattro gomiti. Che nessuno dimori sotto il suo stesso tetto e che nessuno legga alcuno dei suoi scritti.”
Nemmeno un cane rabbioso meritava tale trattamento! Chelidonium, che aveva messo le radici accanto all’uscio di casa Spinoza, ci ha informato che Baruch fu abbandonato anche dal fratello e dalla sorella e che quest’ultima alla morte di lui si è precipitata dal giudice per ereditare i beni. Ma erano solo libri e lei non sapeva che farsene. Ha rinunciato all’eredità che è passata ad altri, a voi che qui leggete!
Venuto a conoscenza della morte di Baruch-Benedetto, l’Albero della conoscenza ha ripreso la parola, che è arrivata a noi come un treno di onde sempre più forti e alte, quasi una mareggiata incontenibile: “Shalom, pace a te Baruch, il Benedetto! Quale audacia orrenda mettere in dubbio le certezze dei burocrati della religione! Quale delitto efferato pensare un nuovo mondo basato solo sulla ragione, pur nella convinzione che quando si studia la natura si ha a che fare con Dio! Quale peccato imperdonabile ritenere che l’Infinito sia anche dentro il finito, in tutti i viventi e i non viventi! Noi piante, così come tutti gli esseri, già dall’inizio dei tempi, ben prima dell’uomo, custodivamo i segreti della vita e della conoscenza del bene e del male: l’essenza di Dio.
Baruch l’ha capito, come pure ha capito le parole del roveto del Sinai, che ardeva senza consumarsi, come la ricerca della verità in lui. “Io sono ciò che sono. Io sarò ciò che sarò. Io mi mostro nella storia, perché la storia di tutte le creature, piccole e grandi, è la mia storia”. Chi non ha compreso questo è lontano dal mistero della vita e chi ama e conosce la natura, è sempre più vicino al Mistero dell’Essere.”
Così disse. Poi un lungo sospiro si sciolse nel silenzio.
Germano Federici
L'autore si presenta così: Sono un biologo appassionato di natura in ogni suo aspetto. Ho insegnato fino al 2008 in un liceo scientifico di Bergamo. Assieme ad amici floristi di Bergamo e Brescia ho lavorato per diversi decenni in campo, ma anche tra erbari e bibliografia botanica, per raccogliere dati sulle specie vascolari presenti nei territori e pubblicare nel 2012 una sintesi corposa (Flora vascolare della Lombardia centro-orientale) e altre dedicate a realtà minori (es. Flora spontanea della città di Bergamo, nel 2015). Sono impegnato da anni con altri amici nella difesa del territorio dalla vorace predazione di suolo e di ambienti di pregio.
Qui un suo precedente scritto