giovedì 30 maggio 2024

Omaggio a Baruch Spinoza

        "Veniva spesso a camminare lungo il molo. Un tipo di aspetto mediterraneo, dagli occhi grandi, i capelli ricci e la malinconia dipinta sul volto scarno. Noi piante di strada lo guardavamo stupite: era il solo che camminava tra noi tenendo dei fogli che leggeva in modo assorto, insensibile al vociare e al frastuono quotidiano del porto di Amsterdam.
        Non ci ha mai calpestato, ne siamo certe, perché il suo cammino non era mai lineare quanto invece lo era il suo pensiero, mentre la nostra presenza era un ostacolo che rispettava infinitamente più dei pregiudizi contro i quali si batteva.
          Questo l’abbiamo capito poi, dopo aver raccolto le mille voci che su di lui correvano di bocca in bocca tra i mercanti del porto. Le voci dicevano che era un giudeo portoghese, un grande pensatore, già aspirante rabbino della comunità sefardita, un figlio di marrani, cristiani convertiti a forza, che solo nella città olandese avevano ritrovato la forza di professare la fede dei padri. Talora veniva alle prime luci dell’alba, quando ancora il molo non brulicava di uomini e merci: leggeva e commentava ad alta voce. Più d’una di noi dice di averlo colto nell’atto di fissarla intensamente mentre mormorava più volte, quasi una litania nella lingua dei dotti e con la commozione che gli brillava negli occhi:“Deus sive natura! Dio ovvero la natura!” 
         Lo diceva con forza serena. Ci guardava con gli occhi lucidi e non ci calpestava. Le più sapienti di noi conoscevano il senso di una di quelle parole. Dicevano che la “natura” eravamo anche noi, con tutti gli animali e anche gli uomini, le stelle e il Sole, le montagne e le pianure, i laghi e i mari, il vento e il fuoco. Insomma tutto.
      Ma “Dio” cos’era? Questo proprio non lo sapeva nessuna di noi. Allora l’abbiamo chiesto all’Albero della conoscenza del bene e del male, che da millenni sta in un giardino abbandonato dagli uomini, dove alcune di noi vivono felici, perché non conoscono né falce né aratro. “E’ un paradiso in terra!”, dicono estasiate. Noi comunichiamo così: bisbigliamo l’una all’altra le nostre parole ed esse corrono sulla superficie verde del pianeta, come onde in un campo di grano battuto dal vento o, meglio!; come quelle provocate in un lago in bonaccia da una goccia di pioggia. E ognuna che parla crea un’onda che si propaga in cerchio in ogni direzione, affinché tutte sentano e dicano poi la loro. 
          E tutte parliamo, cosicché miriadi di onde increspano le praterie e le foreste, le torbiere e i macereti, onde che si rifrangono e si riflettono, si sommano e si sottraggono, giungono lontano e da lontano portano spesso ancora solo la nostra domanda, ancor più carica di attese. Talora arriva qualche risposta, magari solo in frammenti, come in questo caso. L’Albero della conoscenza ha sussurrato: “E’ tutto ciò che è esistito, esiste ed esisterà”… e dopo un po’: “E’ il conosciuto e l’ignoto insieme…. la causa e l’effetto…..l’uno e il molteplice…. L’Essere e gli esseri… Nella sua Ethica Baruch scrive: “Per Dio intendo un Ente assolutamente infinito…. Ogni cosa, dico, è in Dio, e tutto ciò che accade, accade soltanto per le leggi dell’infinita natura di Dio”. Il che significa che tutto è in lui, che lui è il tutto che esiste. Insomma: Dio è la natura”. 
          Baruch dice poi che le immagini di Dio delle Sacre Scritture sono metafore e che i fatti che vi sono narrati sono miti e che chi prende alla lettera quei racconti è un superstizioso. Altrove aggiunge che Dio non può né amare né odiare, ma semplicemente essere ciò che tutto è; e conclude che non esiste nessun popolo eletto, perché tutti i popoli sono eletti in lui! E tutte le creature, aggiungo io!” 
    Ora sì comprendiamo perché quel giorno, seduto tra di noi, lesse con grande tristezza quel foglio che gli avevano portato: parole solenni, terribili, pesanti come piombo. I suoi fratelli di fede lo maledicevano con un cherèm, un anatema che proclamava: “Con l’aiuto del giudizio dei santi e degli angeli, con il consenso di tutta la santa comunità e al cospetto di tutti i nostri Sacri Testi e dei 613 comandamenti che vi sono contenuti, escludiamo, espelliamo, malediciamo ed esecriamo Baruch Spinoza. Pronunciamo questo cherèm nel modo in cui Giosuè lo pronunciò contro Gerico. Lo malediciamo nel modo in cui Eliseo ha maledetto i ragazzi e con tutte le maledizioni che si trovano nella Legge. Che sia maledetto di giorno e di notte, mentre dorme e quando veglia, quando entra e quando esce. Che l’Eterno non lo perdoni mai. Che l’Eterno accenda contro quest’uomo la sua collera e riversi su di lui tutti i mali menzionati nel libro della Legge, che il suo nome sia per sempre cancellato da questo mondo e che piaccia a Dio di separarlo da tutte le tribù di Israele affliggendolo con tutte le maledizioni contenute nel Libro della Legge. E quanto a voi che restate devoti all’Eterno, vostro Dio, che Egli vi conservi in vita. Sappiate che non dovete avere con Spinoza alcun rapporto né scritto né orale. Che non gli sia reso alcun servizio e che nessuno si avvicini a lui più di quattro gomiti. Che nessuno dimori sotto il suo stesso tetto e che nessuno legga alcuno dei suoi scritti.”
        Nemmeno un cane rabbioso meritava tale trattamento! Chelidonium, che aveva messo le radici accanto all’uscio di casa Spinoza, ci ha informato che Baruch fu abbandonato anche dal fratello e dalla sorella e che quest’ultima alla morte di lui si è precipitata dal giudice per ereditare i beni. Ma erano solo libri e lei non sapeva che farsene. Ha rinunciato all’eredità che è passata ad altri, a voi che qui leggete! 
         Venuto a conoscenza della morte di Baruch-Benedetto, l’Albero della conoscenza ha ripreso la parola, che è arrivata a noi come un treno di onde sempre più forti e alte, quasi una mareggiata incontenibile: “Shalom, pace a te Baruch, il Benedetto! Quale audacia orrenda mettere in dubbio le certezze dei burocrati della religione! Quale delitto efferato pensare un nuovo mondo basato solo sulla ragione, pur nella convinzione che quando si studia la natura si ha a che fare con Dio! Quale peccato imperdonabile ritenere che l’Infinito sia anche dentro il finito, in tutti i viventi e i non viventi! Noi piante, così come tutti gli esseri, già dall’inizio dei tempi, ben prima dell’uomo, custodivamo i segreti della vita e della conoscenza del bene e del male: l’essenza di Dio.
                    Baruch l’ha capito, come pure ha capito le parole del roveto del Sinai, che ardeva senza consumarsi, come la ricerca della verità in lui. “Io sono ciò che sono. Io sarò ciò che sarò. Io mi mostro nella storia, perché la storia di tutte le creature, piccole e grandi, è la mia storia”. Chi non ha compreso questo è lontano dal mistero della vita e chi ama e conosce la natura, è sempre più vicino al Mistero dell’Essere.”
                           Così disse. Poi un lungo sospiro si sciolse nel silenzio.

Germano Federici

L'autore si presenta così: Sono un biologo appassionato di natura in ogni suo aspetto. Ho insegnato fino al 2008 in un liceo scientifico di Bergamo. Assieme ad amici floristi di Bergamo e Brescia ho lavorato per diversi decenni in campo, ma anche tra erbari e bibliografia botanica, per raccogliere dati sulle specie vascolari presenti nei territori e pubblicare nel 2012 una sintesi corposa (Flora vascolare della Lombardia centro-orientale) e altre dedicate a realtà minori (es. Flora spontanea della città di Bergamo, nel 2015). Sono impegnato da anni con altri amici nella difesa del territorio dalla vorace predazione di suolo e di ambienti di pregio.

Qui un suo precedente scritto

martedì 28 maggio 2024

Vita immaginaria, Natalia Ginzburg

Niccolò Gallo
       “Era un uomo silenzioso e solitario. Aveva però un numero sterminato di amici. Ognuno di questi amici si sentiva ospitato nella sua solitudine. Egli amava la solitudine non perché fosse ostile alla gente ma perché amava la penombra del suo pensiero.
     La sua era una solitudine del tutto destituita di orgoglio. Era perciò disarmata e veniva continuamente sopraffatta. Era una solitudine continuamente assediata e invasa dal prossimo. (…) A volte poteva succedere di incontrarlo in qualche sala affollata. Sembrava trovarsi là per caso e per mansuetudine. Stava là solitario benché gli amici lo circondassero. Il suo lungo volto assorto ricordava il volto assorto e mansueto del suo cane.
     Credo che egli non scegliesse i suoi amici, erano loro che l’avevano scelto. Essendo stato scelto, dava agli amici il suo silenzio, la sua attenzione, il suo sorriso di assenso. Questo era per gli amici un aiuto incalcolabile. Le persone si sentivano raggiunte nella zona più segreta del loro essere. Si sentivano raggiunte nel punto migliore dello spirito, là dove ognuno custodisce le sue angosce e sventure. 
     Senza dire nulla o quasi nulla, egli assentiva alle sventure del prossimo e ne divideva lo strazio. (…)

      Quando scrivevamo un romanzo, desideravamo ardentemente darglielo da leggere. Eravamo però trattenuti dall’idea che lui aveva sempre tanti impegni e scadenze e che poi doveva essere stanchissimo di leggere e dare giudizi. (…) Quando infine gli davamo da leggere qualcosa che avevamo scritto, naturalmente gli chiedevamo di dirci il vero. Nello stesso tempo capivamo che lui avrebbe sofferto nel dire il vero, se dire il vero significava colpire e ferire.
      Le sue risposte di giudizio erano un sorriso a volte sofferente, a volte radioso. Bisognava riconoscere il suo pensiero nella qualità del suo sorriso. Ma il suo sorriso e le sue poche sillabe di giudizio erano per noi di aiuto. Essi non ci lasciavano mai confusi e umiliati. Questo perché sentivamo che in lui, di là dallo schermo della gentilezza e del desiderio di non fare del male ad anima viva, soggiornava, inesorabile e senza illusioni, la verità su di noi. Vedevamo riflessa nel suo pensiero la nostra immagine reale. Tale visione era corroborante come è corroborante e amara ogni visione del vero. Perciò portavamo a casa le sue poche sillabe sentendoci più limpidi e più forti.” (…)
 
Natalia Ginzburg Vita immaginaria (a cura di Domenico Scarpa) Einaudi, Torino, 2021, pp.21,22

(Amo Natalia Ginzburg. Qui fa un ritratto del critico letterario, Niccolò Gallo. Ho scoperto questa sua ulteriore raccolta  (grazie di cuore a Domenico Scarpa che ne ha curato la riedizione) e me la sto centellinando per gustarla piano piano, perché il sapore speciale della scrittura di Natalia - umanissima, viscerale e pensante -  mi faccia il più possibile compagnia.)

domenica 26 maggio 2024

Addio a Daniel Kahneman: "Perché perdere fa male?"

       Palermo – “Bisogna saper perdere, non sempre si può vincere” cantava la band dei Rokes al festival di Sanremo nel lontano 1967. Lo psicologo israeliano Daniel Kahneman ha speso la sua vita a indagare reazioni, emozioni e conseguenze delle perdite, non di tipo amoroso, come quelle a cui accenna la canzone dei Rokes, ma economiche e finanziarie: per queste e altre ricerche è stato insignito nel 2002 del Premio Nobel per l’economia: «per avere integrato risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente in merito al giudizio umano e alla teoria delle decisioni in condizioni d'incertezza».
        Quali dunque gli studi così meritori dello studioso, che è morto il 27 marzo scorso? 
Professore all’Università di Princeton, Kahneman è stato uno dei fondatori della cosiddetta finanza comportamentale. Le sue innovative ricerche permisero di applicare le scoperte scientifiche nell’ambito della psicologia alla comprensione delle decisioni economiche. 
    In collaborazione per diversi anni con lo psicologo Amos Tversky, pioniere della psicologia cognitiva, studiò a lungo gli errori sistematici umani, i cosiddetti bias cognitivi e analizzò le decisioni che si prendono in condizioni di rischio. Attraverso numerosi esperimenti, Kahneman e Tversky dimostrarono come i processi decisionali umani violino sistematicamente alcuni principi di razionalità, mentre le teorie microeconomiche postulano l’assunto di base che il comportamento umano sia razionale e finalizzato ad una massimizzazione dell’utilità. 
     Ecco cosa ha detto di Kahneman, in un’intervista rilasciata al Tg scientifico Leonardo, il professore Matteo Motterlini, docente presso l’Università Vita e Salute dell’Istituto san Raffaele di Milano: - “Uno dei principi più semplici da comprendere e più rilevanti, tra quelli evidenziati dal premio Nobel da poco scomparso, è la cosiddetta ‘avversione alle perdite’. Che perdere non ci piaccia, lo sappiamo tutti. La cosa più interessante che ha scoperto Kahneman è che perdere ci fa il più male, quasi il doppio, del piacere che ci dà vincere. Per la teoria economica pura, infatti, se io perdo 100 e guadagno 100, sono a zero: non perdo né guadagno. Paradossalmente non è così per la nostra percepita ‘contabilità mentale’, per la nostra psico-economia emotiva: è stato dimostrato che se guadagniamo 100 e perdiamo 100, ci riteniamo in perdita di almeno 125: le perdite pesano psicologicamente e vengono considerate più del doppio dei guadagni”.
     “La teoria economica ritiene che le persone siano perfettamente razionali nel calcolare i costi/benefici delle loro azioni – ha continuato il professore Motterlini - Kahneman ha dimostrato che non è affatto così. Commettiamo degli errori, vere e proprie trappole mentali che ci portano sistematicamente, e quindi prevedibilmente, a sbagliare. Kahneman  ha dimostrato l’esistenza di una sistematica irrazionalità umana, che si può però studiare razionalmente. Esiste infatti una logica dietro alla nostra stupidità, una sorta di ‘metodo’ dietro ai nostri comportamenti emotivi. E tutto ciò influenza le nostre decisioni economiche.”
    Daniel Kahneman è stato il secondo psicologo ad aver ottenuto il Premio Nobel in economia, dopo Herbert Simon, a cui era stato assegnato nel 1978.
      Insignito dal Presidente Barack Obama del prestigioso riconoscimento della Medaglia per la Libertà, si ricorda infine che Kahneman è stato molto apprezzato anche nel nostro Paese. Gli è stata infatti conferita la laurea honoris causa da due Università italiane: quella in Economia, dall’Università di Trento, il 14 ottobre 2002; quella specialistica in Scienze dell’Economia, il 6 aprile 2005 dall’Università di Milano-Bicocca, con la seguente motivazione: «Per aver integrato importanti conquiste della ricerca psicologica all'interno della Scienza Economica dando vita così al nuovo campo disciplinare dell'economia cognitiva e delle sue molteplici applicazioni, fornendo una base teorica fondamentale per gli sviluppi più recenti dell'economia della felicità».

Maria D'Asaro, 26.5.24,  il Punto Quotidiano

giovedì 23 maggio 2024

Stragi del 1992: realtà virtuale per ricordare

       Palermo – Il comune di Capaci, nella costa nord-ovest, a circa venti chilometri da Palermo, è tristemente noto perché nel tratto autostradale tra l’aeroporto e il capoluogo siciliano, proprio vicino allo svincolo per Capaci, il 23 maggio 1992 la mafia uccise il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, magistrato anche lei, e i tre agenti della scorta Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro. 
     Per evitare il rischio che per le nuove generazioni la strage del 1992 diventi sempre più vaga e nebulosa, il comune di Capaci e l’associazione ‘Addio Pizzo’ hanno realizzato uno spazio virtuale che racconta ciò che accadde quel tragico sabato del 1992. Gli studenti che lo hanno già visitato (tra cui quelli del liceo ‘Cavalleri’ di Parabiago, vicino Milano) hanno dichiarato che si tratta di un’esperienza immersiva toccante e costruttiva. 
      Dal  23 maggio, tale spazio virtuale sarà proposto all’interno di alcuni container allestiti nell’area dismessa dello scalo merci della stazione ferroviaria di Capaci. Pietro Puccio, eletto sindaco a Capaci nelle settimane successive alla strage, e che oggi ricopre lo stesso ruolo, ha dichiarato che far diventare la stazione dismessa un centro studi e un luogo della memoria è un importante segnale culturale, in un territorio dove purtroppo non ci sono teatri, non c’è un cinema, non ci sono luoghi di aggregazione giovanili. 
       Nel centro storico di Palermo, in via Vittorio Emanuele, nell’antico e prestigioso Palazzo Gulì, nel 2018 era già nato il No Mafia Memorial, uno spazio che è insieme Museo e Memoriale-Laboratorio della lotta alla mafia. Il museo è stato realizzato grazie a una sinergia tra l’amministrazione comunale di Palermo e il Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato”, che ha messo a disposizione della città il proprio ricchissimo patrimonio di studi, ricerche e pubblicazioni, la biblioteca-emeroteca, l’archivio storico e fotografico di documenti e atti giudiziari.
    L’intero percorso museale - attraverso immagini, pannelli, proiezioni che ne ricostruiscono gli aspetti salienti - guida il visitatore nella ricostruzione della mafia e dell’antimafia, dalle origini ai nostri giorni. Lo spazio polivalente del No Mafia Memorial si snoda tra più sezioni: l’archivio fotografico al piano terra e la nuova mostra multimediale al secondo piano. Attiva dal dicembre 2021, la mostra multimediale propone ai visitatori approfondimenti storici sul fenomeno mafioso in Sicilia. Si tratta di un progetto museale innovativo dove la storia dialoga con le nuove tecnologie digitali attraverso nuove forme di narrazione: le quattro installazioni, servendosi degli strumenti della digital art, creano un’esperienza immersiva che coinvolge fisicamente ed emotivamente lo spettatore, in un percorso dove storia, memoria e nuovi linguaggi artistici si attraversano e si contaminano felicemente. 
    Nel museo, infine, c’è anche un’area di studio con una biblioteca, una mediateca, un archivio di documenti e una banca dati, dove ci si può fermare per consultare il materiale e approfondire. Assai attiva anche l'area didattica, che organizza laboratori per le scuole, con il coinvolgimento di docenti e studenti di ogni ordine e grado.
    Una delle cose che stava più a cuore al giudice Giovanni Falcone era la formazione dei giovani: gli spazi di conoscenza, di studio, di incontro, di progettazione culturale a servizio della comunità, realizzati dal Comune di Capaci e a Palermo dal No Mafia Memorial, sono uno dei modi migliori per onorare la sua memoria e quella di tutti coloro che hanno speso la loro vita per liberare Palermo, la Sicilia e l’Italia dalla violenza della mafia.

Maria D'Asaro, 19.5.24, il Punto Quotidiano







mercoledì 22 maggio 2024

Sigfrido Ranucci a Palermo: La scelta...

      Ieri pomeriggio, all’interno del suggestivo atrio della Biblioteca comunale di Palermo, non c’era una sedia libera: molti/e erano seduti/e a terra, sul selciato ad ascoltare attenti e commossi Sigfrido Ranucci, che ha parlato del suo lavoro presentando il suo libro La scelta (Bompiani, 2024), con un'introduzione di Angela Fundarò, presidente dell’Inner Wheel Palermo Normanna. 
   A intervistare Ranucci il giornalista Salvatore Cusimano, già direttore della sede siciliana della Rai. Cusimano - in un dialogo serrato, appassionato e toccante che ha permesso ai presenti di ripercorrere momenti significativi dell’ultimo trentennio di storia nazionale e non solo -  ha chiesto al conduttore di Report cosa si portasse dentro delle vicende dolorose e di tutto il male di cui si è dovuto occupare in questi anni: - L’odore della carne umana a Ground Zero, quando ho visto brandelli dei corpi di chi si era gettato dalle finestre per sfuggire al fuoco sfracellati sui cornicioni di quello che restava delle Torri… A Sarajevo, i soldati affamati che cercavano di mangiare qualcosa delle suole di cuoio delle loro scarpe… Le conseguenze esiziali delle armi chimiche al fosforo bianco usate a Fallujah, in Iraq, dagli americani… -
      Davvero avvincente ripercorrere le inchieste clamorose condotte da Ranucci: a partire dal ritrovamento da parte del giornalista, nell’archivio personale del giudice, dell’intervista rilasciata da Paolo Borsellino alla stampa francese il 21 maggio 1992, due giorni prima della strage di Capaci, intervista nel corso della quale il magistrato parlava dei rapporti tra Mangano, Berlusconi e Dell’Utri, ipotizzando un collegamento con Cosa nostra. Ranucci e Cusimano hanno ricordato allora con stima e commozione Roberto Morrione, compianto direttore di Rai News24, che nel 2000 aveva incaricato proprio Ranucci (insieme ad Arcangelo Ferri) di occuparsi dello speciale dell’8° anniversario delle stragi del 1992. Ranucci allora, con l’autorizzazione della figlia Fiammetta, rese pubblica l’intervista, con un enorme scoop mediatico.
         E il conduttore di Report ricorda con affetto commosso l’educazione ancorata ai valori etici e cristiani avuta dai genitori: suo padre, finanziere, e la madre, insegnante, profondamente cattolica. Sua madre che era preoccupata del rischio che correva facendo un giornalismo d’inchiesta così autentico: - Sigfrido, evita di fare nomi, mi raccomando – Per rispetto a mia madre, non faccio nomi… solo i cognomi – afferma sorridendo Ranucci.
           E, insieme a Cusimano, vengono ricordate ancora la vicenda dell’ex sindaco di Verona Flavio Tosi, alla fine condannato per aver diffamato Ranucci; la puntuale e circostanziata inchiesta sul vaccino Astrazeneca, che procurò al giornalista di Report l’accusa di vicinanza ai  No-vax; la storia della coraggiosa docente di sostegno che ha passato a Report le foto dell’incontro in autogrill tra Renzi e Mancini, agente dei Servizi… E, infine, le accuse paradossali: Ranucci ora accusato di essere al soldo della Cina, ora agente segreto della Russia…  
         - Perché si fa questo mestiere così difficile? A Report vi occuperete ancora di mafia? Cosa possono fare i cittadini per supportare il giornalismo d’inchiesta? – ha chiesto infine Salvatore Cusimano al giornalista.
     Ranucci ha ricordato che arrivano decine di migliaia di segnalazioni a Report da parte del pubblico, che continua a sostenere la trasmissione d’inchiesta con l’alto numero di ascolti, nonostante lo spostamento nella fascia difficile della domenica sera. 
      Ha poi reso noto che sono circa  250 i giornalisti sotto tutela in Italia e più di venti con la scorta: - In una società malata e abituata a convivere con la sua malattia, continuare a fare il mio mestiere è una dichiarazione d’amore verso la libertà di stampa e di gratitudine verso le cittadine/i italiane/i che pagano il canone Rai e vogliono un’informazione autentica. E inchieste serie che facciano da controllo e da pungolo al Potere. – 

Maria D’Asaro

domenica 19 maggio 2024

Maggio 2021/24: tre anni senza Francuzzo...

     Caro Francuzzo,

      cu lavia a diri ca passaru già tri anni di la tua morti… Da maiu 2021 unnavemu cchiu la gioia granni di aviriti ‘nta chista diminsioni tirrena. 
    Ma tu unni si ora? In quali scunusciuti universi ti luciunu l’occhi? Senti forse l’energia potente di autri munni?  
    Misteru granni chiddu chi capita quannu muremu… 
     Natri ni cunsulamu ‘cca sutta cu ‘la tua musica speciali, ca nun mori mai. 
     E tu, Francuzzu, vivi eternamenti ‘nta lu nostru cori. 
    Io sugnu pi sempri grata a la tua bon'armuzza. Tu sai picchì...

A Francuzzo ho scritto una lettera postuma qui.

sabato 18 maggio 2024

Commiato di un licopodio

     "Vi abbiamo visto arrivare. Quasi 10.000 anni fa, lo ricordiamo bene. Anche se allora avevamo già centinaia di migliaia di anni, ma lo ricordiamo bene perché le nostre fronde erano piene di vita e di speranza. 
      Anche noi eravamo arrivate lì da poco, a mano a mano che i ghiacci si ritiravano e si spostavano più in alto, trascinandovi i nostri cugini che non sopportavano il caldo e che ora ritrovate mescolati ai rododendri e al ginepro nano lassù nelle vostre terre alte. 
     Lo ricordiamo bene. Allora insieme ad altre specie avevamo costruito le brughiere, dove il brugo e la felce aquilina la facevano da padrona, ma anche tutte noi altre eravamo rigogliose, perchè da sempre sappiamo che se una sparisce, tutte poi si diventa più povere.
     Vi abbiamo visto arrivare da sud, inseguendo piccole e grandi prede. Allora non vi fermavate molto, giusto il tempo della buona stagione e poi, come tanti uccelli, tornavate nelle terre calde. Il vostro ritorno da noi era un momento di gioia, perché ben prima del Sole e degli uccelli annunciavate la primavera. Altre erano allora per noi le preoccupazioni. Una in particolare, l’avanzare delle foreste che togliendoci il sole ci avrebbero tolto anche la vita. In nostro soccorso giungeva spesso il fuoco. Nessuna di noi ha mai saputo come e perché, ma, misteriosamente, repentinamente, divampava tra noi per poi spegnersi pian piano. Un momento di sofferenza anche brutale, ma passeggera, che lasciava il campo a una vita che ricresceva rigogliosa. Dopo ogni passaggio la brughiera sembrava più forte, perché ad uscirne malconce erano le piante più alte che cercavano di entrare nei nostri territori.
      Vi abbiamo visto arrivare e una cosa di voi ci aveva subito incuriosito. Quel vostro essere alti nel cielo, drizzati su due zampe. Non eravate come gli altri animali, che hanno testa, sensi e cuore vicino alla terra da cui dipende la loro vita. La vostra testa, i vostri sensi, il vostro cuore sembravano puntare verso l’alto, quasi disdegnaste l’umile suolo della brughiera. E infatti non vi siete fermati nelle nostre terre. Né altrove. Dovunque, siete andati altrove. E anche là dove vi siete fermati, voi eravate altrove.
        Che cosa cercavate? noi ci si chiedeva. Eravate così in tutti gli ambienti. Era come se foste insoddisfatti di quello che la terra vi offriva e foste alla ricerca di qualcos’altro, che fiutavate tenendo alta la testa, nel cielo. Forse quello è il vostro destino, come il nostro è lottare tra i rami del brugo.
Vi abbiamo visto arrivare e notato con sorpresa che alle vostre spalle sempre più spesso divampava il fuoco. Già lo conoscevamo. Ma voi ne sembravate i padroni. 
        All’inizio abbiamo visto quasi con gioia che lo usavate per farvi spazio nell’enorme foresta della pianura, offrendo anche a noi qualche possibilità in più, che qua e là abbiamo sfruttato. Con il passare del tempo avete cambiato il modo di vivere, vostro e di tutti gli esseri che vi circondano. 
    Prima vi muovevate continuamente per la caccia e la raccolta dei frutti stagionali nei nostri territori, lasciandoli immobili nel loro equilibrio raggiunto. Ora avevate preso a far muovere le specie per poter stare fermi voi. Avete disboscato per piantare cose che prima non c’erano, portandole da altri luoghi. Avete piantato specie che nascono, vivono, producono per poi venir raccolte e usate come cibo per voi in un ciclo perenne calibrato sui vostri bisogni. Avete portato con voi specie che neppure mangiate né usate per altro. Solo perché vi sembravano belle. Avete portato animali di cui vi nutrite e per poterli tenere avete trasformato un’enorme foresta in una pianura coltivata. Tutto è cambiato nel nostro mondo perché tutto è cambiato in voi. Per fare tutto questo avete costruito specie meccaniche, creature di un mondo che nessuna di noi ha mai visto né pensato. 
       Ecco! finalmente l’avevamo capito quel vostro star ritti verso il cielo! Gli altri animali hanno testa, sensi e cuore a terra, perché quello è il loro mondo e non vogliono cambiarlo. Voi invece volevate allontanarvene, in qualche modo. Anche rimanendoci. Abbiamo capito che voi, pur fermi tra noi, pensavate ad altri mondi in cui vivere. Li avevate dentro e li avete realizzati fuori, a vostro piacere e spesso a nostro danno. A noi non restava che ritirarci là dove era più difficile per voi governare la terra. Avevamo scelto i primi colli che si affacciano sulla vostra pianura. In verità abbiamo potuto occupare solo zone che voi tenevate sgombre dall’invadenza del castagno, che tempo addietro avete portato qui per il suo seme prelibato, cambiando in modo definitivo l’aspetto dei boschi di prima. Le radure sui colli vi servivano per far pascolare gli armenti e per cacciare al passo gli uccelli. Il pascolamento degli animali non ci ha danneggiato, anzi, brucando i teneri germogli di altre specie e disdegnando i nostri, ci hanno aperto a una nuova speranza. Nonostante tutto abbiamo convissuto bene  per molti secoli. 
        Poi avete abbandonato la terra, perché avete perso qualcosa in voi, l’equilibrio, il senso della misura, il gusto per la bellezza. Ancora non molti decenni fa vivevamo al Ponte Secco, sul Canto Alto, sulla Cima Tagliate, sul Colle d’Argon, sul M. Croce e sul M. Sega. La chiusura degli spazi ci aveva ridotto dieci anni fa a sopravvivere nelle ultime due località, dove nel 1999 ancora ci avete visto.    
Ma già cinque anni dopo non ci avete più ritrovato. Ci avete annientato e il modo ci rattrista, perché potevamo continuare a convivere, se solo aveste avuto il senso della misura e del bello! Con una ruspa sui fianchi del Monte Sega avete tracciato una strada che ha tagliato la nostra popolazione, senza preoccupavi di stabilizzare il versante su cui ancora resisteva una piccola frazione, che pian piano ha dovuto cedere alla legge della gravità, finendo sulla strada tra le ruote delle auto. La stessa cosa avete fatto più in alto, a fianco di una radura con capanno. Lì il danno sembrava ben assorbito, il ciglio dello sterrato non aveva ceduto. Ma la scorsa stagione avete decorticato completamente tutta la radura. Nulla si è salvato della piccola brughiera che la impreziosiva. Infine quella sul M. Croce l’avete devastata con mille profondi solchi di motocross. Il castagno è stato più pietoso di voi. Ci ha ricoperto consegnandoci all’oblio.
    Noi siamo certe che la nostra fine non è stata il frutto di una vostra malevola intenzione, ma il risultato per noi doloroso della sbadataggine con cui spesso intessete la relazione con la natura che vi circonda. Il nostro augurio per voi è che questo non succeda anche tra voi. Quello per noi è di poter rivedere i vostri volti radiosi quando, credendoci perse per sempre in polverosi fogli d’erbario, ci avete invece ritrovate sui vostri bellissimi colli. 
Firmato: Diphasium tristachyum (Pursh) Rothm
(articolo apparso nel notiziario n.42  dell'11/2012del FAB  (https://www.floralpinabergamasca.net/

Ne è autore il professore Germano Federici, con cui ho avuto il piacere di condividere delle ‘cenette filosofiche’ on line e che ringrazio di cuore per questo suo contributo.
Il professore si presenta così: "Sono un biologo appassionato di natura in ogni suo aspetto. Ho insegnato fino al 2008 in un liceo scientifico di Bergamo. Assieme ad amici floristi di Bergamo e Brescia ho lavorato per diversi decenni in campo, ma anche tra erbari e bibliografia botanica, per raccogliere dati sulle specie vascolari presenti nei territori e pubblicare nel 2012 una sintesi corposa (Flora vascolare della Lombardia centro-orientale) e altre dedicate a realtà minori (es. Flora spontanea della città di Bergamo, nel 2015). Sono impegnato da anni con altri amici nella difesa del territorio dalla vorace predazione di suolo e di ambienti di pregio."

giovedì 16 maggio 2024

Addio ad Alice Munro, Nobel per la letteratura nel 2013

      Il 13 maggio scorso è morta a 92 anni Alice Ann Munro, la scrittrice canadese vincitrice del premio Nobel per la letteratura nel 2013, con la seguente motivazione: "maestra del racconto breve contemporaneo".
     Si legge su Wikipedia: "La maggior parte dei racconti di Alice Munro è ambientata nella sua regione natale, il Southwestern Ontario, e indaga le relazioni umane attraverso la lente della vita quotidiana, con uno stile solo ingannevolmente semplice. La sua scrittura è stata definita rivoluzionaria per come ristruttura completamente l'architettura del racconto breve, in particolare per il suo trattamento del tempo del racconto, la cui narrazione si sposta continuamente dal passato al futuro."


Io ho amato i racconti della Munro. 
Alcuni li ho letti una decina di volte, perché mi hanno acchiappato l’anima.
Chi vuole un’idea della sua scrittura può leggere questi miei post: 

La recensione di Amico, nemico, amante…

Qui la chiusa di uno splendido racconto tratto dalla raccolta Uscirne vivi;




martedì 14 maggio 2024

Frammenti di memoria





Frammenti

Di memoria

Emergenze del cuore

Onde danzanti di antica letizia

Mammina   







(compleanno di mamma, in questa dimensione...)

domenica 12 maggio 2024

Edgar Morin: “Urgente riscoprire la fraternità”

      Palermo – Ci voleva un centenario lucido e acuto come Edgar Morin per riscoprire il senso e la necessità della fraternità umana: in La fraternità, perché?, libretto di una settantina di pagine scritto nel 2021 alla vigilia dei suoi primi cento anni (ne compirà 103 a luglio!), il filosofo e sociologo francese consegna alcune riflessioni basilari su questa dimensione oggi fraintesa e spesso dimenticata.
      Nella parte iniziale del testo, Morin evidenzia innanzitutto che libertà, uguaglianza, fraternità - i tre valori tanto osannati dal tempo della Rivoluzione francese, nel 1789 – dovrebbero essere tre termini complementari, che però non si riesce a integrare insieme: “Perché la libertà, soprattutto economica, tende a distruggere l’uguaglianza, come vediamo oggi con l’espansione di questo liberalismo economico che provoca enormi disuguaglianze. Al tempo spesso, imporre l’uguaglianza mette a rischio la libertà. Il problema è allora quello di saperle combinare.” È necessario allora che la comunità umana riesca ad associare libertà e uguaglianza e, soprattutto, che riscopra e risvegli la fraternità. Che però: “Non può essere imposta dall’alto o dall’esterno; non può venire che dalle persone.
    Qual è dunque la fonte umana e indispensabile della fraternità? 
Si troverebbe, secondo il filosofo francese, nel nostro secondo ‘software’ (dopo il primo, egocentrico, basato sull’affermazione e i bisogni dell’io) che si manifesta sin dalla nascita “quando il neonato attende il sorriso, la carezza, la cullata, lo sguardo della madre, del padre, del fratello. (…) Gli esseri umani hanno bisogno dello sbocciare del proprio ‘io’, ma questo non può prodursi pienamente che all’interno di un ‘noi’. L’io senza ‘noi’ si atrofizza nell’egoismo e sprofonda nella solitudine. L’io ha bisogno del tu, vale a dire di una relazione da persona a persona affettiva e affettuosa”.
    Da sostenitore di un’etica della complessità e da attento osservatore del mondo della natura, Morin sa bene che la vita biologica e sociale “è un nodo gordiano inestricabile di associazioni, cooperazioni, mutui appoggi e conflitti, predazioni, antagonismi e combinazioni incessanti tra vita e morte” e, in secondo luogo, che “la fraternità umana porta in seno delle potenzialità rivalitarie. Polemos è presente in forma virtuale in ogni fraternità e può manifestarsi tramite la rivalità, e questa può ricorrere a Thanatos, come indica l’uccisione mitica di Abele da parte di Caino. La fraternità deve quindi rigenerarsi senza posa, giacché senza posa essa è minacciata dalla rivalità”.
     Quali le minacce maggiori per riconoscerci oggi fratelli? Secondo l’autore “la globalizzazione del mondo iniziata nel 1989 con la generalizzazione su tutti i continenti del liberalismo economico e del capitalismo (…) lungi da creare una comprensione tra popoli e una fraternità umana su scala planetaria, ha provocato come reazione una tendenza a ripiegarsi su sé stessi e a rinchiudersi su dei ‘noi’ etnici, nazionali, religiosi.” 
    Inoltre “alla perdita del senso di solidarietà contribuiscono l’isolamento delle persone all’interno del proprio ambito specializzato di lavoro, che impedisce loro di accedere a una visione d’insieme; e anche il dominio di un pensiero che separa e compartimenta, esso stesso incapace di accedere ai problemi fondamentali e globali della vita della società.”
     Ancora, lo studioso francese ci invita a distinguere tra la fraternità chiusa e la fraternità aperta: “La fraternità chiusa si richiude sul “noi” ed esclude chiunque sia straniero a questo “noi”. Anche il nemico suscita la fraternità patriottica, ma la suscita evidentemente contro di lui, che spesso viene persino escluso dall’umanità. (…) Ma questa fraternità si chiude ermeticamente e disumanamente nel nazionalismo che considera la propria nazione superiore alle altre, legittimandosi così a opprimerne un’altra. All’opposto del nazionalismo, invece, il patriottismo permette una fraternità aperta, particolarmente quando riconosce piena umanità allo straniero, al rifugiato, al migrante. Può portare in sé il sentimento d’inclusione della patria nella comunità umana, che è oggi comunità di destino di tutti gli esseri umani del pianeta”.
     Morin infine ci mette in guardia dalla facile euforia del trans-umanismo che crea un ‘uomo aumentato’ nel trinomio scienza-tecnica-economia, mentre “il problema fondamentale dell’umanità in questo stadio critico è quello del miglioramento degli umani a partire dalle loro capacità di comprensione, di amore e di fraternità”. 
    E ci indica un paio di obiettivi da perseguire: salvaguardare e sviluppare la fraternità delle oasi: “isolotti di vita altra, micro-arche di Noè nell’oceano delle incertezze del tempo” e nutrire e sviluppare una coscienza d’umanità a partire da un umanesimo rigenerato che non si limiti all’uguaglianza di diritti e della piena umanità a ogni persona, ma che comporti anche “la coscienza dell’inseparabilità dell’unità e della diversità umana e la coscienza della responsabilità umana nei confronti della natura vivente della nostra Terra. E la coscienza della comunità di destino di tutti gli umani, sollecitata sempre di più dal processo scatenato della mondializzazione”.
     Grazie allora al magnifico vegliardo che ci invita a ripensare a quanto già scritto in un testo del 2002 “Ecco che cosa manca, in qualche modo, perché si compia una comunità umana: la coscienza che siamo figli e cittadini della Terra-Patria. Non riusciamo ancora a riconoscerla come casa comune dell'umanità”.
       Speriamo di capirlo, prima che sia troppo tardi.

Maria D'Asaro, il Punto Quotidiano, 12.5.2024


Edgar Morin


giovedì 9 maggio 2024

Votare o non votare? Cosa votare?

       Oggi pomeriggio, a Palermo, alla Casa dell’Equità e della bellezza alcune persone si sono interrogate sul voto alle prossime elezioni europee. Ne è venuto fuori un confronto autentico, appassionato e costruttivo su candidati, programmi, legge elettorale, quorum e meccanismi di voto. 
    Nell’Italia odierna che sfiora il 50% di astensionisti, che un gruppo di persone senta l’esigenza di parlare di politica e discutere di programmi e di liste magari potrebbe fare notizia… Certamente chi ritiene riduttivo e manchevole il sistema democratico bollerà come ingenui e illusi coloro che andranno a votare, e i partecipanti a detta riunione tra questi. Ma qual è l’alternativa costruttiva al non voto? Come cercare di dare il proprio contributo in una società complessa? Quale futuro per l’Europa? 
     Grazie oggi, allora, a Schumann, Moro e Peppino Impastato che avevano buone idee politiche: in particolare a Moro e Peppino che hanno pagato con la vita il loro impegno.
Maria D’Asaro


R. Schuman



martedì 7 maggio 2024

Lutto 2.0: come esprimerlo, come elaborarlo...

Marc Chagall: Paradiso (1961)
       Adesso che la nostra vita è Onlife - per utilizzare la fortunata definizione con cui il professore Luciano Floridi ha espresso l’ormai inscindibile connessione tra vita fisica e virtuale – tra gli altri, sorge un nuovo problema: come esprimere ed elaborare il lutto per la dipartita delle persone conosciute e frequentate solo nel web? 
      Quando si scopre che un amico/a virtuale non c’è più, la fitta di dispiacere è forte: è la stessa sensazione fisica che ti attraversa quando scopri che è morto un/a  tuo/a vicino/a di casa… A comprova che i legami relazionali che si creano attraverso le comunicazioni virtuali - legami fatti di scambi intellettuali, di saluti cordiali, ma anche di condivisioni esperienziali ed emotive - non sono meno forti ed intensi di quelli che si stabiliscono tra vicini di casa.
     Forse non abbiamo ancora analizzato abbastanza le potenzialità relazionali, in positivo e in negativo, fornite dalla nostra vita onlife (“siamo probabilmente l'ultima generazione a sperimentare una chiara differenza tra offline e online”;  “le dicotomie scontate come quelle fra reale e digitale o umano e macchina non sono più sostenibili in maniera nitida”, affermano rispettivamente Luciano Floridi e Giorgio Fontana). La vita onlife è una vita sicuramente aumentata: l'aumento è arricchimento e peso insieme.
       Allora,  bisogna essere preparati agli incontri e anche alle dipartite, sul web spesso inspiegabili e improvvise, maggiormente che nel mondo solo fisico.
     Per una vecchia blogger come la scrivente (nel web ormai dal lontanissimo 2008) ci sono state svariate sparizioni senza spiegazioni: blogger scomparsi che, esagerando, si possono accostare ai ‘desaparecidos’ di cui non si hanno più notizie e la cui esistenza si dissolve nel nulla. E poi, purtroppo, ci sono le morti vere, annunciate da parenti degli scomparsi.
     Così, nel 2013, è stato doloroso sapere ufficialmente dallo zio che una blogger amica era morta suicida (quanto rammarico allora: avrei potuto scriverle qualcosa in più? Potevo esserle più vicina? Avevo la sua mail, avevamo anche una corrispondenza privata…). 
     Assai triste, qualche giorno fa, apprendere dai figli della morte improvvisa di Gus, blogger dal 2015, attento ed assiduo lettore del mio blog e io del suo.
     Ciao Gus: nel mistero insondabile dell’aldilà mi auguro che tu abbia potuto riabbracciare tua moglie che amavi tanto. Grazie per avere lasciato in questa dimensione una traccia gentile, intelligente e garbata.

(Inserito in un commento del 27 febbraio scorso, in un mio post del giorno precedente in cui riportavo una poesia di Attilio Bertolucci (Assenza) per ricordare il compleanno mancato di mia sorella, Gus mi ha donato questa lirica assai toccante: 

L'assenza non è nulla.
Un tavolo poggiato contro l'oceano del silenzio,
dell'inchiostro, della carta.
Tutto è molto forte, la notte svanisce o
la notte viene, non ho paura.
La testa un po' inclinata, guardo solo il foglio di carta.
Le parole volano via e tu sei là. L'assenza non è nulla,
un po' di tempo purissimo per inventare domani.
L'assenza è un'assoluta neutralità, indifferenza,
quiete apparente, stasi, uniformità opalescente
e grigiore appena tiepido.
Io non c'entro nulla con le more nei boschi d'estate,
le conversazioni attorno al tavolo di cucina sgranando piselli,
il profumo delle mele in cantina,
la voce di chi si ama che dice più di
quanto dicano le parole,
il rosso cupo di un bicchiere di Porto da centellinare,
il lieve fruscio della dinamo contro la ruota
durante una pedalata notturna.
Istanti preziosi, che vanno colti nella loro
immediatezza e assaporati con tranquillità.
La Première gorgée de bière, Philippe Delerm

Grazie ancora di cuore per esserci (stato), caro Gus

domenica 5 maggio 2024

Telmo Pievani e l’uomo, castoro fuori controllo

      Palermo – Organizzata dal Politecnico di Torino dal 18 al 21 aprile scorso, si è appena conclusa la quarta edizione della Biennale di Tecnologia, che quest’anno ha avuto un titolo particolare “Utopie Realiste”: “Perché senza le utopie non sapremmo dove andare, senza il realismo non sappiamo da dove partire – ha sottolineato Luca De Biase, curatore scientifico della manifestazione, assieme a Juan Carlos De Martin.
     Tra i vari interventi scientifici alla Biennale c’è stato quello del professore Telmo Pievani, filosofo delle Scienze Biologiche presso l’Università di Padova. Pievani ha proposto una riflessione basata sul cosiddetto ‘Principio del Castoro’: “Lo si chiama Principio del Castoro perché il castoro è un esempio paradigmatico di cosa significa questo modello. Il castoro è un tecnologo a tutti gli effetti nel senso che, come molti animali, costruisce degli artefatti, vale a dire modifica attivamente l’ambiente per renderlo più consono alle proprie esigenze. Il castoro, quando costruisce le sue nicchie, diviene una sorta di ingegnere ecosistemico che promuove comunque la biodiversità negli ambienti modificati. E, da circa 11.000 anni, noi specie di Homo Sapiens ci comportiamo come i castori: nel tempo abbiamo modificato circa l’80% degli ecosistemi terrestri”. -
       Ma c’è un grande problema, ha poi evidenziato il professore: modificando in modo così significativo gli ecosistemi, abbiamo moltiplicato le linee di ereditarietà. Che significa?  - Vuol dire che, modificando l’ambiente, trasferiamo ai nostri figli e nipoti, oltre che i nostri geni, le nostre idee, la nostra cultura, anche tutte le modificazioni ecologiche introdotte dalla modificazione precedente. Ora, se questi cambiamenti sono corretti ed ecologicamente sostenibili, va tutto bene; ma se la generazione successiva è in difficoltà, fa fatica ad adattarsi e deve pagare un prezzo più alto per le azioni di chi l’ha preceduta, allora tutto questo non va bene. E questa noi la chiamiamo ‘trappola evolutiva’. -
Telmo Pievani
        Al Tg scientifico Leonardo, il giornalista Dario Tomassini ha così sintetizzato l’intervento di Pievani a Torino: “L’uomo è diventato un castoro fuori controllo, capace ormai da tempo di cambiare il mondo a suo piacimento. A differenza dell’operoso roditore, però non costruisce dighe, ma trappole: le nicchie ecologiche che ci siamo costruiti, pensando di rendere migliori le nostre vite, trascinano al loro interno gli effetti collaterali prodotti dalle generazioni precedenti. E se la trappola ecologica diventa sistemica è assai difficile uscirne ricorrendo esclusivamente a soluzioni miracolistiche. Occorre invece ripensare, oltre a investimenti in ricerca, ai nostri modelli di sviluppo, di consumo, di trasporto e alla nostra alimentazione.”
     Allora, il professore Pievani ci invita a una maggiore attenzione verso le generazioni future: “Dobbiamo essere generosi e lungimiranti perché dobbiamo agire oggi per mitigare, ad esempio, il rischio del cambiamento climatico, in modo che i nostri figli e nipoti, nella seconda metà di questo secolo, abbiano un minore prezzo da pagare per l’adattamento a questi cambiamenti. Attenzione poi al mito, impossibile e inesistente, di una natura vergine, nella quale pensare di tornare indietro in modo nostalgico e un po’ romantico. Dobbiamo trovare in futuro un modo per interagire con l’ambiente, come abbiamo sempre fatto, ma in modo assai più sostenibile”.
     Infine, Telmo Pievani prospetta un sogno ‘scientifico’: “Se impariamo a studiare come l’evoluzione abbia trovato delle soluzioni adattive in passato, questo ci potrà aiutare moltissimo a trovare le tecnologie del futuro. Una per tutte: la fotosintesi clorofilliana. L’hanno inventata le piante, un miliardo di anni fa, è un vero miracolo bio-chimico. Pensate se riuscissimo un giorno a copiarla, a riprodurla in laboratorio… sarebbe meraviglioso…” 
      Intanto, evitiamo però di consegnare a nipoti e pronipoti disastri ambientali.

Maria D'Asaro, 5.5.24, il Punto Quotidiano

venerdì 3 maggio 2024

Cara Giorgia,

        vederti oggi accanto al Ministro della Difesa a passare in rassegna l’esercito, nel 163° anno dalla sua costituzione, mi ha impressionata. Per te è stato un grande successo personale diventare Presidente del Consiglio. Complimenti sinceri per questo. 
      Ma mi chiedo se l’uguaglianza sia davvero un traguardo. Dobbiamo fare le stesse cose che da sempre hanno fatto gli uomini: creare eserciti per difenderci e attaccare, fare guerre per risolvere i conflitti?
     Scriveva Carla Lonzi: “Per uguaglianza della donna si intende il suo diritto a partecipare alla gestione del potere nella società mediante il riconoscimento che essa possiede capacità uguali a quelle dell’uomo. Ma… ci siamo accorte che, sul piano della gestione del potere, non occorrono delle capacità, ma una particolare forma di alienazione molto efficace. Il porsi della donna non implica una partecipazione al potere maschile, ma una messa in questione del concetto di potere”. 
       Forse abbiamo sbagliato tutto. Non credi? 

Maria D’Asaro


mercoledì 1 maggio 2024

Festa del Lavoro (se ci fosse...)

Accursio Miraglia
       Art. 1. L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. 
Art. 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. 
Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Art. 4. La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Quanti disoccupati ci sono in Italia 2024?

OCCUPAZIONE ITALIA, I DATI DI FEBBRAIO 2024

Il tasso di disoccupazione è aumentato al 7,5% (+0,2 punti rispetto al mese precedente, dato rivisto) ed è aumentato al 22,8% tra i giovani (+0,7 punti). 

(la media al Sud può arrivare però al 14% degli occupabili)

"Per  i componenti  di età tra 18 e 59 anni, di famiglie con ISEE fino a 6000 euro   per i quali è terminata ad agosto scorso  la percezione del reddito di cittadinanza  l'accesso alla nuova misura del Supporto per la formazione e il lavoro è  scattata   il 1 settembre  2023  e prevede 
un sussidio mensile di 350 euro per 12 mesi 
a condizione che la persona si iscriva alla piattaforma telematica ministeriale SIISL rendendosi disponibile a percorsi di formazione e riqualificazione nel mercato del lavoro, attraverso i Centri per l'impiego o Agenzie per il lavoro." (da qui )

(Di fatto, abolito il reddito di cittadinanza (ne parlo qui) in molte regioni italiane, non esistono più dal 2024 percorsi di formazione e riqualificazione nel mercato del lavoro e i disoccupati vivono grazie agli aiuti dei familiari occupati. Altrimenti finiscono alle mense della Caritas o in strada…)

I morti sul lavoro sono stati oltre mille nel 2023, quasi tre al giorno (Notizie - Ansa.it.16.2.24)

(Di cosa avremmo bisogno oggi? 
Di donne e uomini che sappiano tracciare la via: vedi il profilo di Accursio Miraglia;  vedi il pensiero di Erich Fromm)

(le frasi in corsivo sono di chi scrive, MD)